giovedì 22 novembre 2012

Hangover

Solo gli schiamazzi sembravano in grado di bucare la bolla di vuoto in cui era sprofondata, pesantemente caduta in un limbo senza sogno nè luce.
Il cubicolo puzzava di chiuso, un odore pungente che penetrava nelle narici il peggiore dei risvegli, amaro e difficile da grattare via dalla pelle. Le palpebre erano pesanti, troppo per poter essere aperte completamente, come vecchie saracinesche arrugginite l'unica cosa che riusciva a scivolare al di sotto era una lama di luce polverosa, intermittente e anonima. Il ronzio del neon l'aveva accompagnata per tutta la notte, di questo ne era certa, ma non ricordava niente altro. Buttare le gambe oltre il bordo, mentre una parte di lei le ripeteva che stava nello spazio attendendo che la pressione intracranica le facesse scoppiare la testa come un palloncino, coadiuvata da quel mal di testa che risultava lancinante: brutta cosa il doposbronza.
In men che non si dica era in piedi, davanti a quello specchio spezzato che rifletteva un'immagine più orrida di sè del solito. I tubi che gemevano sotto la spinta dell'acqua, in un gorgoglio vuoto e sporco di tubature intasate e troppo vecchie, divorate dalla ruggine. Il primo schizzo era rossastro, come il sangue rappreso a macchiare il lavandino già pieno di aloni. Che le ha detto il cervello quando si è presa quel cubicolo a gettoni, solo il cielo lo sa, ma finalmente l'acqua aveva preso a scorrere, seppur a bassa pressione, trasparente. Una bella sciacquata di faccia e il bagliore della consapevolezza: non sapere da quanto tempo fosse lì, nè ricordare il perchè.
In fretta e furia si era spogliata dei vestiti, controllandosi nello specchio per essere sicura di non avere cicatrici sull'addome o dietro la schiena, perchè in fondo il corpo non se lo sentiva ancora e si sa che a Safeport sono in grado di rubarti qualsiasi cosa, dai reni a… tutto il resto. Seduta sulla tazza metallica, con le mani affondate nei capelli. fare uno sforzo di memoria sembrava davvero l'ultima possibilità che aveva, l'ultima speranza. Il Crook, Zoya, le bottiglie. Piano piano tutto prendeva senso e se non era per la donna probabilmente a quel buco non ci sarebbe mai tornata. Un sorriso amaro le increspava le labbra mentre tornava alla branda elettrosaldata a cercare i vestiti, o meglio, le sigarette:
"Bella figura del cazzo, Winger. Predichi di merda e razzoli ancora peggio. Ubriacarsi a Safeport senza qualcuno che ti pari il culo è suicidio.
La voce grossa, in un evidente tentativo di imitare qualcuno in particolare. Aveva davvero un aspetto orrendo, le guance incavate, borse enormi sotto gli occhi arrossati e spenti, la gola foderata di cartavetrata e la lingua di feltro. Nemmeno una sana lavata di denti riusciva a levare il sapore acido della bile, perchè da che ricordasse, non aveva mangiato moltissimo, però aveva vomitato troppo.
"Dove cazzo sono le dannate sigarette?
La camicia a quadrettoni, qualcosa nella tasca. Al tocco, però, non c'era quel santo pacchetto, ma del metallo leggero, freddo e della stoffa. Con la fronte aggrottata le aveva tirate fuori e, in un lampo spaventoso, come un holofilm a cui non puoi mettere il pausa e va solo in avanti veloce, la memoria è tornata, dolorosamente.
Erano giorni che aveva lasciato la Monkey con un avviso striminzito al Capitano e poi niente più. Giorni, e lo sapeva, perchè finalmente si era decisa ad accendere il c-pad trovando i messaggi abbandonati nella rete da parte della sorella e di V. Seduta su quella branda, con la camicia in grembo e le piastrine di William Cox tra le dita era tornata la solita vecchia sè stessa. Con un grande respiro finalmente si era rimessa in piedi, decisa a farsi una doccia, lavare via tutta quell'esperienza, vestirsi e raggiungere Trigger, tre cubicoli più giù, per parlare di quello che è successo con maggiore lucidità.

C'era però bisogno di caffè e di rassicurare tutti, oltre che ringraziare la Browncoat.

mercoledì 21 novembre 2012

Broken Dreams

La pioggia ed il grigiore non facevano altro che rievocare spettri di promesse passate, da tempo sepolte sotto la rassegnazione di chi si è visto portare via tutto, eccetto la propria dignità. La guerra aveva annientato il pianeta, sbrindellato intere famiglie spargendo i membri superstiti come polvere al vento, lasciando che tentassero la sorte su altri mondi, in altri sistemi. 
Maracay - e più precisamente Fidelidad - non era affatto come casa. Niente era come casa.
Quelle promesse sono come un tarlo. E' bastato leggere qualcosa di anomalo, è bastato cogliere l'ombra di una speranza per scatenare l'impulso e allontanarsi da tutto quello in cui si stava adagiando cautamente, a cui si stava abituando con calma. La Monkey, l'equipaggio, il Capitano.

"Se la guerra dovesse separarci, ricordati di controllare gli annunci di lavoro, Wing. Metterò un annuncio per dei piloti che sappiano pilotare Wyoming: capirai certamente se sono io o meno. Per essere sicuro, te li ricordi gli ultimi 4 numeri del mio IdN vero?"
Se li ricordava, eccome.  
Trovare quello stesso annuncio, così come anni e anni prima le era stato promesso le ha rubato il respiro e la ragione. 

Offresi lavoro come pilota per Wyoming Destiny. Recarsi al Crook Saloon, chiedere di Dusty. Rif.: 3434

Non poteva essere. Eppure "3434" lo vede ovunque si giri. "3434". Non può essere altrimenti. E' lui. 

Il Crook lo ha visto talmente tante volte che ormai è un po' come a casa. Pericoloso, maledettamente, tanto più che ogni volta che ci torna ha un'arma in più alla cintura, o una lama in più infilata sotto i vestiti, giusto per sicurezza. Farsi passare per un uomo non è più tanto facile e il cielo sa perchè, non è poi cambiata così tanto, negli anni. In fondo è stata cresciuta dagli uomini, istruita da uomini, mai nessuna donna le ha messo le mani addosso, l'ha presa da parte informandola sulle "cose di donna" che ogni madre direbbe alla propria figlia. Di certo questo genere di cose non se le poteva aspettare da un uomo che le donne le ha sempre tenute alla larga con modi troppo bruschi e una pazienza troppo infinita. 

Eccolo lì, il Crook saloon.
Si chiedeva che avrebbe detto a vederla così 'cresciuta' dall'ultima volta che si sono visti. In fondo non aveva che 18 anni quando il suo pianeta è saltato in aria e lui era partito per la guerra già da qualche tempo. Chissà dov'era stato. Sicuramente un motivo buono per stare lontano ce l'aveva avuto e se anche non l'avesse avuto, pur odiando ogni singolo istante di quel pensiero, era già propensa a perdonarlo. In fondo, quanti zii può avere una ragazza?

Il bancone. Tanta, troppa folla. 
Tanti, troppi insulti, troppe parole e pochi tipi discreti.
Si guardava attorno, un po' confusa, un po' agitata. Un nodo allo stomaco e un sapore strano in bocca: colpa dell'insonnia, sicuramente. I buchi a gettoni nei pressi dello spazioporto non sono proprio il massimo, ma è meglio di un calcio in culo, le diceva sempre lo zio, specie se hai bisogno di dtartene per i fatti tuoi e non farti trovare così facilmente. Nulla. Più si guardava in giro meno trovava qualcuno che gli assomigliasse. Nessuno. Tutte facce anonime, diverse, estranee, ma la guerra può cambiare profondamente un uomo, per cui non poteva davvero sapere, non ci avrebbe scommesso, mettiamola così, che non ci fosse. Si guardava attorno e sentiva la speranza morire un pezzo alla volta. Piano. Lenta. 
Poi una giacca marrone. Una felpa grigia, il cappuccio sollevato e la schiena china su di chissà cosa. Il bancone, la sua estremità libera. E' lì che si è spostata. E' lì che ha fatto il suo ordine e si è informata di quell'annuncio. L'uomo era accanto a lei, lo sbirciava e aveva sperato che reagisse, ma lui è rimasto perso nei propri pensieri a fissare delle piastrine militari e dei gradi strappati ad una divisa, oltre che la copia di quell'annuncio che lei stessa aveva letto.
"Anche lei interessato a quell'annuncio?"
Non rispondeva. Non lo fanno mai. Eppure c'era qualcosa di spaventoso nel modo in cui rigirava le placchette metalliche tra le dita nodose. Qualcosa che trasmetteva l'ansia, la paura, il dolore. Un nodo alla gola che nemmeno il sapore orrendo di quella pseudo birra di quart'ordine riusciva a levare via. 
"Ehi, dico a te."
Gli occhi che la guardavano erano di un freddo azzurro, spezzati da una rabbia e da un dolore che raramente al mondo è riuscita a incontrare. E poi, l'illuminazione. Un'epifania senza senso. Lo sguardo sgranato a fissare quello che è davvero il relitto di un uomo familiare. Non riusciva nemmeno a godersi la delusione, la sorpresa, perchè vedere quella faccia scavata, quegli occhi completamente trasformati era come osservare un buco nero e non avere scampo, non poter sfuggire. Si ripeteva che non poteva essere lui davvero, ma c'era solo un modo per poterlo sapere: 
"Trigger, is that you?!?"
"Winger."
"Shit!"
Non era il Lui che si aspettava di vedere. Era quella notizia mai arrivata:
"Non c'è più, Wing. E' saltato in aria con il Brigade che pilotava, proteggendo i pod di salvataggio in cui aveva sganciato il resto dell'equipaggio. Non mi ha voluto con lui. Mi ha buttato a forza dentro quel fottuto barattolo consegnandomi le sue cose perchè le portassi a te e al Santo. Ho giurato, mi ha fatto giurare ma avrei voluto restare, sarei dovuto restare. Mi dispiace ragazza." 
Ecco che fine fanno gli eroi della tua infanzia. Saltano in aria, facendo quello che sanno fare meglio, combattendo una guerra persa. L'amarezza non ha fondo e nemmeno il dannato bicchiere.