mercoledì 11 febbraio 2015

Love reign o'er Me

Chi l'avrebbe mai creduto?

- Who would have ever thought it possible?

Continuava a ripeterselo da ore mentre osservava la foto che Nami le aveva mandato. Si era incantata a spiare scorci di quello che oramai, da anni, considerava figlio proprio tanto quanto quelle due mocciose che aveva partorito sotto la supervisione di Ritter. Vergil si affacciò, con il sigaro tra le labbra e fili grigi tra i capelli, aggrottando la fronte. Molly aveva un sorriso che raramente le si poteva vedere in faccia, di quelli che riservava solo agli attimi in cui le gemelle dormivano beate e aveva finito di raccontar loro di questa o di quell'altra strana avventura avuta nei mille viaggi con la Monkey, o di come stessero gli zii sparsi per i vari angoli del 'Verse. Non riusciva davvero a levarsi di dosso quello stupido sorriso, al punto che il compagno le sopraggiunse alle spalle, pizzicandole il fianco.

- Ti chiamerà nonna, sai?
- Non oserebbe mai.
- Non ne sarei così sicuro, Philip glielo farà fare...
- Nonna Winger? Dio ce ne scampi e liberi...
- Non capisco perchè io devo farmi chiamare nonno e tu no!
- Perchè tu sei vecchio, diversamente da me, e poi non è mio figlio, gli concedo di farmi chiamare zia, al massimo.
- Non reggerà come scusa davanti a lui, lo sai...

Invece di incazzarsi come era solita fare scoppiò a ridere, allungandosi a sospingere la spalla di Vergil quasi a volerlo scacciare. Una chiamata in ingresso la fece trasalire e quasi cadere dalla sedia, con il rischio di disturbare le bambine dormienti. Il nome impresso sullo schermo dell'holodeck le fece sbuffare un grugnito divertito, e accettare senza mezzi termini, cercando di chiudersi la porta alle spalle ed evitare intrusioni di sorta.

- Proprio di te stavamo parlando.
- Hi Winger, che si dice? Ah sì?
- Nami mi ha mandato una foto. Siete molto belli assieme. Ti sei finalmente deciso di lasciar perdere questa storia di farti prete?
- Reverendo...
- Fa lo stesso.
- Comunque no. Il Capitano Neville?
- Sta di là che finisce di lavare i piatti...
- Stai scherzando?
- Ti sembro una che scherza?

La risata riempì la stanza, assieme ad una nuvola di fumo densa, che le usciva dalle narici ad ogni boccata di sigaretta.

- Non dovresti fumare.
- Sei un tipo determinato, vero kiddow? Non molli mai.
- No way.
- Well? Perchè hai chiamato?
- Volevo sapere come stavano Ann Eir e Anya.
- Bene, chiedono di te molto spesso, quando venite a trovarci?
- As soon as possible, così potrai vedere tuo nipote...

L'occhiataccia che la pilota tirò allo schermo dell'holodeck poteva attraversare anche un'ablative!

- Non ci provare!
- Eddai suuu come fai a resistergli?

Si morse il labbro inferiore, montando un broncio da guinness dei primati. Philip a quel punto sollevò un frugoletto così che la camera del device l'inquadrasse. A quel punto non potette più resistere:

- Che siate maledetti voi Neville, sempre con le spalle al muro mi mettete!
- Non è assolutamente vero!
- Mpf... quando venite?
- Presto.
- Promise?
- I promise.

Il frugoletto minuscolo cominciò a rumoreggiare. Lei sorrise, non riusciva a farne a meno. Gli occhi chiari deviarono verso l'angolo buio della stanza, imponendosi al viso di non mostrare alcuna tenerezza o affetto per quella scena così diversa, così strana, e allo stesso tempo così calda. 

- Ora vattene, avrà fame. Io vado dalle bambine.
- Va bene, Winger, tutto bene?
- Aye, see ya kiddow. And remember you promised! Say 'Hi' to Nami.

Chiuse la conversazione prima che il povero Philip potesse dire o aggiungere altro. Tirò un respiro profondo, tornando a cercare le tante foto che aveva deciso di incorniciare e appendere. Aveva iniziato a collezionarle, da quando oramai non riusciva più a seguire gli spostamenti, i trasferimenti, da quando i bicchieri vuoti da dedicare prima di bere il proprio divennero troppi, compreso quello per Wright. Spezzò la sigaretta nel posacenere, spegnendola, prima di andare verso la cucina. Vergil non c'era più, la luce sulla veranda era accesa. Controllò una seconda volta nella stanza delle bambine, l'ultimo regalo di Anya proiettava le costellazioni di Dào sulle pareti, muovendosi lentamente ed in maniera assolutamente conciliante. Sorrise, timidamente, trascinandosi all'esterno, buttando uno scialle sulle spalle esili ma mai piegate dalla stanchezza o dal lavoro. Si accoccolò al fianco del Capitano.

- Tutto bene?
- Aye. Verranno presto.
- Ok.
- Yes.

La ricerca di calore, vista la serata particolarmente fresca, fu abbastanza per invogliare Vergil a non parlare altro. Affondò le dita tra i suoi capelli, ricresciuti fino a ben oltre le spalle e ormai lasciati davvero allo stato brado, un po' come tutto il resto. Restò lì, con ancora impressa nella retina l'immagine che le aveva acceso la serata di un sorriso splendente.

Philip Neville e James N. K. Neville, Febbraio 2517




mercoledì 26 febbraio 2014

Now what?

E' facile cadere nella quotidianità, dopo che hai rischiato di morire, dopo che hai speso ogni energia in una guerra che è finita nella polvere. E' istinto primordiale, riprendere a scandire la vita con regolarità, cercare di darle un senso, quando davvero tutto sembrava non averne più. Eppure accade. Accade quando hai persone che ami, sparse nei sette angoli del 'Verse, in ogni dannato sistema solare dal più remoto sporco lurido pianetucolo al rigoglioso cuore pulsante di civiltà.
Così si scivola nel quotidiano, passando da Shadetrack a Shijie, scivolando fino a Xinhion passando per Greenfield. Ogni centesimo guadagnato è un centesimo risparmiato, mentre il tempo scorre ma le ferite e le cicatrici restano. Non può dimenticare, Molly Cox. Non può cancellare la guerra dal fondo degli occhi chiari, eppure qualcosa la trascina avanti, come un fiume in piena. Si adagia sulla plancia della nave, seguendo gli ordini del suo comandante. Scivola nella rilassatezza grazie ad una tazza di caffè, una sigaretta e la compagnia di una stupida scimmia della quale non può più fare a meno. Rimbalza, tra una realtà polverosa come quella di casa propria e una rigogliosa come casa di Anya e Dartley. Si bea del riflesso aureo del successo della sorella, trovando un sorriso che aveva disperso nella polvere e nella paura, durante la guerra. Eppure non può non pensare al disagio, alla situazione di Bullfinch, a quella di Greenfield. La miseria è un taglio netto in mezzo a tutta quella luce, ma non fa più male come in passato. St. Andrews è un bel pianeta, le ricorda la durezza di Wright, che rivede nel viso di Eolen e in quello di Hust, cresciuto come solo un abitante di quelle lande gelide potrebbe crescere.
Il passato è qualcosa che non si può liberare, un compagno fedele che ti cammina accanto, assieme ai dolori, che sono ormai un costante pegno da pagare, per la vita che può ancora vivere.

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- Da quanto ci conosciamo, Cox?
La voce di Ritter riempiva la plancia dal piccolo schermo verdognolo nel quale il suo profilo adunco si ingigantiva, avvicinato alla telecamera.
- Pffff!
La risposta di Molly aveva quel sarcasmo utile a far capire che si tratta sicuramente di troppo tempo.
- Che, più o meno, è anche lo stesso lasso di tempo in cui ti faccio da medico, quindi, quando ti dico di fare una cosa, tendenzialmente dovresti aver imparato a darmi retta e farla, anche perchè non sei proprio digiuna di certe nozioni.
- Lo so...
- E allora come pretendi che possa darti un risultato, visitandoti attraverso uno schermo?
Molly si era abbassata la maglietta, coprendo l'addome.
- Lo soooo...
- Quindi, esci e vai a comprarlo.
- L'ho fatto!
- E allora?
- E' in cinese, non ci capisco niente!
- Cox!

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- Allora?
- Molly, il mio cinese è abbastanza arrugginito, per non dire inesistente...
- Ho capito ma sono due nozioni in croce, lo devo chiedere alla scimmia?
- ... Stai dicendo che Furface è più portata di me per le lingue?
- No.
- Mh?
- Daiiiiiiiiii si può sapere che dice?
- Dice che... mh
- Oh insomma, Vergil!
- E' positivo.
- ...

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- Ciao sorella.
- Non ti aspettavo, perchè non mi hai avvisata?
- Ho avvisato il marito.
- Non mi ha detto nulla.
- Perchè gli ho detto di non dirti nulla.
- E da quando ti da retta?
- Da quando so come minacciarlo...
- E come lo minacci?
- Lasciamo perdere.
- Vergil?
- Sta comprando i sigari.
- Stai bene? Sei pallida.
- Ho bisogno che ti siedi, 'yuska...
- Mh?
- Oh, quello è nuovo?
- No... stai svagando?
- Noh! Che vai pensando?
- Hei Cox!
- Hei Marito.
- Che succede?
- Ciao a tutti..
- Neville!
- Vì!
- Gliel'hai detto?
- Cosa?
- Cosa?
- Siamo incinti.
- ...
- ...



 

martedì 24 dicembre 2013

Nothing will ever be the same...

Svegliarsi di soprassalto nel cuore della notte era ormai diventata una cattiva abitudine. Non perchè il braccio, la coscia o la spalla facessero male, il dolore dell'ustione era ormai un lontano ricordo, grazie all'ausilio degli antidolorifici progettati da Huck e alle pomate che si spalmava per rigenerare la pelle morsa dalle fiamme. Si massaggiava le dita fasciate, madida di sudore freddo, ormai appiccicato addosso. La cabina era così familiare, eppure, in quegli attimi di panico in cui spalancava gli occhi riusciva ancora a vedere la giungla che andava in fiamme, riusciva ancora a sentire i boati delle detonazioni oltre il fiume, riusciva a percepire il tremare della terra mentre dallo spazio si scaricava l'ira dell'Alleanza. Tutto ciò che Molly Cox ricorda di quei giorni concitati di ritirata verso Timisoara era l'amaro sapore della paura, e la solida stretta di mano dell'uomo che, ancora una volta come tante volte prima, è riuscito a farla uscire dall'inferno.

Le camminate nella giungla, gli insetti, il fango, i feriti ai quali non poteva salvare la vita, i morti che li circondavano come foglie cadute d'autunno. Non riusciva a levarsi dalle narici l'odore della carne consumata dalla morte, gli umori di un pianeta ormai allo stremo delle forze, che grondavano malsani oltre i loro piedi, a cercare di ingoiarli e render loro impossibile scappare. Eppure, il cielo solo sa come, ce la fecero.
Raggiungere Timisoara fu il primo passo, ma quando finalmente ci riuscirono, era ormai troppo tardi. Philip era sano e salvo, questo le aveva permesso di accantonare un po' di quella paura che non le faceva chiudere occhio, né tenere un singolo boccone nello stomaco per più di cinque minuti. Si sentiva sbronza, ma di una sbornia cattiva, malata, di quelle per le quali ti penti amaramente ogni secondo e giuri in cuor tuo che non toccherai più alcol. Aveva il braccio ustionato, niente di irreparabile, ma era decisamente fastidioso. Non avesse avuto la tuta addosso, probabilmente sarebbe stato molto peggio, così com'era per quella scheggia, schizzata via impazzita da una granata, che l'ha morsa alla coscia con la rapidità di un serpente. Ma era viva. Non era mai stata così grata di vedere Timisoara come in quel momento. Camminava a fatica, ma era viva, e la cosa la spinse a muoversi ancora più rapidamente, raggiungere la Monkey e soprattutto cercare di raggiungere gli altri, in qualche modo. Poi l'avviso, Cortès e le sue buone notizie. Renshaw aveva ordinat la ritirata verso Safeport. Un pianeta familiare, rotte che conosceva come le sue tasche. Non aveva tempo per riposare, farsi fasciare la ferita era solo un palliativo, ci avrebbe pensato da sola, poi. L'importante era portare il culo via da quel pianeta: aveva una scommessa da vincere e non aveva lasciato i 100 A$ ad Edwards, non poteva crepare con dei debiti da saldare.

A Sunset Tower, osservando l'arroccarsi delle forze confederate sull'ultimo baluardo di Polaris si sentì di aver perso definitivamente la guerra. Eppure non le bruciava dentro. In fondo - si disse - aveva fatto tutto il possibile per cercare di essere d'aiuto. Non si era mai aspettata di vincere qualcosa, ma solo di proteggere le persone che lo meritavano, di portare a casa la pelle di qualcuno di importante, oltre la propria, ovviamente. Nel calcolo dei caduti perdeva la cognizione di cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Molti dei soldati che aveva conosciuto in guerra erano ormai dispersi, li aveva raccolti morenti, aveva chiuso i loro occhi. Ne aveva di bicchieri da tracannare in onore di ognuno di loro, non sarebbe bastata la riserva di alcol dell'intero 'Verse.

Voltandosi ritrovava sempre Vergil al suo fianco, addormentato. Passava ore a chiedersi se fosse sereno, come in fondo sentiva di esserlo lei. Perchè aveva combattuto, pur perdendo, aveva comunque mantenuto fede a quanto si era ripromessa di fare. Perchè in fondo Moloko era ancora viva, lo era Vergil, lo era Philip, lo è... lei. Trovò la forza di rimboccarsi le maniche, ricominciare di nuovo, decidere come riprendere a vivere, nonostante gli incubi, nonostante il dolore. Forse Jack Rooster aveva fatto la scelta migliore, tornando a casa: ricostruire pezzo per pezzo un pianeta devastato dalla guerra con le proprie mani era il modo migliore per cercare di curare le ferite di una guerra ormai sorpassata da qualcosa di più nuovo, di ancora vivo e bruciante.

Stringe e chiude le dita, Molly Cox, lasciando scariche di fastidio lungo il braccio fin dentro il cervello, per ricordarsi che sì, ha visto la morte in faccia, ancora una volta, ma questa volta è passata oltre. Un paio di calzoni sgualciti, i vecchi anfibi sporchi e malridotti, un semplice revolver nei pantaloni e occhi segnati dalla comprensione: niente potrà più essere come prima.

Goodbye...

Mentre Molly Cox, impegnata a suddividere le scorte accumulate nel magazzino, pensa alla guerra e a come la situazione si sta evolvendo, si trova a fissare il pad che brilla, contro gli occhi chiari e affilati. Jack Rooster chissà dove, sparita da un giorno all'altro lasciando Boris a fare il più alto in grado, un vero palo in culo, che le fa rimpiangere quella stronza di Rooster, in fondo. Si appoggia di spalle alle casse, infilando l'auricolare nell'orecchio, per appoggiare il pad su di una scatola, in modo da vaderla senza farsi venire un crampo alla spalla. 

- Ehy Sorellina

Anya Krushenko, dall'altro capo del 'Verse, collegata con un filo sottile di rete cortex al suo piccolo pad, che la riporta verdognola e nebbiosa. Un sospiro, un sorriso, come non ne fa da tempo ormai, e la strana sensazione che si accaduto qualcosa. Sta in macchina, Anya, guidando chissà dove. Molly è in grado di riconoscere i sedili di pelle della sua Lux Car. Lei, splendida come sempre, mentre la pilota di Shijie si tira avanti con la sola forza del suo pessimo carattere e la vicinanza delle persone che ama, almeno una parte di loro.

- Come stai?
- Si tira avanti, dov'è Facciadimarito?
- E' con James su Xinhion a vedere delle proprietà.
- Mh?
- C'è una cosa, Sis'.. ho un'opportunità.
- Di che tipo?
- Una promozione...
- So...?
- Bhè, posso scegliere se andare a New London o a Xinhion.
- Non mi sembri felice.
- No, lo sono, solo... devo capire, Edan sarebbe probabilmente più felice se scegliessi New London...

Molly storce la bocca, scrollando la testa non sembra affatto convinta della cosa.

- New London non mi piace. Meglio Xinhion, a questo punto, e poi c'è Declan, lì, no? 
- Sì, c'è Declan...
- Certo, nuotare nello stesso mare con lei...
- E' stimolante come idea, no?
- Se lo dici tu, a me metterebbe ansia, ma a te questo genere di sfide piacciono, sono il tuo pane. Quando andresti?
- La promozione è già decisa, devo solo far sapere dove voglio andare, e poi non mi dispiacerebbe constatare se è vero che Carter ha rallentato l'invecchiamento con la tecnologia.
- Bhè, ma che ti frega, scusa?
- Un paio di rughe in meno non mi dispiacerebbero, sorellina.
- Ma se sei bellissima, è Edan che ti invecchia.
- Che vorresti dire con "Edan ti invecchia?"
- Come scusa? Non ho capito...
- Non fare la finta tonta, hai capito benissimo!
- La comunicazione è davvero pessima, potresti ripetere?
- ... Mi prendi in giro?
- Un pochino, ma non sul fatto che tu sia splendida.
- Mhhh...
- Ma lo posso dire a Vergil?
- Certo che puoi, anzi, devi.
- Right... so, la prossima volta dovrò venire a trovarti da qualche altra parte, non più su Horyzon. Edan si prenderà cura di te, nel mentre, ne sono certa. 

Mentre le due parlano, Molly è intenta a razionare le razioni già agli sgoccioli, riempiendo vari contenitori con quello che c'è rimasto, seguendo una lista mentale.

- Sis, tu stai bene vero?
- C'è Vergil che mi obbliga a stare bene, lo sai com'è fatto, no?
- Sì, lo so, e so anche che tu tendi ad essere troppo buona.
- Non è vero!
- ... Ah no? Stai usando le tue riserve di cibo per gli altri, vero?
- ... Non essere sciocca, Vergil mi ucciderebbe se lo facessi.
- Mh, sai che se hai bisogno...
- Lo so, ma tu adesso pensa a te e stai via da tutto questo, qui le cose non sono proprio splendenti. 
- I know...
- Sorellina, qualsiasi cosa accada... you know that I love you, right?
- Cosa vuoi che accada? Non fare la stupida...
- Niente, lo sai, c'è Neville con me, fino a che c'è lui everything will be okay, right?

La voce fuori campo dell'assistente di Anya riempie l'abitacolo, metallica, probabilmente richiamandola all'ordine dato che se ne sta ferma in uno dei tanti parcheggi della Blue Sun a parlare con la sorella dall'altro capo del 'Verse trascurando i propri doveri di CEO, per qualche minuto di troppo, evidentemente.
- Salutami Edan, e anche la signorina postino.

Anya ride, di una risata leggera, che però nasconde la preoccupazione che sempre riversa sulla sorella, nel bel mezzo di una guerra che le separa e le tiene distanti più che mai.
- Tu cerca di stare bene e di mantenerti salva, right?
- I'll try.

Non c'è molto altro che si possa promettere, e in fondo tutte le notizie che arrivano, come bisbigli e chiacchiere, non hanno niente di incoraggiante. Lo scontro si spinge oltre i limiti della semplice terra. E ben presto travolgerà tutto, chiudendo un capitolo scuro nella vita di tutti, Molly Cox inclusa.  

mercoledì 4 dicembre 2013

Timisoara, November 2515

Quando accede di sentire che il ragazzetto di Boros, il meccanico dell'Array è stato ritrovato faccia nel fango e portato in infermeria, ti sale dentro qualcosa. La rabbia, l'intolleranza per la stupidità colossale e allo stesso tempo una dannata paura, talmente forte da far battere il cuore all'impazzata, spingerti a lasciare quello che stavi facendo per correre in quella tenda da campo immensa e ghermita di poveracci, per cercarlo. E tutto questo era successo a Molly Cox, un giorno come tanti che non contava nemmeno più, in un susseguirsi di compiti serrati, poche ore di riposo e tante fatiche. Nemmeno ricordava più cosa stesse facendo. Si ritrovò inginocchiata accanto alla branda di Philip, mentre lo osservava agitarsi per la febbre alta. Era così fragile, così indifeso che si sentì il cuore colare a picco. Lo vedeva da sè che era mal nutrito. 

Molly camminava avanti e indietro mentre i medici si occupavano di visitare Philip. Era stata scacciata in malo modo e costretta a darsi una calmata perchè ad inveire ed arrabbiarsi contro un poveraccio febbricitante non è che aiutasse molto. Aveva fatto a cambio con tutti i turni in infermeria, corrompendo chi ci doveva stare a fare il proprio mestiere con scorte, medicinali, sigarette. Voleva e doveva stare accanto al ragazzo, con quella paura che non pronunciava: le riempiva la bocca di melassa e la faceva sentire inadeguata, piccola, insicura. Lui era lì, incassato su quel letto senza possibilità di muoversi, agonizzante per la troppa bontà che gli divorava il cuore e lei non sapeva come aiutarlo.

La notte dormiva china sul suo letto, stringendogli la mano, la mattina era la prima ad alzarsi, tamponargli la fronte e ricordargli di non permettersi minimamente di morire, non mentre c'era lei a prendersi cura di lui: non glielo avrebbe mai perdonato. Con un principio di polmonite dove ormai le medicine vengono diluite come palliativi non è facile passare la notte, fortunatamente il ragazzo aveva sempre avuto la pelle dura. Nel tentare di rincuorare l'animo turbolento di Cox, non riuscì a fare a meno di confessare l'ennesimo piccolo segreto.

- Vedi di non mollarmi in questa merda da sola, Kiddow, non te lo perdono.
- Stai tranquilla, Winger.
- Tranquilla ha fatto una brutta fine, kid.
- Right, comunque sto bene.
- Non stai bene per un cazzo, mi hai fatto prendere una paura fottuta. Ho creduto di perderti, damn you.
- Calm down, non ho intenzione di morire il giorno del mio compleanno.

Un bel regalo di compleanno, per il povero Philip. Il letto d'ospedale, una promozione sul campo, una bella polmonite e il cane rabbioso "Molly Cox" a ringhiare contro chiunque si avvicinasse, a fare la guardia senza sosta fino a che non fu proprio inevitabile per lei di venire spedita altrove, perchè in fondo di gente capace a guidare ce n'era, ma che volesse arrivare fino alla giungla, ce n'era davvero poca. E anche lì, nella giungla a sradicare alberi, trovava il tempo di sbirciare le foto che aveva con sè e pensare a lui, su quella branda troppo piccola in cui sembrava sprofondare, mangiato vivo da quel suo cuore grande, fin troppo.

Lo aveva visto girarsi un foglio tra le dita, lo aveva visto imbarazzarsi quando gli puliva la fronte madida a causa della febbre, lo aveva visto arrossire nonostante già avesse gli occhi lucidi. Aveva vegliato, lo aveva guardato, e si era convinta che era lì, in quel inferno, in quella guerra di stenti e sofferenze anche per lui. Nel periodo di degenza del ragazzo aveva anche trascurato il povero Vergil, senza farsi vedere per dei giorni, fino a farsi riprendere addirittura dal meccanico. Solo lei poteva farsi sgridare da un ragazzo appena diciannovenne incastrato in un letto e con la smania di volersi subito rialzare. A causa di Philip, la pilota fu costretta ad allentare il gunizaglio, rabbonita dai suoi modi, da quel suo sguardo pulito. Pur a malincuore, tornò ai propri doveri, solo per ritrovarlo, una sera, ammanettato alla branda perchè si era alzato senza chiedere nulla a nessuno. 

- Ti da di matto il cervello? Vuoi crepare giovane?
- Ma sto bene, non ti devi preoccupare, okay?
- Okay un cazzo, Philip, tu devi restare a letto, do you understand?
- No, posso stare in piedi, posso lavorare, c'è altra gente che ha bisogno di questo letto, io sono solo d'impiccio.
- Lo sei anche fuori, cazzosanto!
- Winger, sto bene davver- 

Interrotto da colpi di tosse potenti, Philip non riusciva a completare le frasi e non riusciva nemmeno ad essere convincente per Molly, che non ci stava proprio a lasciarlo solo ancora. Putroppo gli impegni la spinsero ad allontanarsi da lui, nuovamente, con la promessa che se si fosse alzato da quella branda anzitempo, gli avrebbe sparato in un ginocchio "così almeno non puoi stare in piedi". Drastica, ma efficace. Peccato che le minacce nei confronti di Philip rimarranno sempre come le più colossali e storiche balle che Molly Cox sia in grado di raccontare, buchi nell'acqua estremamente coloriti e fantasisio, ma del tutto inconsistenti.

venerdì 22 novembre 2013

Wonderful tonight...


Ormai erano ore che giravano per negozi. Eppure non aveva il coraggio di dire nulla, Molly Cox. Guardava la sorella elettrizzata, spaventata ma allo stesso tempo estasiata, quasi ubriaca di una felicità che non riusciva del tutto a capire ma che era disposta ad accettare, per amor suo. Sbuffava, questo era inevitabile, e anche Anya in fondo lo sapeva.

- Insomma quanti vestiti devo provare?
- Ancora uno dai... fammi contenta!
- Non fare quegli occhioni con me, non sono il tuo promesso, io, non ci casc-don't you.. come osi!?!?
- Daiiiii...
- UFFA!

Era tutto il giorno che facevano questa scenetta: Molly sbatteva i piedi, Anya sbatteva le ciglia e la pilota di Shijie puntualmente cedeva alle richieste della futura sposa.

- Questo è perfetto.
- Mh...
- Dai, sei bellissima.
- Ma è corto!
- Ma cosa dici, arriva al ginocchio.
- Appunto. E poi è stretto, guarda, tira!
- Sei incontentabile, e poi il taglio è simile a quello che avevi al matrimonio di Declan.
- Non è vero.
- Sì che lo è, vuoi fregare me e la mia memoria?
- Machevaipensando?!?!
- Mh?
- Ok ok, lo prendiamo, maledizione...

Il visetto trionfante della sorella le strappava sempre una risata di gola, piena, divertita per davvero come lo era poche volte nella sua vita. Poi fu la volta delle scarpe, e degli accessori, e le lamentele non cessarono fino a che non si ritrovarono entrambe chiuse in una stanza, buttate sul letto, esauste. Scoppiarono a ridere, senza un perchè, per poi finire con l'abbracciarsi e addormentarsi così, stordite e confuse da qualcosa di più forte dell'alcol e più pericoloso al contempo.

D-Day

- E' dannatamente stretto.
- Non ti lamentare, Winger, sei la damigella d'onore, non puoi sfigurare.
- Mhhhhhhh! Almeno potevo prendere le scarpe basse.
- Sei bellissima.

L'imbarazzo le investì il viso e si trovò a dover scappare verso la camera della sorella, dove una Anya in iperventilazione – o quasi – stava già dando di matto.

- Dov'eri???
- Ma io..
- Non importa resta qua!
- O-okay, ma così mi fai paura!
- …
- Scusa, scherzavo, non è vero che mi fai paura, solo, per favore, respira, piano... così ecco brava. Dio, non posso nemmeno abbracciarti, ho paura che ti caschi un pezzo di vestito.
- Ho bisogno di bere.
- Non c'è problema ci penso i-no, resto qua!

L'occhiata di Anya le valse la scelta di rimanerle incollata al fianco, ordinando da bere dalla stanza stessa. La lasciò solo quando si presentò alla porta il Generale Krushenko. Molly lo vedeva per la prima volta e l'alone austero che lo circondava le strinse la gola abbastanza da metterle addosso una fretta del demonio, spingendola a correre fuori dalla stanza, mentre Declan si occupava di gestire minuzie che a lei sembravano insensate. I corridoi erano il ritrovo di persone ansiose: Vergil camminava avanti e indietro, aggiustandosi il colletto dello smoking. Lei gli si accostò di soppiatto, camminando con le scarpe già in mano, e ancora non era iniziata la cerimonia. Si alzò sulle punte, cercando di rubare un bacio sulla guancia:

- Nervoso?
- Mh? No, tu?
- Naaaaaaaaaaah!

Tremava, praticamente, ma come suo solito non riuscì ad ammettere che era nervosa tanto quanto la sposa, oltre a sentirsi, al solito, un pesce fuor d'acqua in certe circostanze. Un passo agile indietro, da parte dell'uomo, e un'occhiata lunga, penetrante, che la squadrava completamente, mettendole addosso un imbarazzo cocente.

- Er...

La pilota si grattò la guancia, cercando di stemperate, schiacciando i capelli sugli occhi, con una mano, che lui le rubò in fretta, per tirarsela di nuovo vicina. Ne incrociò lo sguardo e si sciolse in un sorriso radioso, che le fece dimenticare quanto stretta e corta fosse la gonna, di quanto doloranti fossero i tacchi e via discorrendo. L'idillio comunque non durò a lungo, vista la comparsa del Generale che la fece saltare come un gatto e trovare riparo alle spalle di Vergil.

- Anastasyia adesso gradirebbe di nuovo la sua compagnia, Cox.
- Da!

Talmente abituata a sfottere la sorella, le uscì spontanea quella risposta, catturata dalla cadenza pesantemente Korolevita del militare. Scheggiò via, svanendo in una nuvola di cipria, tenendosi le scarpe in mano e correndo in maniera a dir poco indecorosa, fino a tuffarsi nello spiraglio di porta aperta da Declan, che annunciava l'arrivo del quartetto d'archi.

***

Anya e le sue folli idee: chiedere a Vergil Neville, Capitano della Monkey Wrench, di celebrare le nozze. Cosa disse il cervello alla sorella in quel frangente, Molly non lo seppe mai, però erano lì, lui in piedi alla fine del tappeto, mentre la sposa veniva accompagnata all'altare dal proprio padre, cedendola all'uomo, il Corer che le stava opposto. La Rimmer se lo squadrò a lungo, assottigliando gli occhi chiari, sbilanciata a tratti su quei tacchi troppo alti, mentre prendeva in consegna il bouquet, mentre aggiustava la gonna della sorella. I polpacci erano già un inferno di spilli, lungo tutta la salita dietro al ginocchio. Ma non fece un lamento, piuttosto rimase concentrata ad osservare lo svolgersi della cerimonia, e soprattutto a badare che Vergil non ne combinasse.

- Vuoi tu, Anastasyia Irina Diodora Krushenko, prendere il qui presente, Edan Dartley, come tuo legittimo sposo?
- Lo voglio
- Ne sei sicura?
- … Certo, sì, lo voglio.
- Guarda che puoi pensarci su un attimo...


Gli spettatori cominciarono a rumoreggiare, mentre la prima scarpa di Molly venne spedita, in un calcio, verso il celebrante. L'occhiata che la sposa lanciò all'officiante era l'eloquenza: un enorme, cubitale “yougottabekiddin'me, right?” in stile Krushenko. La vena cominciava a battere sulla tempia sinistra di Edan, mentre le nocche della damigella d'onore scricchiolarono.

- Finiscila e vai avanti con sta cerimonia!
- Vuoi tu, Edan Dartley, prendere la qui presente Anastasyia Irina Diodora Krushenko, come tua legittima sposa?
- Sì, lo voglio, e non provare a chiedermelo una seconda volta, potrei spararti...
- Come siamo permalosi...
- Se c'è qualcuno in questa sala che ritiene i due non si debbano sposare, parli adesso, o tra cinque minuti, abbiamo comunque tempo.
- Vergil!

La povera sposa, con fare esasperato, accennò a voltarsi verso la sala, cercando di inquadrare la zona che accoglieva la propria famiglia, cercando il soccorso del padre, che si schiarì la voce. La seconda scarpa saettò verso Neville, ma lui con la sua solita abilità fu in grado di evitarla, stavolta. Molly si trovò ad affondare i piedi scalzi nel tappeto, fino a che non comparve la rossa chioma di Declan, composta e letale come un'assassina.

- Mettile.
- Ma...
- Adesso, Cox.
- Right, M'am!

Un paio di ballerine, basse e comode, il paradiso all'improvviso.
Nessuno osò comunque fiatare. Lo sguardo glaciale del Generale Krushenko, supportato dai fratelli di Anya, fece calare una cappa di silenzio fitta fitta su tutta la sala. Vergil riuscì quindi, su spinta di un affilato e tagliente sorriso di Declan, a terminare la cerimonia, unendo finalmente i due in matrimonio ed entrambi poterono tirare un sospiro di sollievo.

***

Il bar attirò molte delle personalità invitate, lo stesso Vergil vi fece tappa a lungo, mentre Molly riuscì a passare a salutare i fratelli Krushenko, o per lo meno, i due che ebbe modo di conoscere in ospedale, mentre scontava la pena della propria degenza assieme alla sorella. Ivan e Lev non si fecero scrupolo di salutarla, così come Dimitri, che fu in grado di guadagnarsi una minaccia mugugnata tra l'imbarazzo e i denti stretti per un apprezzamento esagerato nei confronti della povera pilota, già messa a dura prova dalla situazione. La vicinanza dei fratelli Krushenko, comunque, le valse l'abilità di glissare le attenzioni dei più, nascondendosi dietro una solida e granitica muraglia di aitanti giovani Koroleviti, ad eccezione del Generale, che Molly cercò di evitare per tutta la serata. Riuscì anche ad incrociare la biondissima Vice CEO, Lelaine, con il suo morbido ventre, ormai abbondantemente avanzata nella gravidanza. Gli occhioni chiari di Molly si fissarono su di lei, squadrandola senza il benchè minimo pudore, e la povera dottoressa fu costretta a vedersela girare attorno un paio di minuti buoni, fino a che non la salutò, liberatasi della compagnia con la quale si stava educatamente intrattenendo, da brava Coroniana:

- Buona sera, Cox.
- Hey Doc, ti vedo...
- Mi vedi?
- In forma, come un cerchio di Giotto!
- ...
- Tranquilla, zuccherino, non ti sto dando della cicciona, anche se...
- Sis'!
- What?
- Lascia in pace Lelaine!
- Non ho detto niente...!
- ...
- Comunque serio, sei bellissima!

Povera Dottoressa, Blackwood. Quella peste della pilota si diede rapidamente alla macchia, dopo aver approfittato di un attimo di libertà per giocare ad uno dei suoi passatempi preferiti: "stuzzica Sweet-Lelaine".

La compagnia di Huck, quella di Declan, il saldo appiglio che era Vergil, anche con qualche bicchiere di troppo in corpo, le furono di grande conforto per buona parte della serata, dove spesso finì per incantarsi ad osservare la sorella, muoversi come una predatrice nel suo ambiente naturale. Fu in un momento di assoluta distrazione, ossia il ballo, il primo, degli sposi, che il Generale riuscì nell'impresa di accalappiare la pilota.

- Anastasyia sembra felice.
- She is...
- Lo pensa davvero?
- Lo so.
- Mh...
- Non è convinto, Generale?
- Niet.
- Le conviene farci i conti, 'Yuska è felice e se lo merita. Nemmeno a me lui fa impazzire, ma è anche vero che è un brav'uomo e che l'ama davvero. Inoltre so per certo che la proteggerà, no matter what, e a me questo basta. Mi basta vedere i suoi occhi, il suo sorriso... la guardi. E' radiosa, come non l'ho mai vista da che la conosco.
- Da.

Molly si voltò, allungando un buffetto alla spalla del Generale con il dorso della mano.

- Guardi che non le avrei mai permesso di sposare un allocco, eh!
- Mh?
- Non faccia il geloso... e pensi a divertirsi, nh?

Sfoderò uno di quei rari sorrisi, nati un po' per ruffianeria, un po' per affetto sincero, trasposizione dell'amore smisurato che l'ha legata da sempre alla sorella. Scappò via in un guizzo, per andare a cercare il proprio accompagnatore, e svicolare ovviamente dai doveri di una damigella d'onore. Il suo ormai l'aveva già fatto, era stata lì, le aveva tenuto la mano, ma da quel giorno in poi sarebbe stato compito di altri, sorreggerla quando non c'era lei. E le andava bene così.




sabato 9 novembre 2013

It's only a dream... only a dream...

Le tre del mattino in quel di Timisoara.
Molly Cox è seduta sul suo lato del letto, nella cabina del Capitano. Quelle poche volte che non devono separarsi, approfittano entrambi della possibilità di stare assieme, nello stesso letto che condividono da ormai una vita, senza rimpianti. Ansima, il respiro è corto, le mani premute contro il petto, con la spalla che pulsa di un dolore cocente, sordo. Gli occhi sgranati non mettono a fuoco, è buio. Vergil dorme profondamente al suo fianco, aggrovigliato nelle lenzuola.
Ancora quel sogno. Ancora una volta lo stesso sogno.
Da quando hanno subito un'intossicazione da spore allucinogene non riesce a dormire sonni sereni, a meno di sfruttare rimedi di natura chimica.
Le dita tremano, passando il viso madido di sudore, poi corrono al comodino, a recuperare il flacone. Trema troppo, non riesce a versare le pastiglie senza spargerle sulle lenzuola. E' un coacervo di sensazioni quello che le risale fino alla bocca: ha il sapore acido della paura, dell'angoscia.
Quella maledetta allucinazione la segue costantemente, si annida nei recessi scuri della sua mente, aspettando l'attimo di debolezza, di distrazione, per attaccare. Per azzannarle la coscienza e sbrindellare le difese, lasciandola annichilita ed impaurita a piangere lacrime amare. E la spalla non aiuta. Da quando ha avuto quella stranissima visione, scene si sovrappongono, alimentate da una paura di fondo. La notte prima era Dragan, quella successiva Electra, quella dopo ancora sono fantasmi di un passato ormai morto e sepolto. Poi la sagoma senza volto, quella bestia inumana che le strappa la carne a morsi e se ne ciba, lasciandolaa morire dissanguata in preda al dolore. E la spalla non aiuta. Quel bambino macabro dagli occhi rossi, quella nenia melensa che si appiccica al palato, la sensazione disgustosamente dolce che invade ancora le papille, trascinando i sensi in una spirale cupa, alimentata dall'inconscio. E si trova a chiedersi, ogni notte, se quello che sogna non è davvero successo. Se quello che rivive, notte dopo notte, è semplicemente il momento in cui è morta. Scuote la testa, non può essere, sa che non può essere. Quella parte della sua vita è un buco nero privo di contorni, una fetta di vita succhiata dalla morte, come pegno per permettere all'anima di tornare a calcare la terra, da viva. Il cuscino adesso fa troppa paura, la chiama, così come il corpo stesso invita al riposo, provato dall'assenza di sonno, eppure quello spavento non si lava via con una passata di lenzuolo sul sudore freddo. Slancia le gambe oltre il letto, barcolla in piedi prima di afferrare i jeans e scivolare fuori dalla cabina, buttandosi addosso un maglione che le è troppo largo e non le appartiene. L'odore aiuta. L'odore che non è il proprio, quello acre del terrore, l'odore pungente maschile le riempie le narici e assesta la mente su toni più morbidi, dandole un senso di protezione, di sicurezza in più, che è tutto mentale. Passa in cambusa, cerca il caffè. Ormai con la guerra e l'Aelia, il caffè è un lusso che non si possono permettere, ripiegando su di un surrogato acquistatoal bazar di Hall Point, qualcosa di vagamente rassomigliante, ma privo della rotondità e del sapore deciso che ha il vero caffè, quello di Bullfinch. Le istruzioni dicono un cucchiaio, ma la necessità ne richiede almeno il triplo. Forte, abbastanza forte da farle sgranare gli occhi e farla tossire un paio di volte. Scalza si aggira per la zona condivisa, ascoltando i rumori dall'esterno. Si affaccia dall'airlock. I movimenti sono vivi, nonostante sia notte fonda: una ronda di passaggio, soldati che chiacchierano, la vita scandita con una regolarità quasi da galera. Si immerge nella sickbay, osservando l'ordine delle cose. Lo sguardo si fissa sul deck, appoggiato su di una superficie piana. Lo fissa e ha la fortissima tentazione di chiamare sua sorella. Ci metterà molto, moltissimo, a decidresi, ma alla fine è sempre la scelta migliore da fare. Ogni volta che percepisce il seme della paura annidarsi in petto, lei è la luce. Vedere lei le ricorda che sono ancora vive. Che vivono, con passione, con ardore. Non sopravvivono a stento, ma succhiano ogni attimo di vita come fosse l'ultimo, proprio perchè... loro due l'ultimo respiro lo hanno condiviso assieme.
In fondo, si tratta solo di un sogno, e quella altro non è stata che un'allucinazione: nessun bambino, nessun mostro, nessun dolore... no, purtroppo quello rimane, sempre e comunque, ad abbattere i pensieri.

domenica 20 ottobre 2013

How much difference does it make...




- Non riesci a dormire?
- No. Questo cielo non è il mio cielo.
- Lui è contento, sei lontana dalle bombe.
- Siamo lontani dalle bombe.
- Anya è felice. 
- Perchè siamo lontani dalle bombe.
- Tu non sembri felice.
- Non si vede Polaris da qui.
- Quanta differenza vuoi che faccia? Polaris è in ognuno di noi.

- Anche la guerra.

***

Indifference - Pearl Jam

I will light the match this mornin'
So I won't be alone
Watch as she lies silent
For soon night will be gone

Oh, I will stand arms outstretched
Pretend I'm free to roam
Oh, I will make my way
Through one more day in hell

How much difference does it make?
How much difference does it make?

I will hold the candle
'Til it burns up my arm
Oh, I'll keep takin' punches
Until their will grows tired

Oh, I will stare the sun down
Until my eyes go blind
Hey, I won't change direction
And I won't change my mind

How much difference does it make?
Mmm, how much difference does it make?
How much...

I'll swallow poison
Until I grow immune
I will scream my lungs out
'Til it fills this room

How much difference?
How much difference?

How much difference does it make?
How much difference does it make?

Oooh, ooh
Oooh, oooh...

Straight out of Hell?

Molly osservava dalla plancia la sagoma metallica dello Skyplex ormai prossimo. Era passato talmente tanto tempo dall'ultima volta che era stata su Hall Point che si era ormai convinta non esistesse nemmeno più. Un peccato che tutto in quel 'Verse sbandato e strano continuava a farla tornare con la mente lì. Stavolta non poteva opporsi. Aveva una missione, una missione che odiava con tutto il cuore e che avrebbe seriamente preferito abbandonare, ma era qualcosa che andava al di là delle sue capacità, al di là di lei, di Haggerty di tutto il resto. Era ormai un soldato, forse non di faccia, senza spillette ne gradi, ma nel cuore aveva scelto e negli occhi di Trigger  vedeva lo stesso biasimo che vedeva nei propri ogni mattina quando si guardava allo specchio. C'era troppo in ballo ed in cuor suo sperava profondamente che non si riducesse tutto ad un sacrificio. Avrebbe voluto scommettere. Scommettere tutto quello che aveva che sarebbe sopravvissuto, che non era un addio, quel abbraccio serrato nella penombra del pit, nell'odore pesante di un secchio per gli escrementi, prima di lasciarlo andare al patibolo. Era una stretta che ricambiava, con la massima irruenza, con la voglia di trattenerlo, nasconderlo e non farlo più andar via. 

Il suono metallico degli airlock contro lo scafo della Monkey, nell'attraccare, le spedivano un brivido bruciante. La spalla, per pura azione del subconcio, faceva male più di moltissime altre volte e nessuna dose di antidolorifici riusciva a placarlo.

Tornata al punto di partenza, o forse a quello conclusivo del viaggio. 
Lei era morta, su quella lattina e non solo ci era morta lei, ma anche Anya
Odiava quel posto più di sè stessa eppure adesso, per amor di qualcosa che aveva sempre rifiutato stava accompagnando uno dei pochi amici che riteneva degni di tal nome alla propria fine. Si sentiva disperatamente in bisogno di bere. Non scese, lei no, lasciò che fossero gli altri a sbrigare quanto dovevano con Blackbourne, lei stette in cabina, la sua cabina, chiusa a scolarsi una  bottiglia di qualche schifezza sintetica. Aveva una voglia matta di chiamare qualcuno, tramite il cortex, ma nessuno se non una persona avrebbe potuto capire e non voleva, non voleva chiamarla. Premette il tasto per avviare la chiamata verso Anya, solo vocale, niente video. Il suono dall'altro capo della rete era distorto, al punto che quando ci fu risposta lei semplicemente riattaccò. Il pad trillò in risposta, ma non ce la poteva fare ad avviare la chiamata. Le scrisse un messaggio, dicendole che stavano per rivedersi, che finalmente avrebbero potuto abbracciarsi di nuovo mentre continuava a piangere come una bambina, rannicchiata sulla propria branda, nella propria cabina, mentre il resto della nave passava qualche ora sullo Skyplex prima di tornare sulla Monkey e partire.

Non fu una gran notte, quella. Rimase nella sua cabina, asserendo di non sentirsi troppo bene, rifiutando le cure di Alan, rifiutando la cena di Trigger. Vergil non insistè più di tanto, perchè in fondo sapeva qual era il problema vero.

- Ho ucciso un uomo.
- Certo che no.
- L'ho mandato a morire.
- E' una vita che si è scelto.
- Avrei potuto aiutarlo!
- Lo aiuteremo.

Finì per scivolare in piena notte nella sickbay, ciondolando avanti e indietro come una bambina spaventata, con la testa annebbiata dall'alcol e dalle lacrime, fino a che il pad non prese a vibrare di nuovo. Una sola riga, una frequenza cortex sconosciuta, ma sole due parole a farla scoppiare in un pianto dirotto.

"Sono vivo."

Il sollievo di quei vaggiti fu tale da risvegliare anche l'attenzione della scimmia. Se la ritrovò a fissarla, dal pavimento della sickbay, con quegli occhietti neri e il musetto innocente di chi cova tremendi tiri mancini dietro le spalle. Era vivo. Lei la fissava, silenziosa, con quella faccetta impudente, indisponente. E Molly non poteva fare a meno di continuare a piangere, a dirotto mise a fuoco gli stivali di qualcuno, stivaletti bassi, con poco tacco, mortalmente familiari. Strisciata di schiena contro i mobiletti nella sickbay, sollevò il viso rigato per inquadrare il bagliore rossastro di un sigaro. Si passò la manica della camicia sotto al naso, in un gesto avventato e scomposto, mentre una nuvola di fumo invase la sickbay. Non riusciva a dire nulla e sentiva il peso di quegli occhi addosso, l'unica cosa che seppe di dover fare era rimettersi in piedi. Senza parole a giudicarla, senza mani ad aiutarla. Mettersi in piedi, da sola, e poi gettarsi nell'impeto di un'onda emozionata contro Vergil, che stava solo aspettando i suoi stramaledetti tempi, mentre la scimmia già stava aprendo i cassetti e scombinando le garze arrotolate.

Tutto quello che ricordava Molly era un gran mal di testa e un bicchiere di brodaglia da buttare giù, mentre Trigger portava la nave verso Horyzon. Sembrava essere stato tutto un brutto sogno, e quando, un'ora prima di entrare in atmosferaà,comparve in plancia, tutti sapevano che stava meglio. Le venne ceduto il suo posto, e si trovò a che fare in poco tempo con una bella dose di turbolenze, mentre entravano nell'atmosfera di Horyzon. La pista della Blue Sun, le due torri, la familiarità di qualcosa di lontano, troppo lontano nella memoria e nel tempo. L'unica cosa che contava, quella davvero ma davvero importante era lei: Anya.

Lei era elettricità nell'aria, era calore, fuoco, che la spingeva all'assurdo, in uno stato di eccitazione tale da non stare proprio più nella pelle. Quando il portellone della stiva si aprì la vide, splendida, bellissima, provando un senso di fastidio e timore, nella paura di stropicciarla. Gli scherzi, i sorrisi e gli abbracci, mentre il pacco veniva trasferito nel silenzio. Un ampia gamma di sensazioni che scorrevano come un arcobaleno nella giornata piovosa di Capital City.  Il tè, i pasticcini, le chiacchiere e le serate fuori. La compagnia, con il peso del ritorno ad incombere sulle spalle. Alcol, dolcezza, perfino la scomoda presenza di Edan diventava qualcosa di familiare, al punto che - nonostante le spinte, le prese per i fondelli e il fastidio di fondo, oltre alla gelosia - riusciva a risultare simpatico, dopo un paio di bicchieri almeno. Era come essere in parte tornati ai vecchi tempi, ma aggrapparsi alla familiarità delle cose non cancellava quello per cui aveva votato di combattere. Sapeva di doverla lasciare, seppur con il cuore appesantito e l'anima stanca. Sapevano entrambe, guardandosi negli occhi, che ogni saluto poteva essere l'ultimo. La guerra le permise di assaporare con maggiore gusto la vita stessa, le piccole libertà che altri non potevano avere, inchiodati al fango nelle trincee. Non dimenticò nemmeno per un attimo perchè fosse lì, ma non si concesse di sprecare il tempo, prezioso, unico e raro. Quella non era la sua città, non era il suo pianeta nè il suo sistema, ma nel cuore stesso di tutto, c'era un pezzo di lei del quale non poteva dimenticarsi, nonostante avesse una missione. Una volta compiuta, conclusa, avrebbe salutato, l'avrebbe baciata, e si sarebbe messa in marcia, per attraversare di nuovo lo Stige, fino all'inferno, ancora una volta.