Solo gli schiamazzi sembravano in grado di bucare la bolla di vuoto in cui era sprofondata, pesantemente caduta in un limbo senza sogno nè luce.
Il cubicolo puzzava di chiuso, un odore pungente che penetrava nelle narici il peggiore dei risvegli, amaro e difficile da grattare via dalla pelle. Le palpebre erano pesanti, troppo per poter essere aperte completamente, come vecchie saracinesche arrugginite l'unica cosa che riusciva a scivolare al di sotto era una lama di luce polverosa, intermittente e anonima. Il ronzio del neon l'aveva accompagnata per tutta la notte, di questo ne era certa, ma non ricordava niente altro. Buttare le gambe oltre il bordo, mentre una parte di lei le ripeteva che stava nello spazio attendendo che la pressione intracranica le facesse scoppiare la testa come un palloncino, coadiuvata da quel mal di testa che risultava lancinante: brutta cosa il doposbronza.
In men che non si dica era in piedi, davanti a quello specchio spezzato che rifletteva un'immagine più orrida di sè del solito. I tubi che gemevano sotto la spinta dell'acqua, in un gorgoglio vuoto e sporco di tubature intasate e troppo vecchie, divorate dalla ruggine. Il primo schizzo era rossastro, come il sangue rappreso a macchiare il lavandino già pieno di aloni. Che le ha detto il cervello quando si è presa quel cubicolo a gettoni, solo il cielo lo sa, ma finalmente l'acqua aveva preso a scorrere, seppur a bassa pressione, trasparente. Una bella sciacquata di faccia e il bagliore della consapevolezza: non sapere da quanto tempo fosse lì, nè ricordare il perchè.
In fretta e furia si era spogliata dei vestiti, controllandosi nello specchio per essere sicura di non avere cicatrici sull'addome o dietro la schiena, perchè in fondo il corpo non se lo sentiva ancora e si sa che a Safeport sono in grado di rubarti qualsiasi cosa, dai reni a… tutto il resto. Seduta sulla tazza metallica, con le mani affondate nei capelli. fare uno sforzo di memoria sembrava davvero l'ultima possibilità che aveva, l'ultima speranza. Il Crook, Zoya, le bottiglie. Piano piano tutto prendeva senso e se non era per la donna probabilmente a quel buco non ci sarebbe mai tornata. Un sorriso amaro le increspava le labbra mentre tornava alla branda elettrosaldata a cercare i vestiti, o meglio, le sigarette:
La voce grossa, in un evidente tentativo di imitare qualcuno in particolare. Aveva davvero un aspetto orrendo, le guance incavate, borse enormi sotto gli occhi arrossati e spenti, la gola foderata di cartavetrata e la lingua di feltro. Nemmeno una sana lavata di denti riusciva a levare il sapore acido della bile, perchè da che ricordasse, non aveva mangiato moltissimo, però aveva vomitato troppo.
La camicia a quadrettoni, qualcosa nella tasca. Al tocco, però, non c'era quel santo pacchetto, ma del metallo leggero, freddo e della stoffa. Con la fronte aggrottata le aveva tirate fuori e, in un lampo spaventoso, come un holofilm a cui non puoi mettere il pausa e va solo in avanti veloce, la memoria è tornata, dolorosamente.
Erano giorni che aveva lasciato la Monkey con un avviso striminzito al Capitano e poi niente più. Giorni, e lo sapeva, perchè finalmente si era decisa ad accendere il c-pad trovando i messaggi abbandonati nella rete da parte della sorella e di V. Seduta su quella branda, con la camicia in grembo e le piastrine di William Cox tra le dita era tornata la solita vecchia sè stessa. Con un grande respiro finalmente si era rimessa in piedi, decisa a farsi una doccia, lavare via tutta quell'esperienza, vestirsi e raggiungere Trigger, tre cubicoli più giù, per parlare di quello che è successo con maggiore lucidità.
C'era però bisogno di caffè e di rassicurare tutti, oltre che ringraziare la Browncoat.
Il cubicolo puzzava di chiuso, un odore pungente che penetrava nelle narici il peggiore dei risvegli, amaro e difficile da grattare via dalla pelle. Le palpebre erano pesanti, troppo per poter essere aperte completamente, come vecchie saracinesche arrugginite l'unica cosa che riusciva a scivolare al di sotto era una lama di luce polverosa, intermittente e anonima. Il ronzio del neon l'aveva accompagnata per tutta la notte, di questo ne era certa, ma non ricordava niente altro. Buttare le gambe oltre il bordo, mentre una parte di lei le ripeteva che stava nello spazio attendendo che la pressione intracranica le facesse scoppiare la testa come un palloncino, coadiuvata da quel mal di testa che risultava lancinante: brutta cosa il doposbronza.
In men che non si dica era in piedi, davanti a quello specchio spezzato che rifletteva un'immagine più orrida di sè del solito. I tubi che gemevano sotto la spinta dell'acqua, in un gorgoglio vuoto e sporco di tubature intasate e troppo vecchie, divorate dalla ruggine. Il primo schizzo era rossastro, come il sangue rappreso a macchiare il lavandino già pieno di aloni. Che le ha detto il cervello quando si è presa quel cubicolo a gettoni, solo il cielo lo sa, ma finalmente l'acqua aveva preso a scorrere, seppur a bassa pressione, trasparente. Una bella sciacquata di faccia e il bagliore della consapevolezza: non sapere da quanto tempo fosse lì, nè ricordare il perchè.
In fretta e furia si era spogliata dei vestiti, controllandosi nello specchio per essere sicura di non avere cicatrici sull'addome o dietro la schiena, perchè in fondo il corpo non se lo sentiva ancora e si sa che a Safeport sono in grado di rubarti qualsiasi cosa, dai reni a… tutto il resto. Seduta sulla tazza metallica, con le mani affondate nei capelli. fare uno sforzo di memoria sembrava davvero l'ultima possibilità che aveva, l'ultima speranza. Il Crook, Zoya, le bottiglie. Piano piano tutto prendeva senso e se non era per la donna probabilmente a quel buco non ci sarebbe mai tornata. Un sorriso amaro le increspava le labbra mentre tornava alla branda elettrosaldata a cercare i vestiti, o meglio, le sigarette:
"Bella figura del cazzo, Winger. Predichi di merda e razzoli ancora peggio. Ubriacarsi a Safeport senza qualcuno che ti pari il culo è suicidio."
"Dove cazzo sono le dannate sigarette?"
Erano giorni che aveva lasciato la Monkey con un avviso striminzito al Capitano e poi niente più. Giorni, e lo sapeva, perchè finalmente si era decisa ad accendere il c-pad trovando i messaggi abbandonati nella rete da parte della sorella e di V. Seduta su quella branda, con la camicia in grembo e le piastrine di William Cox tra le dita era tornata la solita vecchia sè stessa. Con un grande respiro finalmente si era rimessa in piedi, decisa a farsi una doccia, lavare via tutta quell'esperienza, vestirsi e raggiungere Trigger, tre cubicoli più giù, per parlare di quello che è successo con maggiore lucidità.
C'era però bisogno di caffè e di rassicurare tutti, oltre che ringraziare la Browncoat.