sabato 6 aprile 2013

People are strange...

William Cox, detto Dusty




- Giù dalla branda, soldato!

Aveva sempre avuto il maledetto vizio di urlare. Nessuno riusciva a toglierglielo, nemmeno sua madre, in tanti e tanti anni di cristiana, pacata perseveranza. La svegliava così, tutte le mattine, facendola volare dal letto e atterrare di culo sul pavimento di legno della sua stanzetta. E se la rideva, caricandosi uno scricciolo via via sempre più grande sulla spalla, con la grazia di un sacco di patate e tante, tantissime lamentele. William era uno facile ad alterarsi, un carattere decisamente poco incline ad accettare le sconfitte, o i torti. Aveva ragione lui e non voleva sentirne di altre, ma era un brav'uomo. Aveva due anni in meno di suo fratello ed era pilota, altrettanto bravo, seppur decisamente più spericolato. Aveva gli occhi chiari, i capelli erano di un castano polveroso, riflesso di biondo. Portava la barba lunga e grandi lunghi baffi vaporosi, per sembrare più minaccioso, diceva. Però di minaccioso non aveva nulla quando stava con la nipote. Lui le aveva insegnato tutto, specie quello che il padre non voleva sapesse. Le aveva insegnato a sparare, come prendere la mira, a passare estremamente vicina alle montagne o agli alberi, quando pilotava. Le aveva insegnato a percepire la nave, in ogni piccola vibrazione. Lui era il sole, delle giornate buie. Una risata guaiata, un sorriso sghembo ma pulito e la dedizione di un uomo, forse con le sbagliate convinzioni, ma ligio a sè stesso. 

Poi un giorno, arrivò la chiamata. Le mani callose e ruvide sulle spalle di una diciottenne magra e in piena fioritura, come donna. Le sorrideva, se la guardava, come se dovesse imprimersi nel fondo della retina l'immagine di quegli occhi verdi, allungati, di quelle trecce e di quel muso triste. 

- Fai un sorriso al tuo vecchio zio, dai.
- Se poi non torni?
- Potrei mai lasciarti?
- Sì.
- Non volontariamente, Winger. Se la guerra dovesse separarci, sappi che ti verrò a cercare, in qualunque angolo del 'Verse tu vada a finire. E abbi cura di lui, per me.
- Fate la pace, prima che parti.
- Sai che è cocciuto, non mi darà mai ascolto, ma io ho bisogno di fare questa cosa, per permettere a te... e a Cole, di avere un futuro sereno, o la possibilità quantomeno di provare a costruirvelo, senza che qualche sporco Corer vi rubi la terra o vi imponga com'è giusto vivere, secondo loro. 

Era bravo a farla imbarazzare. Senza che lei aprisse bocca, lui sapeva esattamente cosa aveva combinato, sempre e comunque. Erano infinitamente simili, non c'era sangue ad unirli ma erano dannatamente uguali e l'affetto e la devozione che li legava era dei più sinceri e profondi che una persona possa mai conoscere. Non era sua nipote, ma l'amava più di qualunque altra cosa al mondo, accettando anche quella testa di cazzo di Cole, purchè fosse felice. Se la strinse fino a rubarle il fiato, stentando a lasciarla anche quando lei accennava a dirgli che le stava facendo male. Lui aveva la coscienza di capire che sarebbe potuto non tornare indietro.

- Ah, zio.
- Dimmi Winger?
- Avrai cura anche di Cole mentre sei lì?

Rabbrividì. Non trovava il coraggio di promettere una cosa simile, così come non aveva avuto il coraggio, i giorni prima mentre lei si disperava, di giurarle che sarebbe tornato. Si voltò, si staccò. Fece due passi indietro e un gran respiro.

- Convincilo a non partire, ragazza mia.
- Non posso, suo padre... insomma, non posso. Lui e il fratello sono partiti questa mattina all'alba.

Era vero, Cole Jackson non era il ragazzo migliore che si era prospettato per sua nipote, ma dannazione aveva solo vent'anni. Poteva la guerra portarsi via un ragazzino? A quanto pare sì, e cosa peggiore, Dean, il fratello minore, aveva la stessa età di Molly

- Winger io...

Non fece in tempo a parlare. Non fece in tempo ad aggiungere altro che arrivò la jeep per portarlo via. Lo chiamarono, due volte. Cooter era sul mezzo che continuava a borbottare di muoversi, di non perdere altro tempo, che avevano una guerra da combattere e vincere. Lui, messo sotto pressione dalla presenza dei vecchi compari, allungò una carezza al viso della nipote, le sorrise, rassicurante come sempre e voltò le spalle. Quello che aveva da dire glielo aveva detto, ogni giorno della sua vita, da quando lei ci era entrata, prima ancora che lei imparasse a capire o a parlare. Non avevano bisogno di parole, non loro due.            

***

Jacob Cox, detto The Saint




Si dondolava sulla sedia, sotto il portico della casa paterna. Accanto la madre sferruzzava, aveva i capelli raccolti in una crocchia rigida, striati di grigio e chiazzati di bianco. Le mani erano raggrinzite e artritiche, avanti con gli anni, continuava comunque a badare ai due figli maschi, sua disperazione. 

- Il signore agisce in modi davvero strani. Ho sempre voluto un nipote, ma voi eravate ormai decisi a non soddisfare le pretese della vostra povera vecchia madre, e invece. 
- Mà, non è stato il signore a mandarci quella palla, è stata la sfiga.
- Non essere sciocco figliolo, un bambino è sempre una benedizione e tu hai fatto la cosa giusta, Jacob, smettila di tormentarti inutilmente. Quella bambina starà bene, con voi. 
- Siamo sempre via, Mà, e non mi pare il caso che tu debba occuparti di una poppante appena nata. E poi è un casino, adottarla e tutto, troppe scartoffie e io non ho il tempo, oltre a non avere idea del chi siano i suoi e da dove vengano.
- Sono certa che saprai fare del tuo meglio, Figliolo, e non ha importanza chi fossero i suoi, ormai è una Cox e...

Molly Cox venne interrotta dal pianto a dirotto della bambina, oltre che dalle bestemmie di William che non riusciva davvero a farla smettere. Sorrise, tremolante e piccola, rinsecchita. Scostò i ferri e si alzò, coadiuvata dal bastone e dalle premure del figlio maggiore, che si era preso incarico di badare a lei da quando il padre era venuto a mancare, otto anni prima. Appena la vecchina entrò in casa, la piccola smise di strillare. Aveva solo fame, bisogno di attenzioni. Jacob era provato, mortalmente, combattuto tra l'aver fatto la cosa giusta e il peso della responsabilità di una simile scelta. Era sempre stato un uomo buono, rigido, severo, ma onesto, fino al midollo. Aveva rifiutato la possibilità di contrabbandare, che gli avrebbe portato un guadagno più ingente, la possibilità di acquistare una nave propria, di nuovo, ma non poteva venir meno agli insegnamenti del padre. Quando trovò la piccola aveva 32 anni. Era un uomo maturo, che aveva amato una sola volta e che aveva deciso di rimanere fedele a quell'unico amore che la malattia si era portato via, in un giorno di primavera. I capelli neri, la mascella volitiva, gli occhi azzurri come quelli del fratello, eredità del padre, come i tratti duri e la barba incolta che si lasciava crescere per dargli un aspetto trasandato e smunto. Non sorrideva mai, le labbra erano sempre tese in una linea netta, rigorosa e seria. L'opposto di suo fratello, lo Yin dello Yang. Parlava poco e quando lo faceva aveva la pazienza infinita di ascoltare ogni lamentela, ogni ragione, senza mai scendere dalle proprie o arretrare. Lo chiamavano il Santo per la sua propensione alla religione ma non solo. La sua pazienza, la sua impassibilità erano storiche. Nessuno, nemmeno il fratello scapestrato, riusciva in alcuna maniera a scalfire la corazza di serietà che si era costruito attorno, eppure manteneva sempre un approccio educato, un modo di fare compito e pio. Xiu Lin, la donna della sua vita, la moglie che non riuscì mai a sposare era l'unica in grado di dargli il sorriso, e allo stesso tempo di far crollare il siparietto di Santo, in virtù di quella dell'uomo, semplice, debole, vinto. Non aveva avuto nessun'alta ragazza nella sua vita e adesso, si ritrovava un frugoletto tra le mani senza sapere che pesci prendere. William uscì dalla casa, borbottando qualcosa riguardo i polmoni e la bocca larga di quella bambina. 

- Non ci sai fare fratello.
- Perchè, tu sì? E' carina solo quando dorme. Secondo te possiamo addestrarla come con i cani?
- Non è un animaletto da compagnia, Will, è una bambina. 
- Non le hai ancora dato un nome. Io pensavo a qualcosa di figo, tipo Vento selvaggio o Cavallo pazzo.
- Solo tu puoi uscirtene con una cosa simile, immagina che vita passerebbe, con un nome del genere.
- Bhè, visto che sei tanto bravo, dinne uno tu.
- Pensavo a Winger. 
- Che cazzo di nome è? A questo punto dagli quello di Mà e facciamola contenta.
- Mh. (ci stava pensando) Non è male. Molly Cox. 
- Quindi abbiamo deciso di adottarla?
- Sì. 
- Va bene, se sei convinto.
- Sì. 
- Guarda che io non le cambio i pannolini, eh!
- Lo farai eccome. Ad ognuno il suo. Ci siamo dentro entrambi, però... mi prenderò io carico di lei, stai tranquillo. Potrai fare lo zio.
- Ci mancherebbe altro, Cristo santissimo, non augurerei a nessuna bestiola di avermi come padre e mi guardo bene dal cascarci.
- Non cambierai mai.
- Grazie al cazzo, non voglio cambiare. Mà! Quanto manca alla cena?

William si alzò, rientrando in casa per dare una mano alla propria madre, come facevano da ragazzi, dopo aver caricato il Wyoming del padre. Il Freedom cry. Avrebbe voluto tanto che non glielo portassero via, ma i soldi erano quelli che erano, i debiti troppo alti e la nave troppo costosa. Era riuscito a ripagare tutto, un dollaro e un peso alla volta, fino a mettere da parte quanto bastava per comprare una nave, ma adesso aveva una bambina a cui pensare e la loro Destiny avrebbe aspettato, almeno qualche anno ancora. Molly Cox portò la bambina, pulita e nutrita, a quello che sarebbe stato il suo papà, da allora fino alla fine dei suoi giorni. La pose tra le braccia di un Jacob completamente impedito, ma rapito, da quegli occhioni dal colore indefinito ma chiaro, che lo puntavano senza vederlo. Troppo piccola davvero. Fragile, tanto che avrebbe potuto recidere il filo della sua vita con una semplicità inquietante, e invece, aveva ormai deciso che l'avrebbe fatta vivere, crescere e resa felice, in un modo o nell'altro, per quanto lui potesse concedere quel genere di emozioni, raggrinzite nel suo petto che aveva ripreso a battere dopo tanto tempo per una donna, o meglio, una miniatura di donna.


*** 


Cooter Jackson, detto Trigger


Stava osservando il figlio smontare il carburatore della moto. Il cipiglio severo smorzato da un sorriso blando e in parte fiero. Dean era un piccolo portento con i motori, un talento naturale che non si fece mai scrupolo di cogliere. Quella moto l'avevano comprata da un robivecchi a Richleaf, andava completamente revisionata e sicuramente necessitava di pezzi di ricambio ma gli sembrava il regalo migliore per il dodicesimo compleanno del secondogenito.

- Pà, passami il cacciavite a stella dai.
- Quale cazzo è? 
- Fa niente, ci penso io.

Dean si spostò, impossessandosi del cacciavite che gli serviva per aprire il pezzo e constatarne le condizioni. Cole comparse alle sue spalle. Un sorriso da schiaffi, fischiettando mentre cercava di svicolare dagli occhi attenti del padre. Ne aveva combinata un'altra, sicuramente. Cooter Jackson sapeva perfettamente leggere i suoi figli, dal maggiore, una sacrosanta testa di cazzo, alla più piccola, uno scricciolino biondo con le treccine e le lentiggini. Ne aveva quattro, il maggiore aveva appena fatto quattordici anni e credeva di aver capito tutto dalla vita, con la sua passione sfegatata per il volo e le armi, il secondo, il futuro meccanico, dodici anni di incredibile dolcezza, un carattere un po' introverso ma familiare e modesto. La terza figlia che Mary Ann Jackson gli diede nacque in una notte turbolenta, e sì, aveva lo stesso carattere di merda di un temporale elettromagnetico. Pretenziosa, fastidiosamente saccente, aveva deciso che sarebbe stata medico. La piccina, Demi, era una creaturina selvatica ma estremamente dolce, un carattere mite, anche se, quando decideva una cosa, nemmeno una carica di bisonti poteva farle cambiare idea. Erano tutti diversi, completamente, ma in un certo qual modo, riassumevano ogni aspetto dei genitori. 

- Swift, dove stai andando?
- Da nessuna parte, Pà.
- Non starai andando dai Cox, lo sai che Winger non può giocare con te, è in castigo, a causa tua.
- Ma no, non ci vado e comunque non è stata colpa mia, ha insistito lei per farci quel giro a cavallo, che colpa ne ho io se è caduta e si è slogata la spalla?
- Sei un coglione. Sei più grande di lei, avresti dovuto dissuaderla o quantomeno proteggerla.
- Maaaa Pààààà!
- Tu guarda se a me toccava un figlio pirla. Te lo ripeto, non andrai da lei.
- Ma è sola! Si annoia.
- Starà meglio lontana da te visto in quanti guai siete capaci di infilarvi, voi due. Altrimenti porta con te le tue sorelle, almeno le faranno un po' di compagnia.
- Ma porc... checcazzo Pà!
- Linguaggio!

Non c'era speranza. Cooter lanciò in faccia al figlio una pezza sporca di grasso da motore e lui reagì con un bullone. E fu guerra. Facevano sempre così. In fondo, era un uomo decisamente a modo. Aggressivo con chi non conosceva ma un amico leale e fedele. Era un buon marito, anche se a volte alzava un po' troppo il gomito. Era un buon padre, severo e con la sculacciata facile ma in fondo i suoi figli erano cresciuti sani e forti. Un anno in meno di Jacob Cox, amici di lunga data ma più vicino a William per carattere. Quando arrivò la guerra non ci pensò due volte. Salutò la moglie, abbracciò le figlie e si incamminò con il sangue del suo sangue, ad affrontare una guerra da cui non sarebbe più tornato l'uomo di prima.



***

Cole Jackson, detto Swift


- Insomma la vuoi piantare? Mi fai male! 
- E te lo meriti, Cole Jackson, sei un demente, guarda che hai fatto!
- Demente io? Sei stata tu a cominciare, Cox!
- Vaffanculo, Swift!
- Vacci tu!

Litigavano sempre, da quando aveva memoria. Erano praticamente cresciuti assieme, nonostante Cole fosse nato due anni prima. Era il secondo in comando della compagnia, il terzo in ordine di età, ma Yin Chen non era all'altezza dei guai che sapeva combinare lui, suo fratello Lou era abbastanza grosso da avere la meglio su di lui, altrimenti sarebbe stato il capobanda. I gemelli Chen avevano un paio d'anni in più di Cole, abitavano le terre tra i Jackson e i Cox. Molly era coetanea di Dean ma andavano tutti a scuola al monastero. Erano un bel gruppo, tra i figli dei Chen e dei Wong, si incontravano spesso lungo il fiume Yin-Sè, a giocare e progettare scherzi. Quel giorno però lo scherzo finì male, prevalentemente per colpa di Cole. Aveva proposto una sfida, e tutti avevano accettato. Con i carretti, buttarsi giù dalla collina e vedere chi arrivava per primo. Ognuno aveva 'preso in prestito' il suo da casa, anche se i Chen usavano uno in due. Gli altri partirono, la sfida fu entusiasmante, divertente, ma Cole non sapeva davvero fermarsi. Se ne uscì con un'idea ancora più pazza: vinceva chi arrivava più vicino alla sponda del fiume che cadeva a strapiombo sotto, sulle rapide. Un'idiota fatto e finito. Molti si ritirarono ma lui no. Problema era che lui aveva bisogno di sfidare, non poteva farlo da solo, così cercò con tutte le sue forze di provocare Molly, quella più facile su cui far leva, in virtù del caratteraccio che aveva sempre avuto, facile agli scoppi d'ira. Lei ci cascò, con suo sommo orgoglio. Finì non propriamente bene, perchè l'idea era davvero stupida e il terreno non esattamente favorevole. Si schiantarono, letteralmente, ma almeno non finirono di sotto. Ci finirono invece i carretti, che ovviamente non dovevano toccare, per cui, erano guai grossi. Molly gli saltò addosso, come tante volte prima e cominciarono a rotolare nella polvere a prendersi a botte, mentre attorno gli amici incitavano alla rissa e il piccolo Dean cercava di separarli. Sotto un coro di "Botte-Botte-Botte-Botte" Cole fu costretto ad incassare i cazzotti di Molly, e cercare di bloccarle le mani. Non la picchiava, perchè mesi prima gli accadde di fare sul serio e lei si fece davvero male, una cosa che in fondo, per quanto idiota fosse, non si era ancora perdonato. Dieci anni e già incredibilmente stupido. Con le mani strette attorno ai suoi polsi riuscì finalmente a sopraffarla, sulla riva, che sotto poteva sentire il gorgogliare del fiume nelle rapide. Ansante e dolorante, la fissò a lungo mentre gli altri si erano dati ad una rapida fuga perchè stavano arrivando i genitori. La jeep macinava polvere su polvere, lasciando una scia facilmente intuibile. 

- Sta arrivando papà, Cole, andiamo! (Dean era preoccupato)

- No! Winger deve chiedere scusa!
- Ma scusa di che! Tu mi hai buttata fuori strada!
- Non essere ridicola, sei stata tu a tagliarmela!
- Non è vero, rosichi perchè stavo vincendo e se non fossi stato così incapace alla guida, staresti piangendo per l'amara sconfitta, come sempre!
- Sei davvero una brutta cretina, Molly Cox!
- Non chiamarmi Molly, idiota!
- Ti chiamo come mi pare e piace, stupida Molly.
- Smettila Cole!
- No che non la smetto, faccio quello che voglio, hai capito? E tu farai quello che voglio io!
- E perchè dovrei, sentiamo?
- Perchè mi appartieni, ecco!
- NON E' VERO NIENTE!
- SI' INVECE!
 
Lei non sapeva come rispondere e lui ne ghignò. Succedeva ogni volta. Ogni volta finivano per litigare, farsi male, prendersi a parolacce e poi lui, puntualmente, la zittiva e facevano pace. Dopo un giorno o due. Cole era fatto così. Adorava prenderla in giro, e per quanto si ostinasse a dire che stava meglio quando lei non c'era, non era vero. Avevano le stesse passioni, gli stessi sogni. Lei era la sua migliore amica e, crescendo, si rese conto che non si trattava solo di quello. Da ragazzino era secco, con i capelli biondi dal ciuffo laterale, gli occhi azzurri del padre e un sorriso sempre brillante. Era intelligente e spigliato, ma aveva anche un carattere ribelle, indomabile. Voleva sempre averla vinta, non sopportava di essere secondo a nessuno e affrontava chiunque o qualsiasi stupida sfida pur di dimostrare di essere il migliore. Crescendo non migliorò affatto. Affinò solo le sue abilità di pilota, concentrandosi unicamente su quello e sulle armi. Sapeva sparare bene, e puntualmente finiva nei guai per quello. E lei era sempre lì, in mezzo ai piedi, a litigare, a finire per odiarsi e poi tornare insieme. 
Molly cresceva in maniera del tutto insperata, causando acidità di stomaco a Jacob e a William, perchè Cole era davvero uno scapestrato senza controllo nonostante Cooter ce la mettesse tutta per raddrizzare il figlio. Finirono anche per scappate, via da lì, insieme, ma ripescati il giorno dopo e trascinati a casa con le cattive, tre settimane prima che decidesse di andare in guerra. Non era affatto contenta.

- Se volevi una scusa per lasciarmi almeno potevi evitare di andare in guerra, sai?
- Oh cristoiddio, Winger, non voglio lasciarti!
- A me sembra tanto che lo stai facendo.
- Bhè, non capisci un cazzo. Non ho intenzione di discuterne anche con te. Dovresti essere felice, vado con Dean, Pà e con Dusty. 
- ...
- Winger, ascolta...
- No, Swift, ascolta me. Se tu vai a combattere questa guerra, tu non tornerai a casa. Perchè devi sprecare il tuo talento? Pà dice che non ha senso, che non c'è bisogno perchè non c'è speranza. I Corer non avranno piet-
- TUO PADRE NON SA UN CAZZO!
- ...
- (diede fondo a tutta la pazienza che aveva) Io ti amo, e farò il possibile per tornare da te, ok? Ricordi cosa ti ho promesso quando per poco non ti beccavi un proiettile per colpa mia?
- Sì. 
- Ti fidi di me?
- Sì.
- Brava. Ora sorridi, adoro quando lo fai.

Si sforzò di sorridere per lui. Si era fatto estremamente affascinante, molto simile al padre, nei tratti, ma aveva quella sfrontatezza e quel sorriso strafottente che mandava le ragazze in brodo di giuggiole. Lei era troppo orgogliosa per dargliela vinta, ma, intimamente, subiva come tutti il suo fascino da cattivo ragazzo. Di contro, l'ostinazione di lei era quello che lo faceva impazzire. Non era mai stato elegante, nemmeno delicato. Aveva solo imparato a gestirla, conoscendola come le sue tasche. L'afferrò per i fianchi e se la tirò addosso, rubandole un bacio, prima di caricarsela in spalla, tra gli schiamazzi e le lamentele, con tanto di pacca goliardica sul sedere e di tuffo nella paglia nel fienile. La seguì, subito dopo, finendo per nascondersi tra il fieno, scavando per cercare di nascondersi meglio alla vista, scansando la polvere e sfilando fili d'erba dai suoi capelli. Era alto, era diventato ben piazzato, aveva spalle larghe e una vita estremamente sottile, i muscoli delineati dalle lunghe nuotate e dal lavoro manuale e quel maledetto ciuffo che gli scivolava sugli occhi, ma che in fondo adorava scansargli.

- Promettimi una cosa, Wing...

- Dimmi...
- Mentre sono via, non metterti la gonna. Non vorrei mai che qualcuno ti vedesse e pensasse che sei libera.
- Ma.. che c'entra??? E poi io con la gonna? Ma sei matto?
- Staresti bene, hai delle belle gambe.
- ... (era imbarazzata)
- Sei carina quando ti imbarazzi.
- Sono carina sempre.
- No, questo non è vero.
- Che stronzo!
- Questo sì che è vero.
- Cole...
- Molly...?
- Ti mancherò?
- Come l'aria. C'è (era indeciso) una cosa che non sono mai riuscito a dirti.
- Ah?
- Bhè ecco, io... io insomma. Molly io ti... insomma vuoi tu... mi spos-
- COLE JACKSON, DOVE CAZZO SEI????
- Merda, papà... vai! ARRIVO!
- Shit!
- Che diavolo fai nei fieno ragazzo?
- Cercavo... ahm... le chiavi!
- WINGER SEI LI'?
- ...
- Ma che vai pensando?
- Entra in casa, imbecille. Lo sai che non voglio che vi ficchiate nei guai! WINGER, vai a casa, tuo padre sta venendo a cercarti!
- Merda! BUONASERATA SIGNOR JACKSON!

Lui rideva, mentre lei partiva in quarta, di corsa, verso casa uscendo da dietro così che non potessero vederla. Suo padre non rideva affatto e anzi, continuava a tirargli ceffoni che lo facevano scivolare con il ciuffo davanti agli occhi azzurri. Era irrecuperabile, lo erano entrambi. Due giorni dopo sarebbero partiti. Lui le scrisse, spesso, fino a che fu possibile, poi però arrivò quel dannato giorno: Serenity Valley.  

Non riuscì mai a chiederle se volesse sposarlo e forse è stato meglio così. Non si sarebbe mai perdonato di farne una vedova, così giovane.




***

Doctor Lee Wong


- Perchè usiamo le arance?
- Perchè la pelle umana è più difficile da bucare di quanto immagini, ci sono molti strati al di sotto e non puoi esercitarti a bucare il sedere della gente così, per imparare.
- E perchè non una patata o un pomodoro?
- La buccia del pomodoro è troppo sottile, la patata invece non ha proprio niente a che vedere con il corpo umano, è troppo tosta, no?
- Mh...
- No?
- Mi hai convinta.
- Oh grazie, troppo magnanima Dottoressa Cox.

Lei rise. Lui la guardava ridere e se ne compiaceva. Gli avevano insegnato che ridere non era mai un bene, per quello non esagerava mai, non c'era mai reale compiacimento, ma solo un mesto e quieto concedere. Aveva i tratti scavati dal tempo, quaranta due anni, ma nessuna striscia di grigio o bianco tra i capelli. Non era mai stato alto, però era nervoso, i muscoli tesi, gli occhi neri, la pelle gialla come tutti i cinesi. Niente di diverso dagli altri. Di carattere, Lee Wong era un uomo introverso, comunque in grado di mantenere una parvenza di fredda cortesia, educazione e gentilezza apparente. Stava sempre attento a non perdere il controllo, metodico in ogni cosa. Per questo era strano che l'avesse accetta sotto la sua ala per qualche tempo, per insegnarle quello che c'era da sapere sul come fare il medico. Non aveva mai avuto assistenti, li trovava di enorme peso e fastidio, più un ridicolo eccesso di zelo che una reale necessità. Con lei era stato tutto diverso. Già quando era bambina l'aveva aggiustata innumerevoli volte e per quanto si lamentasse e strepitasse come una bambina viziata, sapeva che si sarebbe rimessa senza lamentele. Aveva lo sguardo vivace ed intelligente di chi si interessa con genuina curiosità e senza ristrettezze mentali a quello che faceva. Ebbe la conferma della buona scelta fatta  quando fu chiamato d'urgenza dalla famiglia Carter e lei lo accompagnò. Parlò con Aaron e seppe cosa doveva fare anche solo ascoltando. Guardandosi attorno non vide più Molly, la trovò ad avere cura di un cavallo che si era rotto la zampa, il motivo per cui lui era lì.


- Winger, come mai sei qui?
- Va abbattuto, Lee.
- Sì.
- Lo sapevo, però sarà veloce vero?
- Certo, come sempre.
- Tu dai una morte pulita a tutti quanti, sì?
- E' quello che cerco di fare.
- Perchè se la meritano tutti, una morte pulita?
- Non tutti.
- No?
- No, ma non fa differenza.
- Suppongo. Berta dice che tu preservi la vita.
- Vita e morte sono le due facce della stessa medaglia, un equilibrio che molti dimenticano necessario.
- Posso farlo io?
- Vuoi farlo tu?
- Sì.
- Devi avere la mano ferma.
- L'avrò.
- Soffrirà se non avrai mano ferma.
- Non sta già soffrendo?
- Molto, sì. 
- E' pietoso, questo?
- No. E' l'unica cosa che possiamo fare, è inutile prolungare le sue sofferenze oltre, e il padrone non è disposto a tentare nulla.
- Non c'è niente che si possa fare.
- Ne sei sicura?
- Sì.
- Come lo sai?
- Guardalo.

Lee lo guardò. Il cavallo si era fratturato la zampa in tre parti, non sarebbe mai tornato lo stesso, pur con un miracolo, e comunque sembrava stranamente abbattuto, il ventre gonfio, il respiro strano. Aggrottò la fronte.

- Winger il cavallo...
- E' malato.
- Come lo sai?
- Ha una ferita purulenta sotto lo zoccolo della zampa rotta. Probabilmente è per quello che è successo tutto questo.

Si chinò a guardare sotto lo zoccolo, era vero. Allargò lo sguardo e sospirò. Prese un lungo respiro e aprì la borsa, cacciando la pistola. Gliela porse era carica. Molly fasciò la testa del cavallo in modo che non potesse vedere, il respiro dell'animale si era calmato, ma effettivamente la bestia era divorata dal dolore e dalla malattia, c'era qualcosa di folle e disperato nei suoi occhi scuri, prima che il buio calasse e la quiete lo cogliesse. Lei aveva la mano ferma, teneva gli occhi aperti e quando premette il grilletto fu una morte pulita. Sapeva dove sparare.

- Brava.
- Grazie.
- Adesso andiamo, dai. 
- Che ne faranno?
- E' infetto, va bruciato.
- E' meglio.
- Sì.
- Winger... 
- Sì Lee?
- Torniamo in studio, ti insegno come suturare una ferita, vuoi?
- Con le arance?
- Ahahaha. No. Con le zampe di maiale.
- Schifo!

Continuò a ridacchiare, ma fece esattamente quello che le aveva detto. La riempì di pezzi di maiale, con la cotenna e tutto, su cui esercitare le suture. Scioglierle e rifarle da capo, con una cura meticolosa. In venticinque anni di onorata carriera ne aveva viste di ogni colore e non si era mai sentito orgoglioso di quello che sapeva fare. Lo aveva imparato perchè dovuto, perchè c'era sempre stato un Dottor Wong, in quella parte di Shijie e doveva continuare ad esserci, ma non aveva mai nutrito alcun interesse per il suo ruolo, nè cercava soldi o fama. Era dovuto, tutto qui. Il padre glielo aveva detto, che non sarebbe mai stato eccelso, eppure, guardare gli occhi chiari di quella ragazza e trovarci un pizzico di ammirazione gli faceva bene all'animo. In fondo era per questo che l'aveva accolta, no? Per la luce nei suoi occhi. 


***

Berta Kavanagh



Faceva un freddo cane. L'estate era stata particolarmente torrida, e tutti convenivano nel dire che l'inverno sarebbe stato, di contro, decisamente rigido. Già verso settembre l'autunno fece piombare la regione in una sequela di interminabili giorni di pioggia, e ben presto, alla fine di ottobre, arrivò anche la neve. I primi di dicembre ne cadde talmente tanta che i genitori o chi per loro furono costretti ad andare a prendere i ragazzini dal monastero, alla fine delle lezioni. Berta fu spedita a recuperare Molly, visto che Will e Jacob erano in viaggio. Quando arrivò, il cortile era gremito di urla. Non era mai stata una bella donna, anzi. Alcuni la scambiavano per un uomo, e lei si vestiva come tale. Sempre imbronciata, masticava tabacco e sputava costantemente. Aveva un dente d'oro, mani callose e abituate ai lavori duri. Nel cortile del monastero si ritrovò a guardare una giovane Cox intenta a menarsi con un gruppo di altri ragazzini. Era arrivata prima, per cui nessuno dei genitori né dei monaci era lì presente a tenerli d'occhio.

- Ehi! Che accidenti vi prende?
Un coro di 'Botte! Botte! Botte!' si era levato dal gruppetto che circondava un ammasso di ragazzini inferociti come un ring creato appositamente per lo scontro. Erano in sette: Molly e Cole contro altri cinque. Lei le aveva prese di santa ragione, le erano saltati due denti da latte, aveva spaccato il labbro ed aveva un occhio mezzo chiuso a causa di una tumefazione che faceva pensare in un bel occhio nero, l'indomani. La sclera era macchiata da qualche capillare spezzato, eppure non si fermava. Continuava a mulinare pugni, cercare di mordere e tirare calci come un'assatanata.

- Ridillo un'altra volta Ffe hai coraggio! Ridillo, Malcom!
- Sei una stupida orfana! Tua madre non ti voleva!
- DAAAAAAAAAH!
- Non Ffai niente!

Le esse le fischiavano quando parlava. Era buffa, ma quello che preoccupò Berta era l'argomento della lotta. Arrivò alle spalle di Dean Jackson, che povero ragazzo cercava solo di farli smettere:

- Vi prego smettetela, Cole! Così vi fate male! Guarda quanto sangue!
- Fatti gli affari tuoi, Dean!
- MA SONO MIEI!
- FFTA FFITTO DEAN!
- Ma... Winger...

Berta appoggiò la mano sulla testa di Dean e gli sorrise, spostandolo senza aprire bocca. Avanzò verso la zuffa e spedì uno per uno i ragazzini col culo nella neve, cercando di liberare Molly. La prese per la collottola della giacca, scrollandola come un gattino. Era secca, per quanto imbottita dal giubbotto, per la donna robusta non era davvero un problema sollevarla, lo faceva sempre con le casse. Lei era il meccanico di fiducia di tutta la zona, oltre che il macchinista della Destiny.

- LaFFFiami, Berta! Devo Ffpaccargli la faccia!
- Tu non spacchi la faccia a nessuno, Winger. Adesso vieni a casa.
- Ma... ma... MA BERTA!
- Non 'Ma Bertarmi', sai?
- UFFFFFFA!
- E voialtri, prima che vi pigli a schiaffoni e vi spedisca dai vostri genitori con i culi in fiamme a furia di pedate, vedete di girare al largo. Jackson, prendi tuo fratello e portalo a casa, che il ragazzo deve venire in officina più tardi!

Berta Kravanag era la voce più sgraziata e greve che la regione ricordasse. Era una donna estremamente corpulenta, i tratti grossolani, la scarsissima cura di sé stessa. Era la sesta di sei figlie femmine. Il padre, Arthur, aveva tentato inutilmente di avere un figlio maschio. Diceva sempre che Berta era la cosa più vicina che era riuscito ad ottenere. Qualcuno diceva che le piacevano addirittura le donne, ma non davanti a lei. Era facile alla rissa e soprattutto era davvero brava con i coltelli, oltre che con gli attrezzi. Nessuno osava contraddirla, perchè i suoi calci erano rinomati in tutta la regione per aver spedito più di un galantuomo a ruzzolare nella polvere. Aveva 39 anni, era zitella, e di chiacchiere su di lei ne intessevano a bizzeffe, ma lei non se ne importava. Era una formidabile cavallerizza, sapeva suonare l'armonica e aveva anche insegnato a Molly come smontare e pulire per bene revolver e shotguns. Lavorava nell'officina del padre, lui le aveva insegnato tutto quello che sapeva, e quando l'artrite reumatoide gli indurì le mani al punto da non poter più reggere un cacciavite, lei prese le redini della baracca e riuscì a raccattare giovani volenterosi: Dean Jackson era uno dei novellini, a quel tempo era solo un garzone, ma avrebbe imparato presto a fare di tutto e a rendersi molto utile.

- Mi fai male, Berta!
- Ti sei fatta male da sola, Winger.. che cavolo ti è venuto in mente di azzuffarti con quelli? Malcom Godspeed è almeno tre anni più grande di te, per non dire più grosso. Quante volte ti devo dire di non attaccar briga con quelli più grossi?
- HAI FFENTITO COFF'HA DETTO!

Molly si stava alterando. Ma Berta non era proprio tipo da sottostare agli scleri di una ragazzina. Si voltò mentre la trascinava verso la jeep, la fissò diritta negli occhi, con quello sguardo scuro, marrone quasi nero, occhi piccoli e terribilmente profondi, che la misero in riga senza nemmeno dover aprire bocca o sciogliere il piccolo broncio che la caratterizzava. Sputò un grumo di saliva e tabacco.

- FcuFa Berta.
- Così va meglio, sali sulla jeep.
- Fì.
- ...
- ...
- ... Ascolta Winger, so che ti fa rabbia questa situazione, ma devi ricordarti sempre che tutto quello che diranno su tua madre sarà solo per ferirti, right? Perchè tua madre non ha voluto lasciarti, è morta mettendoti al mondo. E no, non è colpa tua, prima che ti venga in mente anche solo di pensarlo. Ne incontrerai tanti ancora coglioni quanto Malcom Godspeed, dio non voglia, forse anche peggio di lui. Ma devi sempre ricordare che hai avuto una fortuna che ad altri non è toccata: quella di avere qualcuno che ti amasse e si prendesse cura di te.
- Lo Fo, Berta, FcuFami.
- Basta scuse, sai che odio i piagnistei. Piuttosto, prendi il fazzoletto e datti una pulita. Se i tuoi tornano con te in queste condizioni, poi chi glielo spiega?
- Ma tu non centri niente, Berta, glielo dico io a papà che non è Ftata colpa tua.
- Sei molto carina, Winger, ma è mia responsabilità avere cura di te quando tuo padre è in viaggio, got that?
- Yep.
- Ora fai la brava, pulisciti un po' il viso che ti porto in città e Lee ti da un'occhiata. Starai in officina con me, oggi, tanto a casa non c'è nessuno.
- Okay!

Era bastato davvero poco perchè Molly smettesse di essere triste. Berta la guardava con una certa dolcezza. Forse era l'unica persona in grado di farla ammorbidire un poco, perchè era burbera con tutti. Con Will non faceva altro che urlare, e lui ovviamente le rispondeva a tono. Con Jacob c'era una fredda lealtà, impostata su toni molto blandi. Potevano stare in silenzio per molto tempo e nessuno dei due si sarebbe smosso. Parlavano mugugnando, comunicavano a quella maniera. Molly Cox, la madre di Jac e Will, aveva messo al mondo le ultime tre sorelle Kravanag. Le famiglie erano molto vicine, e Berta adorava la vecchia . Quando lei morì, promise che si sarebbe presa cura della piccolina a cui avevano dato il suo nome, giusto per non dimenticarsi mai chi l'avesse messa al mondo. A suo modo, lo fece, sempre e comunque. Lei c'era sempre, quando c'era bisogno di lei. L'unica figura femminile, a parte Mary-Ann Jackson che Molly ricordi di aver avuto nella propria vita, per quanto, femminile non sia propriamente il primo termine che viene in mente quando si pensa a Berta Kravanag.