- Giù dalla branda, soldato!
Aveva sempre avuto
il maledetto vizio di urlare. Nessuno riusciva a toglierglielo, nemmeno
sua madre, in tanti e tanti anni di cristiana, pacata perseveranza. La
svegliava così, tutte le mattine, facendola volare dal letto e atterrare
di culo sul pavimento di legno della sua stanzetta. E se la rideva,
caricandosi uno scricciolo via via sempre più grande sulla spalla, con
la grazia di un sacco di patate e tante, tantissime lamentele. William
era uno facile ad alterarsi, un carattere decisamente poco incline ad
accettare le sconfitte, o i torti. Aveva ragione lui e non voleva
sentirne di altre, ma era un brav'uomo. Aveva due anni in meno di suo
fratello ed era pilota, altrettanto bravo, seppur decisamente più
spericolato. Aveva gli occhi chiari, i capelli erano di un
castano polveroso, riflesso di biondo. Portava la barba lunga e grandi
lunghi baffi vaporosi, per sembrare più minaccioso, diceva. Però di
minaccioso non aveva nulla quando stava con la nipote. Lui le aveva
insegnato tutto, specie quello che il padre non voleva sapesse. Le aveva
insegnato a sparare, come prendere la mira, a passare estremamente
vicina alle montagne o agli alberi, quando pilotava. Le aveva insegnato a
percepire la nave, in ogni piccola vibrazione. Lui era il sole, delle
giornate buie. Una risata guaiata, un sorriso sghembo ma pulito e la
dedizione di un uomo, forse con le sbagliate convinzioni, ma ligio a sè
stesso.
Poi un giorno,
arrivò la chiamata. Le mani callose e ruvide sulle spalle di una
diciottenne magra e in piena fioritura, come donna. Le sorrideva, se la
guardava, come se dovesse imprimersi nel fondo della retina l'immagine
di quegli occhi verdi, allungati, di quelle trecce e di quel muso
triste.
- Fai un sorriso al tuo vecchio zio, dai.
- Se poi non torni?
- Potrei mai lasciarti?
- Sì.
-
Non volontariamente, Winger. Se la guerra dovesse separarci, sappi che
ti verrò a cercare, in qualunque angolo del 'Verse tu vada a finire. E
abbi cura di lui, per me.
- Fate la pace, prima che parti.
-
Sai che è cocciuto, non mi darà mai ascolto, ma io ho bisogno di fare
questa cosa, per permettere a te... e a Cole, di avere un futuro sereno,
o la possibilità quantomeno di provare a costruirvelo, senza che
qualche sporco Corer vi rubi la terra o vi imponga com'è giusto vivere,
secondo loro.
Era bravo a farla
imbarazzare. Senza che lei aprisse bocca, lui sapeva esattamente cosa
aveva combinato, sempre e comunque. Erano infinitamente simili, non
c'era sangue ad unirli ma erano dannatamente uguali e l'affetto e la
devozione che li legava era dei più sinceri e profondi che una persona
possa mai conoscere. Non era sua nipote, ma l'amava più di qualunque
altra cosa al mondo, accettando anche quella testa di cazzo di Cole,
purchè fosse felice. Se la strinse fino a rubarle il fiato, stentando a
lasciarla anche quando lei accennava a dirgli che le stava facendo
male. Lui aveva la coscienza di capire che sarebbe potuto non tornare
indietro.
- Ah, zio.
- Dimmi Winger?
- Avrai cura anche di Cole mentre sei lì?
Rabbrividì. Non
trovava il coraggio di promettere una cosa simile, così come non aveva
avuto il coraggio, i giorni prima mentre lei si disperava, di giurarle
che sarebbe tornato. Si voltò, si staccò. Fece due passi indietro e un
gran respiro.
- Convincilo a non partire, ragazza mia.
- Non posso, suo padre... insomma, non posso. Lui e il fratello sono partiti questa mattina all'alba.
Era vero, Cole Jackson
non era il ragazzo migliore che si era prospettato per sua nipote, ma
dannazione aveva solo vent'anni. Poteva la guerra portarsi via un
ragazzino? A quanto pare sì, e cosa peggiore, Dean, il fratello minore, aveva la stessa età di Molly.
- Winger io...
Non fece in tempo a
parlare. Non fece in tempo ad aggiungere altro che arrivò la jeep per
portarlo via. Lo chiamarono, due volte. Cooter era sul
mezzo che continuava a borbottare di muoversi, di non perdere altro
tempo, che avevano una guerra da combattere e vincere. Lui, messo sotto
pressione dalla presenza dei vecchi compari, allungò una carezza al viso
della nipote, le sorrise, rassicurante come sempre e voltò le spalle.
Quello che aveva da dire glielo aveva detto, ogni giorno della sua vita,
da quando lei ci era entrata, prima ancora che lei imparasse a capire o
a parlare. Non avevano bisogno di parole, non loro due.
***
Jacob Cox, detto The Saint
Si dondolava sulla
sedia, sotto il portico della casa paterna. Accanto la madre
sferruzzava, aveva i capelli raccolti in una crocchia rigida, striati di
grigio e chiazzati di bianco. Le mani erano raggrinzite e artritiche,
avanti con gli anni, continuava comunque a badare ai due figli maschi,
sua disperazione.
-
Il signore agisce in modi davvero strani. Ho sempre voluto un nipote,
ma voi eravate ormai decisi a non soddisfare le pretese della vostra
povera vecchia madre, e invece.
- Mà, non è stato il signore a mandarci quella palla, è stata la sfiga.
-
Non essere sciocco figliolo, un bambino è sempre una benedizione e tu
hai fatto la cosa giusta, Jacob, smettila di tormentarti inutilmente.
Quella bambina starà bene, con voi.
-
Siamo sempre via, Mà, e non mi pare il caso che tu debba occuparti di
una poppante appena nata. E poi è un casino, adottarla e tutto, troppe
scartoffie e io non ho il tempo, oltre a non avere idea del chi siano i
suoi e da dove vengano.
- Sono certa che saprai fare del tuo meglio, Figliolo, e non ha importanza chi fossero i suoi, ormai è una Cox e...
Molly Cox venne interrotta dal pianto a dirotto della bambina, oltre che dalle bestemmie di William
che non riusciva davvero a farla smettere. Sorrise, tremolante e
piccola, rinsecchita. Scostò i ferri e si alzò, coadiuvata dal bastone e
dalle premure del figlio maggiore, che si era preso incarico di badare a
lei da quando il padre era venuto a mancare, otto anni prima. Appena la
vecchina entrò in casa, la piccola smise di strillare. Aveva solo fame,
bisogno di attenzioni. Jacob era provato, mortalmente,
combattuto tra l'aver fatto la cosa giusta e il peso della
responsabilità di una simile scelta. Era sempre stato un uomo buono,
rigido, severo, ma onesto, fino al midollo. Aveva rifiutato la
possibilità di contrabbandare, che gli avrebbe portato un guadagno più
ingente, la possibilità di acquistare una nave propria, di nuovo, ma non
poteva venir meno agli insegnamenti del padre. Quando trovò la piccola
aveva 32 anni. Era un uomo maturo, che aveva amato una sola volta e che
aveva deciso di rimanere fedele a quell'unico amore che la malattia si
era portato via, in un giorno di primavera. I capelli neri, la mascella
volitiva, gli occhi azzurri come quelli del fratello, eredità del padre,
come i tratti duri e la barba incolta che si lasciava crescere per
dargli un aspetto trasandato e smunto. Non sorrideva mai, le labbra
erano sempre tese in una linea netta, rigorosa e seria. L'opposto di suo
fratello, lo Yin dello Yang. Parlava poco e quando lo faceva aveva la
pazienza infinita di ascoltare ogni lamentela, ogni ragione, senza mai
scendere dalle proprie o arretrare. Lo chiamavano il Santo per la sua
propensione alla religione ma non solo. La sua pazienza, la sua
impassibilità erano storiche. Nessuno, nemmeno il fratello scapestrato,
riusciva in alcuna maniera a scalfire la corazza di serietà che si era
costruito attorno, eppure manteneva sempre un approccio educato, un modo
di fare compito e pio. Xiu Lin, la donna della sua vita,
la moglie che non riuscì mai a sposare era l'unica in grado di dargli il
sorriso, e allo stesso tempo di far crollare il siparietto di Santo, in
virtù di quella dell'uomo, semplice, debole, vinto. Non aveva avuto
nessun'alta ragazza nella sua vita e adesso, si ritrovava un frugoletto
tra le mani senza sapere che pesci prendere. William uscì dalla casa, borbottando qualcosa riguardo i polmoni e la bocca larga di quella bambina.
- Non ci sai fare fratello.
- Perchè, tu sì? E' carina solo quando dorme. Secondo te possiamo addestrarla come con i cani?
- Non è un animaletto da compagnia, Will, è una bambina.
- Non le hai ancora dato un nome. Io pensavo a qualcosa di figo, tipo Vento selvaggio o Cavallo pazzo.
- Solo tu puoi uscirtene con una cosa simile, immagina che vita passerebbe, con un nome del genere.
- Bhè, visto che sei tanto bravo, dinne uno tu.
- Pensavo a Winger.
- Che cazzo di nome è? A questo punto dagli quello di Mà e facciamola contenta.
- Mh. (ci stava pensando) Non è male. Molly Cox.
- Quindi abbiamo deciso di adottarla?
- Sì.
- Va bene, se sei convinto.
- Sì.
- Guarda che io non le cambio i pannolini, eh!
-
Lo farai eccome. Ad ognuno il suo. Ci siamo dentro entrambi, però... mi
prenderò io carico di lei, stai tranquillo. Potrai fare lo zio.
- Ci mancherebbe altro, Cristo santissimo, non augurerei a nessuna bestiola di avermi come padre e mi guardo bene dal cascarci.
- Non cambierai mai.
- Grazie al cazzo, non voglio cambiare. Mà! Quanto manca alla cena?
William si alzò, rientrando in casa per dare una mano alla propria madre, come facevano da ragazzi, dopo aver caricato il Wyoming del padre. Il Freedom cry.
Avrebbe voluto tanto che non glielo portassero via, ma i soldi erano
quelli che erano, i debiti troppo alti e la nave troppo costosa. Era
riuscito a ripagare tutto, un dollaro e un peso alla volta, fino a
mettere da parte quanto bastava per comprare una nave, ma adesso aveva
una bambina a cui pensare e la loro Destiny avrebbe aspettato, almeno qualche anno ancora. Molly Cox
portò la bambina, pulita e nutrita, a quello che sarebbe stato il suo
papà, da allora fino alla fine dei suoi giorni. La pose tra le braccia
di un Jacob completamente impedito, ma rapito, da quegli
occhioni dal colore indefinito ma chiaro, che lo puntavano senza
vederlo. Troppo piccola davvero. Fragile, tanto che avrebbe potuto
recidere il filo della sua vita con una semplicità inquietante, e
invece, aveva ormai deciso che l'avrebbe fatta vivere, crescere e resa
felice, in un modo o nell'altro, per quanto lui potesse concedere quel
genere di emozioni, raggrinzite nel suo petto che aveva ripreso a
battere dopo tanto tempo per una donna, o meglio, una miniatura di
donna.
***
Cooter Jackson, detto Trigger
Stava osservando
il figlio smontare il carburatore della moto. Il cipiglio severo
smorzato da un sorriso blando e in parte fiero. Dean era
un piccolo portento con i motori, un talento naturale che non si fece
mai scrupolo di cogliere. Quella moto l'avevano comprata da un
robivecchi a Richleaf,
andava completamente revisionata e sicuramente necessitava di pezzi di
ricambio ma gli sembrava il regalo migliore per il dodicesimo compleanno
del secondogenito.
- Pà, passami il cacciavite a stella dai.
- Quale cazzo è?
- Fa niente, ci penso io.
Dean si spostò, impossessandosi del cacciavite che gli serviva per aprire il pezzo e constatarne le condizioni. Cole
comparse alle sue spalle. Un sorriso da schiaffi, fischiettando mentre
cercava di svicolare dagli occhi attenti del padre. Ne aveva combinata
un'altra, sicuramente. Cooter Jackson sapeva perfettamente
leggere i suoi figli, dal maggiore, una sacrosanta testa di cazzo, alla
più piccola, uno scricciolino biondo con le treccine e le lentiggini.
Ne aveva quattro, il maggiore aveva appena fatto quattordici anni e
credeva di aver capito tutto dalla vita, con la sua passione sfegatata
per il volo e le armi, il secondo, il futuro meccanico, dodici anni di
incredibile dolcezza, un carattere un po' introverso ma familiare e
modesto. La terza figlia che Mary Ann Jackson
gli diede nacque in una notte turbolenta, e sì, aveva lo stesso
carattere di merda di un temporale elettromagnetico. Pretenziosa,
fastidiosamente saccente, aveva deciso che sarebbe stata medico. La
piccina, Demi, era una creaturina selvatica ma
estremamente dolce, un carattere mite, anche se, quando decideva una
cosa, nemmeno una carica di bisonti poteva farle cambiare idea. Erano
tutti diversi, completamente, ma in un certo qual modo, riassumevano
ogni aspetto dei genitori.
- Swift, dove stai andando?
- Da nessuna parte, Pà.
- Non starai andando dai Cox, lo sai che Winger non può giocare con te, è in castigo, a causa tua.
-
Ma no, non ci vado e comunque non è stata colpa mia, ha insistito lei
per farci quel giro a cavallo, che colpa ne ho io se è caduta e si è
slogata la spalla?
- Sei un coglione. Sei più grande di lei, avresti dovuto dissuaderla o quantomeno proteggerla.
- Maaaa Pààààà!
- Tu guarda se a me toccava un figlio pirla. Te lo ripeto, non andrai da lei.
- Ma è sola! Si annoia.
-
Starà meglio lontana da te visto in quanti guai siete capaci di
infilarvi, voi due. Altrimenti porta con te le tue sorelle, almeno le
faranno un po' di compagnia.
- Ma porc... checcazzo Pà!
- Linguaggio!
Non c'era speranza. Cooter
lanciò in faccia al figlio una pezza sporca di grasso da motore e lui
reagì con un bullone. E fu guerra. Facevano sempre così. In fondo, era
un uomo decisamente a modo. Aggressivo con chi non conosceva ma un amico
leale e fedele. Era un buon marito, anche se a volte alzava un po'
troppo il gomito. Era un buon padre, severo e con la sculacciata facile
ma in fondo i suoi figli erano cresciuti sani e forti. Un anno in meno
di Jacob Cox, amici di lunga data ma più vicino a William
per carattere. Quando arrivò la guerra non ci pensò due volte. Salutò
la moglie, abbracciò le figlie e si incamminò con il sangue del suo
sangue, ad affrontare una guerra da cui non sarebbe più tornato l'uomo
di prima.
***
Cole Jackson, detto Swift

- Insomma la vuoi piantare? Mi fai male!
- E te lo meriti, Cole Jackson, sei un demente, guarda che hai fatto!
- Demente io? Sei stata tu a cominciare, Cox!
- Vaffanculo, Swift!
- Vacci tu!
Litigavano sempre, da quando aveva memoria. Erano praticamente cresciuti assieme, nonostante Cole fosse nato due anni prima. Era il secondo in comando della compagnia, il terzo in ordine di età, ma Yin Chen non era all'altezza dei guai che sapeva combinare lui, suo fratello Lou era abbastanza grosso da avere la meglio su di lui, altrimenti sarebbe stato il capobanda. I gemelli Chen avevano un paio d'anni in più di Cole, abitavano le terre tra i Jackson e i Cox. Molly era coetanea di Dean ma andavano tutti a scuola al monastero. Erano un bel gruppo, tra i figli dei Chen e dei Wong, si incontravano spesso lungo il fiume Yin-Sè, a giocare e progettare scherzi. Quel giorno però lo scherzo finì male, prevalentemente per colpa di Cole.
Aveva proposto una sfida, e tutti avevano accettato. Con i carretti,
buttarsi giù dalla collina e vedere chi arrivava per primo. Ognuno aveva
'preso in prestito' il suo da casa, anche se i Chen usavano uno in due. Gli altri partirono, la sfida fu entusiasmante, divertente, ma Cole
non sapeva davvero fermarsi. Se ne uscì con un'idea ancora più pazza:
vinceva chi arrivava più vicino alla sponda del fiume che cadeva a
strapiombo sotto, sulle rapide. Un'idiota fatto e finito. Molti si
ritirarono ma lui no. Problema era che lui aveva bisogno di sfidare, non
poteva farlo da solo, così cercò con tutte le sue forze di provocare Molly,
quella più facile su cui far leva, in virtù del caratteraccio che aveva
sempre avuto, facile agli scoppi d'ira. Lei ci cascò, con suo sommo
orgoglio. Finì non propriamente bene, perchè l'idea era davvero stupida e
il terreno non esattamente favorevole. Si schiantarono, letteralmente,
ma almeno non finirono di sotto. Ci finirono invece i carretti, che
ovviamente non dovevano toccare, per cui, erano guai grossi. Molly
gli saltò addosso, come tante volte prima e cominciarono a rotolare
nella polvere a prendersi a botte, mentre attorno gli amici incitavano
alla rissa e il piccolo Dean cercava di separarli. Sotto un coro di "Botte-Botte-Botte-Botte" Cole fu costretto ad incassare i cazzotti di Molly,
e cercare di bloccarle le mani. Non la picchiava, perchè mesi prima gli
accadde di fare sul serio e lei si fece davvero male, una cosa che in
fondo, per quanto idiota fosse, non si era ancora perdonato. Dieci anni e
già incredibilmente stupido. Con le mani strette attorno ai suoi polsi
riuscì finalmente a sopraffarla, sulla riva, che sotto poteva sentire il
gorgogliare del fiume nelle rapide. Ansante e dolorante, la fissò a
lungo mentre gli altri si erano dati ad una rapida fuga perchè stavano
arrivando i genitori. La jeep macinava polvere su polvere, lasciando una
scia facilmente intuibile.
- Sta arrivando papà, Cole, andiamo! (Dean era preoccupato)
- No! Winger deve chiedere scusa!
- Ma scusa di che! Tu mi hai buttata fuori strada!
- Non essere ridicola, sei stata tu a tagliarmela!
-
Non è vero, rosichi perchè stavo vincendo e se non fossi stato così
incapace alla guida, staresti piangendo per l'amara sconfitta, come
sempre!
- Sei davvero una brutta cretina, Molly Cox!
- Non chiamarmi Molly, idiota!
- Ti chiamo come mi pare e piace, stupida Molly.
- Smettila Cole!
- No che non la smetto, faccio quello che voglio, hai capito? E tu farai quello che voglio io!
- E perchè dovrei, sentiamo?
- Perchè mi appartieni, ecco!
- NON E' VERO NIENTE!
- SI' INVECE!
Lei non sapeva
come rispondere e lui ne ghignò. Succedeva ogni volta. Ogni volta
finivano per litigare, farsi male, prendersi a parolacce e poi lui,
puntualmente, la zittiva e facevano pace. Dopo un giorno o due. Cole
era fatto così. Adorava prenderla in giro, e per quanto si ostinasse a
dire che stava meglio quando lei non c'era, non era vero. Avevano le
stesse passioni, gli stessi sogni. Lei era la sua migliore amica e,
crescendo, si rese conto che non si trattava solo di quello. Da
ragazzino era secco, con i capelli biondi dal ciuffo laterale, gli occhi
azzurri del padre e un sorriso sempre brillante. Era intelligente e
spigliato, ma aveva anche un carattere ribelle, indomabile. Voleva
sempre averla vinta, non sopportava di essere secondo a nessuno e
affrontava chiunque o qualsiasi stupida sfida pur di dimostrare di
essere il migliore. Crescendo non migliorò affatto. Affinò solo le sue
abilità di pilota, concentrandosi unicamente su quello e sulle armi.
Sapeva sparare bene, e puntualmente finiva nei guai per quello. E lei
era sempre lì, in mezzo ai piedi, a litigare, a finire per odiarsi e poi
tornare insieme.
Molly cresceva in maniera del tutto insperata, causando acidità di stomaco a Jacob e a William, perchè Cole era davvero uno scapestrato senza controllo nonostante Cooter
ce la mettesse tutta per raddrizzare il figlio. Finirono anche per
scappate, via da lì, insieme, ma ripescati il giorno dopo e trascinati a
casa con le cattive, tre settimane prima che decidesse di andare in
guerra. Non era affatto contenta.
- Se volevi una scusa per lasciarmi almeno potevi evitare di andare in guerra, sai?
- Oh cristoiddio, Winger, non voglio lasciarti!
- A me sembra tanto che lo stai facendo.
-
Bhè, non capisci un cazzo. Non ho intenzione di discuterne anche con
te. Dovresti essere felice, vado con Dean, Pà e con Dusty.
- ...
- Winger, ascolta...
-
No, Swift, ascolta me. Se tu vai a combattere questa guerra, tu non
tornerai a casa. Perchè devi sprecare il tuo talento? Pà dice che non ha
senso, che non c'è bisogno perchè non c'è speranza. I Corer non avranno
piet-
- TUO PADRE NON SA UN CAZZO!
- ...
- (diede fondo a tutta la pazienza che aveva)
Io ti amo, e farò il possibile per tornare da te, ok? Ricordi cosa ti
ho promesso quando per poco non ti beccavi un proiettile per colpa mia?
- Sì.
- Ti fidi di me?
- Sì.
- Brava. Ora sorridi, adoro quando lo fai.
Si sforzò di
sorridere per lui. Si era fatto estremamente affascinante, molto simile
al padre, nei tratti, ma aveva quella sfrontatezza e quel sorriso
strafottente che mandava le ragazze in brodo di giuggiole. Lei era
troppo orgogliosa per dargliela vinta, ma, intimamente, subiva come
tutti il suo fascino da cattivo ragazzo. Di contro, l'ostinazione di lei
era quello che lo faceva impazzire. Non era mai stato elegante, nemmeno
delicato. Aveva solo imparato a gestirla, conoscendola come le sue
tasche. L'afferrò per i fianchi e se la tirò addosso, rubandole un
bacio, prima di caricarsela in spalla, tra gli schiamazzi e le
lamentele, con tanto di pacca goliardica sul sedere e di tuffo nella
paglia nel fienile. La seguì, subito dopo, finendo per nascondersi tra
il fieno, scavando per cercare di nascondersi meglio alla vista,
scansando la polvere e sfilando fili d'erba dai suoi capelli. Era alto,
era diventato ben piazzato, aveva spalle larghe e una vita estremamente
sottile, i muscoli delineati dalle lunghe nuotate e dal lavoro
manuale e quel maledetto ciuffo che gli scivolava sugli occhi, ma che in
fondo adorava scansargli.
- Promettimi una cosa, Wing...
- Dimmi...
- Mentre sono via, non metterti la gonna. Non vorrei mai che qualcuno ti vedesse e pensasse che sei libera.
- Ma.. che c'entra??? E poi io con la gonna? Ma sei matto?
- Staresti bene, hai delle belle gambe.
- ... (era imbarazzata)
- Sei carina quando ti imbarazzi.
- Sono carina sempre.
- No, questo non è vero.
- Che stronzo!
- Questo sì che è vero.
- Cole...
- Molly...?
- Ti mancherò?
- Come l'aria. C'è (era indeciso) una cosa che non sono mai riuscito a dirti.
- Ah?
- Bhè ecco, io... io insomma. Molly io ti... insomma vuoi tu... mi spos-
- COLE JACKSON, DOVE CAZZO SEI????
- Merda, papà... vai! ARRIVO!
- Shit!
- Che diavolo fai nei fieno ragazzo?
- Cercavo... ahm... le chiavi!
- WINGER SEI LI'?
- ...
- Ma che vai pensando?
- Entra in casa, imbecille. Lo sai che non voglio che vi ficchiate nei guai! WINGER, vai a casa, tuo padre sta venendo a cercarti!
- Merda! BUONASERATA SIGNOR JACKSON!
Lui rideva, mentre
lei partiva in quarta, di corsa, verso casa uscendo da dietro così che
non potessero vederla. Suo padre non rideva affatto e anzi, continuava a
tirargli ceffoni che lo facevano scivolare con il ciuffo davanti agli
occhi azzurri. Era irrecuperabile, lo erano entrambi. Due giorni dopo
sarebbero partiti. Lui le scrisse, spesso, fino a che fu possibile, poi
però arrivò quel dannato giorno: Serenity Valley.
Non
riuscì mai a chiederle se volesse sposarlo e forse è stato meglio così.
Non si sarebbe mai perdonato di farne una vedova, così giovane.
***
Doctor Lee Wong

- Perchè usiamo le arance?
- Perchè la pelle umana è più difficile da bucare di quanto immagini, ci sono molti strati al di sotto e non puoi esercitarti a bucare il sedere della gente così, per imparare.
- E perchè non una patata o un pomodoro?
-
La buccia del pomodoro è troppo sottile, la patata invece non ha
proprio niente a che vedere con il corpo umano, è troppo tosta, no?
- Mh...
- No?
- Mi hai convinta.
- Oh grazie, troppo magnanima Dottoressa Cox.
Lei
rise. Lui la guardava ridere e se ne compiaceva. Gli avevano insegnato
che ridere non era mai un bene, per quello non esagerava mai, non c'era mai reale compiacimento, ma solo un mesto e quieto concedere. Aveva i tratti scavati dal tempo, quaranta due anni, ma nessuna striscia di grigio o bianco tra i capelli. Non era mai stato alto, però era nervoso, i muscoli tesi, gli occhi neri, la pelle gialla come tutti i cinesi. Niente di diverso dagli altri. Di carattere, Lee Wong era un uomo introverso, comunque in grado di mantenere una parvenza di fredda cortesia, educazione e gentilezza apparente. Stava sempre attento a non perdere il controllo, metodico in ogni cosa. Per questo era strano che l'avesse accetta sotto la sua ala per qualche tempo, per insegnarle quello che c'era da sapere sul come fare il medico. Non aveva mai avuto assistenti, li trovava di enorme peso e fastidio, più un ridicolo eccesso di zelo che una reale necessità. Con lei era stato tutto diverso. Già
quando era bambina l'aveva aggiustata innumerevoli volte e per quanto
si lamentasse e strepitasse come una bambina viziata, sapeva che si
sarebbe rimessa senza lamentele. Aveva lo sguardo vivace ed intelligente
di chi si interessa con genuina curiosità e senza ristrettezze mentali a quello che faceva. Ebbe la conferma della buona scelta fatta quando fu chiamato d'urgenza dalla famiglia Carter e lei lo accompagnò. Parlò con Aaron e seppe cosa doveva fare anche solo ascoltando. Guardandosi attorno non vide più Molly, la trovò ad avere cura di un cavallo che si era rotto la zampa, il motivo per cui lui era lì.
- Winger, come mai sei qui?
- Va abbattuto, Lee.
- Sì.
- Lo sapevo, però sarà veloce vero?
- Certo, come sempre.
- Tu dai una morte pulita a tutti quanti, sì?
- E' quello che cerco di fare.
- Perchè se la meritano tutti, una morte pulita?
- Non tutti.
- No?
- No, ma non fa differenza.
- Suppongo. Berta dice che tu preservi la vita.
- Vita e morte sono le due facce della stessa medaglia, un equilibrio che molti dimenticano necessario.
- Posso farlo io?
- Vuoi farlo tu?
- Sì.
- Devi avere la mano ferma.
- L'avrò.
- Soffrirà se non avrai mano ferma.
- Non sta già soffrendo?
- Molto, sì.
- E' pietoso, questo?
- No. E' l'unica cosa che possiamo fare, è inutile prolungare le sue sofferenze oltre, e il padrone non è disposto a tentare nulla.
- Non c'è niente che si possa fare.
- Ne sei sicura?
- Sì.
- Come lo sai?
- Guardalo.
Lee lo guardò. Il cavallo si era fratturato la zampa in tre parti, non sarebbe mai tornato lo stesso, pur con un miracolo, e comunque sembrava stranamente abbattuto, il ventre gonfio, il respiro strano. Aggrottò la fronte.
- Winger il cavallo...
- E' malato.
- Come lo sai?
- Ha una ferita purulenta sotto lo zoccolo della zampa rotta. Probabilmente è per quello che è successo tutto questo.
Si chinò a guardare sotto lo zoccolo, era vero. Allargò lo sguardo e sospirò. Prese un lungo respiro e aprì la borsa, cacciando la pistola. Gliela porse era carica. Molly fasciò la testa del cavallo in modo che non potesse vedere, il respiro dell'animale si era calmato, ma effettivamente la bestia era divorata dal dolore e dalla malattia, c'era qualcosa di folle e disperato nei suoi occhi scuri, prima che il buio calasse e la quiete lo cogliesse. Lei aveva la mano ferma, teneva gli occhi aperti e quando premette il grilletto fu una morte pulita. Sapeva dove sparare.
- Brava.
- Grazie.
- Adesso andiamo, dai.
- Che ne faranno?
- E' infetto, va bruciato.
- E' meglio.
- Sì.
- Winger...
- Sì Lee?
- Torniamo in studio, ti insegno come suturare una ferita, vuoi?
- Con le arance?
- Ahahaha. No. Con le zampe di maiale.
- Schifo!
Continuò a ridacchiare, ma fece esattamente quello che le aveva detto. La riempì
di pezzi di maiale, con la cotenna e tutto, su cui esercitare le
suture. Scioglierle e rifarle da capo, con una cura meticolosa. In
venticinque anni di onorata carriera ne
aveva viste di ogni colore e non si era mai sentito orgoglioso di quello
che sapeva fare. Lo aveva imparato perchè dovuto, perchè c'era sempre stato un Dottor Wong, in quella parte di Shijie e doveva continuare ad esserci, ma non aveva mai nutrito alcun interesse per il suo ruolo, nè cercava soldi o fama. Era dovuto, tutto qui. Il
padre glielo aveva detto, che non sarebbe mai stato eccelso, eppure,
guardare gli occhi chiari di quella ragazza e trovarci un pizzico di ammirazione gli faceva bene all'animo. In fondo era per questo che l'aveva accolta, no? Per la luce nei suoi occhi.
***
Berta Kavanagh

Faceva un freddo cane. L'estate era
stata particolarmente torrida, e tutti convenivano nel dire che
l'inverno sarebbe stato, di contro, decisamente rigido. Già verso
settembre l'autunno fece piombare la regione in una sequela di
interminabili giorni di pioggia, e ben presto, alla fine di ottobre,
arrivò anche la neve. I primi di dicembre ne cadde talmente tanta
che i genitori o chi per loro furono costretti ad andare a prendere i
ragazzini dal monastero, alla fine delle lezioni. Berta
fu spedita a recuperare Molly,
visto che Will
e Jacob
erano in viaggio. Quando arrivò, il cortile era gremito di urla. Non
era mai stata una bella donna, anzi. Alcuni la scambiavano per un
uomo, e lei si vestiva come tale. Sempre imbronciata, masticava
tabacco e sputava costantemente. Aveva un dente d'oro, mani callose e
abituate ai lavori duri. Nel cortile del monastero si ritrovò a
guardare una giovane Cox
intenta a menarsi con un gruppo di altri ragazzini. Era arrivata
prima, per cui nessuno dei genitori né dei monaci era lì presente a
tenerli d'occhio.
- Ehi!
Che accidenti vi prende?
Un
coro di 'Botte! Botte!
Botte!' si era levato
dal gruppetto che circondava un ammasso di ragazzini inferociti come
un ring creato appositamente per lo scontro. Erano in sette: Molly
e Cole contro
altri cinque. Lei le aveva prese di santa ragione, le erano saltati
due denti da latte, aveva spaccato il labbro ed aveva un occhio mezzo
chiuso a causa di una tumefazione che faceva pensare in un bel occhio
nero, l'indomani. La sclera era macchiata da qualche capillare
spezzato, eppure non si fermava. Continuava a mulinare pugni, cercare
di mordere e tirare calci come un'assatanata.
- Ridillo
un'altra volta Ffe hai coraggio! Ridillo, Malcom!
- Sei
una stupida orfana! Tua madre non ti voleva!
- DAAAAAAAAAH!
- Non
Ffai niente!
Le
esse le fischiavano quando parlava. Era buffa, ma quello che
preoccupò Berta era l'argomento della lotta. Arrivò alle spalle di
Dean Jackson,
che povero ragazzo cercava solo di farli smettere:
- Vi
prego smettetela, Cole! Così vi fate male! Guarda quanto sangue!
- Fatti
gli affari tuoi, Dean!
- MA
SONO MIEI!
- FFTA
FFITTO DEAN!
- Ma...
Winger...
Berta
appoggiò la mano sulla testa di Dean
e gli sorrise, spostandolo senza aprire bocca. Avanzò verso la zuffa
e spedì uno per uno i ragazzini col culo nella neve, cercando di
liberare Molly.
La prese per la collottola della giacca, scrollandola come un
gattino. Era secca, per quanto imbottita dal giubbotto, per la donna
robusta non era davvero un problema sollevarla, lo faceva sempre con
le casse. Lei era il meccanico di fiducia di tutta la zona, oltre che
il macchinista della Destiny.
- LaFFFiami,
Berta! Devo Ffpaccargli la faccia!
- Tu
non spacchi la faccia a nessuno, Winger. Adesso vieni a casa.
- Ma...
ma... MA BERTA!
- Non
'Ma Bertarmi', sai?
- UFFFFFFA!
- E
voialtri, prima che vi pigli a schiaffoni e vi spedisca dai vostri
genitori con i culi in fiamme a furia di pedate, vedete di girare al
largo. Jackson, prendi tuo fratello e portalo a casa, che il ragazzo
deve venire in officina più tardi!
Berta
Kravanag era la voce più
sgraziata e greve che la regione ricordasse. Era una donna
estremamente corpulenta, i tratti grossolani, la scarsissima cura di
sé stessa. Era la sesta di sei figlie femmine. Il padre, Arthur,
aveva tentato inutilmente di avere un figlio maschio. Diceva sempre
che Berta era la cosa più vicina che era riuscito ad ottenere.
Qualcuno diceva che le piacevano addirittura le donne, ma non davanti
a lei. Era facile alla rissa e soprattutto era davvero brava con i
coltelli, oltre che con gli attrezzi. Nessuno osava contraddirla,
perchè i suoi calci erano rinomati in tutta la regione per aver
spedito più di un galantuomo a ruzzolare nella polvere. Aveva 39
anni, era zitella, e di chiacchiere su di lei ne intessevano a
bizzeffe, ma lei non se ne importava. Era una formidabile
cavallerizza, sapeva suonare l'armonica e aveva anche insegnato a
Molly come
smontare e pulire per bene revolver e shotguns. Lavorava
nell'officina del padre, lui le aveva insegnato tutto quello che
sapeva, e quando l'artrite reumatoide gli indurì le mani al punto da
non poter più reggere un cacciavite, lei prese le redini della
baracca e riuscì a raccattare giovani volenterosi: Dean
Jackson era uno dei
novellini, a quel tempo era solo un garzone, ma avrebbe imparato
presto a fare di tutto e a rendersi molto utile.
- Mi
fai male, Berta!
- Ti
sei fatta male da sola, Winger.. che cavolo ti è venuto in mente di
azzuffarti con quelli? Malcom Godspeed è almeno tre anni più grande
di te, per non dire più grosso. Quante volte ti devo dire di non
attaccar briga con quelli più grossi?
- HAI
FFENTITO COFF'HA DETTO!
Molly si
stava alterando. Ma Berta
non era proprio tipo da sottostare agli scleri di una ragazzina. Si
voltò mentre la trascinava verso la jeep, la fissò diritta negli
occhi, con quello sguardo scuro, marrone quasi nero, occhi piccoli e
terribilmente profondi, che la misero in riga senza nemmeno dover
aprire bocca o sciogliere il piccolo broncio che la caratterizzava.
Sputò un grumo di saliva e tabacco.
- FcuFa
Berta.
- Così
va meglio, sali sulla jeep.
- Fì.
- ...
- ...
- ...
Ascolta Winger, so che ti fa rabbia questa situazione, ma devi
ricordarti sempre che tutto quello che diranno su tua madre sarà
solo per ferirti, right? Perchè tua madre non ha voluto lasciarti, è
morta mettendoti al mondo. E no, non è colpa tua, prima che ti venga
in mente anche solo di pensarlo. Ne incontrerai tanti ancora coglioni
quanto Malcom Godspeed, dio non voglia, forse anche peggio di lui. Ma
devi sempre ricordare che hai avuto una fortuna che ad altri non è
toccata: quella di avere qualcuno che ti amasse e si prendesse cura
di te.
- Lo
Fo, Berta, FcuFami.
- Basta
scuse, sai che odio i piagnistei. Piuttosto, prendi il fazzoletto e
datti una pulita. Se i tuoi tornano con te in queste condizioni, poi
chi glielo spiega?
- Ma
tu non centri niente, Berta, glielo dico io a papà che non è Ftata
colpa tua.
- Sei
molto carina, Winger, ma è mia responsabilità avere cura di te
quando tuo padre è in viaggio, got that?
- Yep.
- Ora
fai la brava, pulisciti un po' il viso che ti porto in città e Lee
ti da un'occhiata. Starai in officina con me, oggi, tanto a casa non
c'è nessuno.
- Okay!
Era
bastato davvero poco perchè Molly
smettesse di essere triste. Berta la guardava con una certa dolcezza.
Forse era l'unica persona in grado di farla ammorbidire un poco,
perchè era burbera con tutti. Con Will
non faceva altro che urlare, e lui ovviamente le rispondeva a tono.
Con Jacob
c'era una fredda lealtà, impostata su toni molto blandi. Potevano
stare in silenzio per molto tempo e nessuno dei due si sarebbe
smosso. Parlavano mugugnando, comunicavano a quella maniera. Molly
Cox,
la madre di Jac
e Will,
aveva messo al mondo le ultime tre sorelle Kravanag.
Le famiglie erano molto vicine, e Berta
adorava la vecchia Mò.
Quando lei morì, promise che si sarebbe presa cura della piccolina a
cui avevano dato il suo nome, giusto per non dimenticarsi mai chi
l'avesse messa al mondo. A suo modo, lo fece, sempre e comunque. Lei
c'era sempre, quando c'era bisogno di lei. L'unica figura femminile,
a parte Mary-Ann Jackson
che Molly
ricordi di aver avuto nella propria vita, per quanto, femminile non
sia propriamente il primo termine che viene in mente quando si pensa
a Berta Kravanag.