sabato 30 marzo 2013

That's the way I've always heard it should be...

Era in stato d'agitazione. Il Core non era mai stato così opprimente, ma la verità era che si sentiva stretta in un abito fin troppo elegante, per una come lei. Le scarpe, per quanto il tacco fosse basso, la costringevano ad una postura tutta innaturale, così come la gonna, stretta, nera. Il nero era l'unico 'colore' che era riuscita a scegliere. Anya era bellissima. Non poteva fare a meno di guardarla come sempre, in una certa maniera adorante: un po' come una bambina che impara, si mise ad emularla. L'invito era arrivato tempo addietro. Chiese a Ritter, chiese a Neville. Secondo loro poteva affrontare la sfida del matrimonio dell'anno. Declan l'aveva incastrata alla grande. Quando le fece promettere che sarebbe andata su Xinhion, per poter aggiungere un altro pianeta alla sua già vasta conoscenza dei sistemi solari, mai avrebbe pensato che ci sarebbe andata per il suo matrimonio. Ci mise giorni a cercare di escogitare un regalo. Non poteva aspettarsi qualcosa di grande, la Khan. In fondo sapeva che le sue finanze erano limitate, senza parlare dei gusti, chiaramente. Le prese il panico. Anya la portò su Horyzon a far compere. Scelsero assieme qualcosa di sobrio, ma qualunque abito mettesse le risultava maledettamente stretto. Quello che si era scelta era il più comodo, sobrio, ma allo stesso tempo adeguato. Fece praticamente fare tutto alla sorella, perchè lei di certo non ne sarebbe stata in grado.

- Tutto questo è ridicolo, io le scrivo che non ci vado.
- Non essere sciocca, Cox. Te la caverai benissimo, devi solo ricordare che 'merda' e 'cazzo', nelle varie lingue e accenti, non sono ben viste, e nemmeno 'cesso' o 'fare la piscia'.
- Ma se scappa scappa! Che dovrei dire?
- Le signore beneducate di norma utilizzano la formula del 'vado ad incipriarmi il naso'.
- Ma se non è vero!?!
- Non fa nulla, a nessuno interessa che tu vada ad espletare le tue funzioni corporali, Cox, nemmeno al tuo medico a meno che non sia per motivi di salute.
- ... Non ti sto seguendo. Va bene, niente piscia. Ma se mi devo incipriare per fare la piscia, che dovrei dire se devo cagare?
- ... ti stai incipriando anche in quel caso. Nessuno ti biasimerà per la tua scarsa fantasia.
- If you say so...

Ritter sospirò. Era un caso disperato, ma la trovava estremamente divertente, sempre in maniera composta, sottile. Lui era un Corer, però non era la prima cosa che saltava all'occhio di lui, quando ci pensava. Neville non fu da meno. Ci provò, a consolarla, a farla sentire più tranquilla, ma a niente valsero gli sforzi congiunti dei due. Però una cosa doveva farla: farsi coraggio e andarci, perchè in fondo con la Khan aveva un debito, e non avrebbe disatteso le sue aspettative, nemmeno in un momento così ambiguo.

- Sposarsi, che cosa assurda. 
- Tu credi?
- Bhè... no, cioè, scusa. Non intendevo che sposarsi sia assurdo, solo mi pare un pochino affrettato. E poi lei mi sembra tutto tranne che propensa al matrimonio, o interessata. E' una donna ambiziosa, il matrimonio non credo sia tra i suoi traguardi.
- Possibilmente si tratta di un matrimonio di comodo, ma se è la donna intelligente che dici lei sia, si sarà fatta i propri conti in tasca.
- Di comodo, che brutta parola.
- Preferisci d'interesse?
- Bhè no.
- Sai, nemmeno io e Mary Ann ci sposammo per amore, non all'inizio. Eravamo giovani, le nostre famiglie ci avevano promessi. Imparai ad amarla col tempo.
- What?!?! Really?
- Aye! Suprised?
- A little. Insomma... non sembrava.
- No, appunto. Sono stato fortunato, era comunque una bella donna ed estremamente amabile ed umile.
- ...
- What?
- I'm sorry.
- Dah! Stop it. Piuttosto, hai preso il regalo?
- Yep. Non so se le piacerà, ma è l'unica cosa che mi è venuta in mente.
- Meglio di niente. Ora vediamo un po' quel vestito? Neville dice che ti sta un incanto.
- Fuck off!

Si vergognava a morte. E no, non mostrò a Trigger il vestito che aveva scelto su consiglio della sorella. Fece le valige. Salutò tutti e prese il primo trasporto verso il pianeta. Appena arrivata si chiuse nella stanza che l'era stata riservata. Anya le venne in soccorso e non fu mai abbastanza grata di averla lì, fu quasi felice di vedere anche Scott, per pochissimi secondi e il tempo di scolarsi un whisky diritto diritto, liscio, senza batter ciglio. Almeno potè ammirare la magnifica location scelta per l'evento. Stranamente ogni cosa le ricordava il tocco meticoloso e analitico di Declan. Il perfetto portamento, l'assoluto controllo su ogni cosa. Non era impersonale, però. Girò un po' per il posto, senza perdersi grazie al cielo, e poi dovette filare a cambiarsi, con l'aiuto dell'onnipresente sorella, sempre pronta a salvarla dagli impicci. Non rinunciò al c-pad, anche perchè aveva appuntato l'ordine delle posate da usare scaricato con l'holodek da un manuale di educazione Corer per bambini. Una cosa alla sua portata, insomma. La gonna le stringeva le ginocchia, la sorella le acconciò i capelli e l'aiutò con un filo di trucco, senza eccedere. Tremando, si aggrappò a lei e si tuffò nell'ignoto della sala gremita di ospiti tra le persone più illustri che il 'Verse potesse forgiare. Lei era lì. L'unica cosa utile che aveva fatto era morire, farsi risorgere e vincere una gara di Skybike per la Blue Sun. Non era proprio un posto per lei, ma ce la mise tutta. Fortunatamente si portò appresso un bel po' di pasticche, per sopperire al fastidio. Il dolore alla spalla, ben coperta dal taglio dell'abito, era sopportabile, e poi un paio di sorsi di liquore di rosa – mai bevuto prima – alleggerì un sacco la tensione. Spesso finì per appartarsi, chiamare Ritter o Neville, a volte senza prendere segnale, a causa alla distanza.

Declan Khan era splendida. In quell'abito rosso finemente decorato. Le calzava a pennello e giocava con i riflessi dei suoi capelli. Era splendente, e come sempre magneticamente inquietante. Aveva quel cipiglio determinato che non lasciava mai andare. Non si stava rilassando, nemmeno lì, nemmeno in quel momento e lei non potè fare a meno di osservarla da lontano e farsi le solite sciocche domande di sempre.

- Secondo te sarà felice?
- Lo ha scelto lei, è quello che vuole.
- Ma non è una risposta.
- Niet.

Guardò Anya. Nemmeno lei sapeva rispondere, ma era più tranquilla, come se la cosa ormai fosse assodata. Probabilmente conosceva Declan meglio di Molly, anzi, sicuramente era così. Eppure non potè fare a meno di sentirsi triste, per lei, solo per un attimo.

- Non lasciarsi mai andare deve essere davvero una bella rottura di...

Anya rise bassa, Molly si era fermata, di scatto, strabuzzando gli occhi in un'espressione buffissima vista l'occhiata di un cameriere che passava di lì proprio mentre lei stava per essere scurrile. Le porse la tazzina di tè. Avevano appena assistito alla cerimonia del suddetto tè tra Declan e Derek. Si soffermò un po' anche sullo sposo. Era vecchio. Lo sapeva, o meglio, lo aveva letto in giro documentandosi un pochino. Il magnate però sembrava decisamente più sciolto della CEO. Era comunque un bell'uomo, decisamente elegante, affascinate, senza ombra di dubbio e assieme non stavano nemmeno male. Erano una coppia ben assortita, seppur lui sembrasse cozzare con l'impostazione della rossa Khan. La cerimonia cercò di seguirla con attenzione, chiedendo di tanto in tanto alla povera sorella cosa stessero facendo, dato che non sembrava affatto un classico matrimonio cristiano, così com'era abituata a vederli.

La cena sontuosa, la sala magnifica. Tutto risultava abbastanza enorme, tanto da metterla a disagio, così come non riusciva a fare il Rim più profondo o lo spazio infinito. Le scarpe la stavano uccidendo, i messaggi di Ritter e Vergil continuavano a strappare la sua attenzione al brusio di fondo, facendola distogliere, dimenticare per brevissimi frammenti di tempo che non stava in una sala gremita di personaggi in vista e potenzialmente snob. Sentiva troppi occhi addosso, la cosa era davvero insopportabile. Ogni pasto dovette attendere, guardarsi attorno, fare un respiro e cercare di imitare. Fortunatamente la sorella era con lei:

- Stai andando alla grande.
- Well. Da me dicono If you can't beat them, you might as well join them. Di norma non è una filosofia che riesco a sposare – ho fatto la battuta! - facilmente, ma per sopravvivere...
- Da, è un buon metodo. Non lo diremo a nessuno.
- Okay, thanks.

Era sollevata, fortunatamente c'era lei. La sorella, ovvio, ma non era l'unica. Incrociò lo sguardo verde chiaro con quello azzurro e intenso di Declan Khan. Le sorrise, in maniera assolutamente inaspettata. Le venne naturale di sorridere alla sposa, senza nascondere un minimo di imbarazzo che le sorgeva spontaneo. Apprezzò molto il tempo che la rossa CEO, seppur limitato dai suoi ovvi doveri di 'padrona di casa', le dedicò, ammansendo un pochino la difficoltà e quel senso di stordimento in cui l'evento l'aveva fatta inciampare. Non c'era caduta solo perchè qualcuno la teneva per mano, sempre e comunque. Sopravvisse, barcamenandosi come meglio credeva, cercando di mimetizzarsi come una mosca bianca in uno sciame nero. Orgogliosa, testarda. Ci mise tutto l'impegno di cui era dotata, contando magicamente fino a dieci, cercando di non dimenticare mai che 'piscia' non era un termine che si poteva usare.

- Sis'!
- Sis'?
- Dimmi un po', ma nemmeno sbronza si può usare, vero? 
- Ah? Di che stai parlando. 
- Delle parole vietate dal vocabolario di una signorina per bene! Ovvio no? 
- Er... D-da?!
- Okay, quindi che devo dire per far capire alla persona che mi offre da bere che se ingollo un altro sorso di quella roba alla rosa rischio di stramazzare sbronza sul pavimento?

Aspettava trepidante, come una bambina con la domanda della vita. L'enigma più importante. Anya la fissò, stranita, guardò Scott, e poi tornò a fissare la sorella come se fosse una sorta di alieno venuto da chissà quale mondo, forse un grayskin le avrebbe fatto meno paura.

- Beh, puoi semplicemente dire che con un altro bicchiere di quel drink favoloso rischieresti di diventare meno reattiva di un tovagliolo stropicciato?
- ... Non me lo ricorderò mai. Mi sono persa al drink! Sèh, lascia. Occhio che Champlin se la squaglia. Cazzo di Corer, complicati anche a dire no. Un semplice ' No grazie non basta?' Mo chiedo a Ritter, speriamo sia ancora sveglio!

Rigirata la frittata al povero medico, non soddisfatta della risposta della sorella, si ritrovò incassata in un angoletto, semi nascosta dalle tende ad aspettare che arrivasse il messaggio lungo la rete cortex. Le distanze siderali rendevano tutto estremamente complicato ma era determinata ad ottenere una risposta soddisfacente e da perfetta signorina. Almeno, secondo i suoi limiti.

Allora, mi sono ricordata che non posso dire 'vado a fare la piscia' e ho detto già un paio di volte 'vado ad incipriarmi il naso' - che tra parentesi funziona anche come scusa per tagliare la corda - ma che dico ad uno che mi offre da bere per fargli capire che se ingollo un altro sorso di quella roba alla rosa rischio di stramazzare sbronza sul pavimento, in maniera meno rimmer? Non basta un semplice: 'no'?"

Fortunatamente lei ebbe uno stacco. Anya aveva catalizzato molti sguardi, in fondo era diventata in poco tempo la Vice-CEO della Blue Sun di Cap City, riempiendo in parte il vuoto lasciato proprio dalla sposa. Si mise a spirare tra le fessure tra i tendaggi, sfilate le scarpe per muovere un po' i piedi in assoluta libertà, senza gli odiati tacchi. Poi il c-pad vibrò e a lei pigliò un dannato colpo che la vide masticare improperi a bassissima voce, azzannarsi la mano per non far uscire altre porcate. Lesse il messaggio di Ritter e scoppiò a ridere.

"Il problema qui è particolarmente spinoso: fargli capire che sei sulla china dell'ubriachezza equivale a rafforzarlo nelle sue ovvie intenzioni carnali (tradotto: sta cercando di portarti a letto confidando nel potere 'liberatorio' dell'alcol). Quindi devi dissuaderlo, contrastando le sue mire alla radice: digli che non ti divertivi così tanto con un uomo da quando tuo marito ti ha lasciata sola con tre bambini. Funzionerà”

Geniale. Un pochino complicato, ma in fondo poteva riuscirci. Si dovette tappare la bocca con la mano, infilare le scarpe quando notò movimenti nella tenda e la faccia di Anya che compariva da dietro, alla sua ricerca.

- Well? 
- Nothing... 
- Perchè ridi? Ti ha sentita tutto questo lato della sala.
- Ahm, colpa del Doc.   
- Cosa?
- Niente. Lascia. Ti spiego più tardi. Coff...

Sfruttò con oculatezza la scusa propinata da Ritter ed effettivamente, dovette ammettere, in seguito, che funzionò alla grande. Poco le importava che la cosa potesse diventare di dominio pubblico, l'importante era sbarazzarsi degli scocciatori. Grazie al cielo, quando finalmente tutto in quella sala fu consumato e bevuto, ci fu uno spettacolo all'esterno. Una danza che non avrebbe dimenticato per molto, moltissimo tempo. Osservò incantata i movimenti del drago, i giochi di luci, il buio acceso da scie danzanti. Si sentì un po' più a casa, nel buio, mimetizzata con il proprio abito nero, mai troppo lontana da Anya, seppur a distanza di sicurezza da Scott. La cercò ancora, la sposa, tra i visi e le espressioni distratte, ammaliate da quello che vedevano. Lei era sempre la stessa, con quel suo aplomb impeccabile, mai un attimo di pace.

Non ringraziò mai abbastanza il cielo, gli dei, dio stesso, Anya e Ritter per averla tirata fuori da quell'inferno Corer sana e salva. Ci sono solo due foto che testimoniano la sua presenza lì, o almeno, due scatti di cui lei sia a conoscenza. Cose che nessuno vedrà più, probabilmente, fino a che camperà.

 
***



That's the Way I've Always Heard It Should Be by Carly Simon
My father sits at night with no lights on
His cigarette glows in the dark.
The living room is still;
I walk by, no remark.
I tiptoe past the master bedroom where
My mother reads her magazines.
I hear her call sweet dreams,
But I forgot how to dream.

But you say it's time we moved in together
And raised a family of our own, you and me -
Well, that's the way I've always heard it should be:
You want to marry me, we'll marry.

My friends from college they're all married now;
They have their houses and their lawns.
They have their silent noons,
Tearful nights, angry dawns.
Their children hate them for the things they're not;
They hate themselves for what they are-
And yet they drink, they laugh,
Close the wound, hide the scar.

But you say it's time we moved in together
And raised a family of our own, you and me -
Well, that's the way I've always heard it should be:
You want to marry me, we'll marry.

You say we can keep our love alive
Babe - all I know is what I see -
The couples cling and claw
And drown in love's debris.
You say we'll soar like two birds through the clouds,
But soon you'll cage me on your shelf -
I'll never learn to be just me first
By myself.

Well O.K., it's time we moved in together
And raised a family of our own, you and me -
Well, that's the way I've always heard it should be,
You want to marry me, we'll marry,
We'll marry.

Troubles loves me...


“Ogni cosa che ci accade è conseguenza diretta di quello che facciamo.”

Era un pensiero che le batteva nel cervello, mentre stava seduta a guardare il vuoto e le stelle attorno a lei. Era in plancia, Trigger a riposare dato che il viaggio non sarebbe stato dei più semplici. Non poteva fare a meno di pensare a quel relitto, a quella nave che probabilmente l'aveva attaccata e che l'aveva razziata. Un brivido continuava a scorrerle lungo la schiena, e a galla tornavano le vecchie leggente, i dubbi che bussavano prepotentemente nel retro del cranio, chiedendo di entrare e radicarsi, assieme alla paura. Ma non poteva permettersi di avere paura. La situazione non lo consentiva. Eppure, quando aveva caricato i ragazzi del Ranch, mai si sarebbe immaginata che sarebbe precipitato tutto in un caos senza controllo.

La partenza da Greenfield non era stata guastata da nulla. Solo l'arrivo in Polaris aveva dato i primi segnali di qualcosa che non andava. La carcassa di un Evolution Refit galleggiava nello spazio senza più controllo, morta, come un tronco spezzato e marcio che galleggia in un fiume in piena, trasportato dalla corrente. Probabilmente avrebbe dovuto lasciar perdere, perchè in fondo i sensori avevano assicurato che non c'era nessuno a bordo da salvare, ma la curiosità di capire a volte ha la meglio sulla ragionevolezza. Trigger insisteva affinchè salissero a bordo per controllare e vedere se si poteva raccogliere qualcosa di utile, parti di ricambio, razziare, insomma. Non dimenticherà facilmente lo squarcio sulla fiancata, la lamiera divelta permetteva di vedere la zona passeggeri, uno spettacolo raccapricciante, perchè di buchi nello scafo ne aveva visti, ma mai di quel tipo. Non poteva abbandonare la plancia. Il refit aveva preso una rotazione costante e lei doveva adeguare l'andamento della Monkey a quella del relitto, per permettere a Myar ed Alan di salire a bordo. Le descrizioni non facevano altro che peggiorare la situazione: nessun cadavere, solo sangue, tanto, al punto da indicare che forse vi era stata una colluttazione. I livelli di radiazioni erano anomali, troppo, e la cosa la spinse ad optare per abbandonare le barre di combustibile dalla griglia di contenimento e far risalire meccanico e medico a bordo. La voce di Philip, in sala macchine, le rimbombava nella testa “Marauders”. Non potevano essere. Eppure quella rotta, lei ne era certa, era sicura. Non potevano sapere da quanto tempo fosse alla deriva, ma la presenza di quella nave l'aveva spinta a cambiare drasticamente i piani e cercare qualcosa di sicuro, ancora una volta. Arrivare su Tauron era stato un sollievo, ma non sarebbe durato.

I cavalli dovevano essere contrattati, non erano ancora stati acquisiti e lei avrebbe dovuto stare con Philip e gli altri sul pianeta. Non le dispiaceva. Ma poi accedde l'impensabile. Elizabeth coinvolta in una sparatoria al Crazy, non come vittima, ma come parte in causa, attiva. Non riusciva davvero a capacitarsene. Poi quella notizia, Sterling e Ritter, arrestati assieme. Un colpo netto al cuore, un dolore difficilmente descrivibile che la costrinse ad attingere ad una dose più alta di farmaci per alleviare la sensazione di soffocamento e preoccupazione. Cecilia. I sogni infestati dalla piccola. Non che dubitasse fosse al sicuro, ma... doveva stare con loro, crescere con loro, non come è accaduto a lei. Quello valse abbastanza da potersi sentire in dovere di agire. Non poteva stare con le mani in mano, eppure aveva un lavoro da portare a termine. Le notti si erano fatte angoscianti, il sonno non veniva e se veniva era solamente indotto. La tensione le faceva salire le palpitazioni, l'ansia, l'angoscia. Si era sentita così solo un'altra volta: quando Vergil decise di costituirsi. Nella sua cabina rimaneva a fissare il soffitto in silenzio, rimuginando e ragionando sul come poterli aiutare. Non tanto per Ritter, ma Sterling, le sue accuse erano gravissime, lo sapeva. Doveva esserci qualcosa che avrebbe potuto fare, ma ogni piano escogitato finiva rovinosamente per portare agli scenari peggiori mai pensati. Rigirarsi nella branda non serviva a nulla, così passava le nottate in plancia, a fissare fuori: Tauron. Ormai quel pianeta le sembrava irrimediabilmente piccolo.

- Devo fare qualcosa, Trig.

- E cosa vorresti fare? Sono in galera, vorresti entrare, bussare, chiedere per favore se li rilasciano perchè altrimenti non dormi la notte?

- ... Non essere ridicolo.

- E allora? Non c'è modo che tu possa cavarli fuori da lì da sola, Winger, rassegnati.

- Ci deve essere un modo!

- Ci fosse stato, ragazza, l'avresti trovato con Neville. Ma a prescindere, se li tiri fuori di galera che cambia? Tornano a fare i fuggiaschi, tornano a vivere una vita nascosti.

- Bhè ma se si devono nascondere almeno possono farlo con la bambina. Andarsene in un fottuto buco pacifico e farsi una cazzo di vita assieme, maledizione!

- Non sei tu a decidere delle loro vite, Winger, chi ti credi di essere?

- ...

- Appunto. So che sei preoccupata per Cecilia, ma non ce n'è motivo.

- Voglio solo che non cresca come me...

- Che ci sarebbe di male? Guardati. Ti fai in quattro per chi ami, cerchi di sollevare chiunque navighi nella merda, che sia un criminale o meno non ti importa, sei un pilota fottutamente capace. Winger, non hai niente che non vada. E se anche quelli che ti hanno cresciuto non erano i tuoi genitori, non significa che abbiano fatto un pessimo lavoro, anzi... stai offendendo la memoria di tuo zio e mancando di rispetto alle fatiche di tuo padre.

- ...

- Vai a dormire.

- Non ci riesco.

- E allora rimani in silenzio, perchè in queste condizioni stai sparando solo cazzate.

Sigillò le labbra, ricacciando il nodo in gola, il fastidio, la frustrazione e le lacrime che salivano e bruciavano dietro gli occhi, senza mai affacciarsi. Non aveva toccato alcol, il che rendeva la situazione ancora più grave. Ma era destinata a peggiorare.

Arrivò. Quel maledetto messaggio arrivò diritto. “Help me”. Suo fratello aveva bisogno di lei, la sua famiglia aveva bisogno di lei e non potè dire di no, e non avrebbe nemmeno voluto. Vergil inventò una scusa: amici dall'altro lato del pianeta. E poi salparono. Il senso di colpa per aver mentito a Philip lo ingoiò un pezzo alla volta, amarissimo. A quel ragazzo non avrebbe mai voluto dire una bugia, seppur l'avesse già fatto con la storia del Rebirth, ma in fondo, doveva proteggere anche lui. Puntò diritta a Safeport, raccolse il fratello e poi si diresse con la Monkey verso lo Skyplex di Duankou. Raccolsero Hogs e Thorvald. Ormai erano in ballo. Black come al solito non usava il cervello, agiva d'istinto e per una volta non potè dirgli nulla. Era precipitato tutto. Kat, Rinoa e Fenix mancavano all'appello. Lui doveva correre a cercarli, ma sarebbe stata una corsa vana.

Arrestati, anche loro. Metà dell'equipaggio del fratello era dietro le sbarre, ma soprattutto, metà della sua anima era in gatta buia. Era una situazione disperata. E disperato era anche il piano che si sentì spiegare da Neville. Assurdo. Non poteva né voleva crederci.

Era tutto assurdo, ormai fuori controllo. Aileen che le scriveva con richieste fuori dalla grazia di dio a cui avrebbe detto di no, se non ci fosse stato un motivo più profondo dietro a tutto. Un chimico chiuso in una cabina, un chiacchierone con la lingua lunga troppo attaccato alla propria pellaccia, la cui unica colpa era stata quella di farsi spedire sulla lattina volante e finire nelle grinfie paranoiche della rossa. Vivevano in una situazione ormai degenerata fino all'impossibile e lei, lei, continuava a cercar di salvare capra e cavoli. Doveva parlare con Black, doveva cercare di fargli entrare nella zucca che il piano era fallimentare, doveva cercare di salvare Huck da una fine ingrata, salvare la nave, Neville, Ritter, Sterling, Rin, Kat, Fenix, Joe, Cecilia... a qualunque costo. Sapeva che rischiava di fallire miseramente, ma sarebbe stato peggio non tentare in primo luogo. Aveva deciso di smettere di vivere di rimpianti, aveva deciso di agire, a modo proprio. Loro avevano bisogno, e lei ci sarebbe stata, no matter what.

Ormai era in ballo, non si sarebbe tirata indietro. Aveva un muro davanti, un muro impenetrabile, eppure doveva avanzare, a testa bassa, spezzare la barriera e andare avanti fino all'altra parte, qualsiasi cosa celasse. Non sentiva nemmeno più la voglia di scappare, di nascondersi. Sapeva che era un rischio, ma doveva correrlo, o non si sarebbe mai più guardata allo specchio. La sua determinazione però non rendeva la scelta più semplice, anzi. Però, lo aveva sempre detto: nessuno viene lasciato indietro. Nessuna pace per i cattivi, mai. No peace for the wicked. Peccato che non si ritenesse affatto cattiva. Ormai ne era certa, i problemi l'amavano...


Trouble loves me 
Trouble needs me 
Two things 
More than you do 
Or would attempt to 
So, console me 
Otherwise, hold me 
Just when it seems like 
Everything's evened out 
And the balance 
Seems serene 

Trouble loves me 
Walks beside me 
To chide me 
Not to guide me 
It's still much more 
Than you'll do 
So, console me 
Otherwise, hold me 
Just when it seems like 
Everything's evened out 
And the balance seems serene 
See the fool I'll be 
Still running 'round 
On the flesh rampage 
Still running 'round 


Ready with ready-wit 
Still running 'round 
On the flesh rampage 
- at your age ! 
Go to soho, oh 
Go to waste in 
The wrong arms 
Still running 'round 
Trouble loves me 
Seeks and finds me 
To charlatanize me 
Which is only 
As it should be 
Oh, please fulfill me 
Otherwise, kill me 


Show me a barrel and watch me scrape it 
Faced with the music, as always I'll face it 
In the half-light 
So english, frowning 
Then at midnight i 
Can't get you out of my head 
A disenchanted taste 
Still running 'round 
A disenchanted taste 
Still running 'round



martedì 19 marzo 2013

The dead are dancing...

Di rientro tardi dalla corsa in moto, Trigger era sulla soglia della stiva, l'airlock aperto, a fumare guardando le stelle. La Monkey, come poche altre navi dockate nello spazioporto di Oak Town, era silenziosa e immobile. La moto Molly la stava spingendo a mano. Il casco agganciato al manubrio, la carena un po' ammaccata, impiastricciata di terriccio e muschio, così come lo era lei. I capelli sciolti, l'espressione provata, stanca, incredibilmente. Il vecchio, che la conosceva sin dalla più tenera età, sollevà lo sguardo chiaro, nascondendosi dietro una coltre di fumo scuro, frutto del tabacco blackmamba che usava adesso per rollarsi le sigarette a mano.

- Che succede ragazza?
- Nothing.
- Right. Hai deciso che non ti piace più verde? La preferivi marrone?

L'ironia dell'uomo non la sfiorava, lo sguardo era irrimediabilmente calato a terra, appesantito dalla discussione avuta con Rooster, nata per caso e finita per affondare nella carne e nell'anima. Lei si fece aiutare, non perchè lo volesse, ma perchè era ferma immobile alla fine della rampa in completo stallo, tale da spingere il buon Cooter Jackson ad alzarsi – stiracchiarsi le vecchie ossa – e raggiungerla, per sfilarle da sotto le dita l'outback e accompagnarla nella stiva, nonostante lo sporco, la terra incrostata tra le ruote e le molle degli ammortizzatori. Che la moto fosse finita a terra, così come lei, era evidente. Molly si guardò le mani, sospirando stancamente per poi guardarsi attorno. In cima alla rampa, dove fino a qualche attimo prima era seduto Trigger, una bottiglia di whisky sintetico accanto alla busta col tabacco e le cartine. Si arrampicò, quasi strisciando, fino al limitare, posando la schiena contro la parete interna, incassandosi nell'angolo della stiva, lontana dalla vista esterna, al buio di qualche cassa. La mano, ladra, stava trascinando la bottiglia apparentemente di piombo – per quanto sembrava pesarle sui muscoli indolenziti – contro il pavimento di metallo della stiva, emettendo un sinistro stridio di vetro contro metallo. Trigger si affacciò, guardandola dall'alto. Flesse le ginocchia, portando le mani nodose e grandi, ad intrecciarsi tra loro, con gli avambracci abbandonati contro le cosce, una posa rilassata, dove gli occhi avevano invece la fermezza di un carattere forte, provato da mille vicissitudini, ma con ancora quella pulsante vena paterna che gli palpitava nell'anima.

- What's up, Winger?

Lei fece un respiro, rubando un sorso dalla bottiglia, distese le gambe e si abbattè di spalla destra contro la parete intera, lì dove si era rannicchiata, la bottiglia appoggiata contro le cosce, la sinistra a reggerla un po' incerta a causa del dolore che non sembrava riuscire a sconfiggere. Lui, paziente, rimase fermo, lì dove stava, con la vecchia tuta marrone da pilota vecchio stile, le sue armi, sempre le solite Python grosse ed ingombranti, i suoi occhi chiari dietro le lenti da vista, perennemente sporche di una qualche ditata. Aspettava, e non doveva parlare per riuscire a farlo capire alla ragazza.

- Le medicine non bastano.
- Non credo. La medicina è forte abbastanza, significa che quello che ti fa male non è fisico, ma sta nella tua testa... So, what happened?

Lei non era incline a parlarne, ma tutto sommato si trovò a fissarlo in viso. Di punto in bianco, gli occhi chiari che per lungo tempo avevano detto essere di sua madre – pure che nessuno l'aveva conosciuta, sua madre – si fermarono su di lui in una maniera tutta nuova, in qualche modo colpevole.

- Pensi che sia una venduta? Credi che chiederti di accompagnarmi a Bullfinch a fare quei trasporti, che lavorare per il Ranch, sia svenderti?

La domanda lo colse in contropiede. Si accigliò visibilmente, lasciando che la fitta trama di rughe si facesse più spessa e cupa. Non aveva intenzione di prenderla sotto gamba, perchè quegli occhi così chiari erano quelli di una persona smarrita, confusa, troppo per potersene prendere gioco come di norma avrebbe fatto.

- Ho promesso di proteggerti, ricordi?
- Non è quello che ti ho chiesto.
- Lo so.
- E allora? Rispondimi, per dio!
- ...

Il caratteraccio prese il sopravvento. Ci mise così poco a scattare, come una molla compressa troppo a lungo, si tese verso di lui, puntandolo diritto negli occhi, incattivita talmente di colpo da stordire anche lui e costringere l'ex-browncoat a sederlesi davanti, richiamando le gambe in una posa più comoda, per quanto le sue vecchie ossa gli concedessero.

- Penso che i terreni di Bullfinch dovevano restare a quelli di Bullfinch, e che il Ranch di Black Oak non ha nessun diritto di sfruttare quelle terre, in barba ai contadini e alle famiglie che ci vivevano e che adesso sono stati sfrattati. Penso che sia un pessimo affare.

La verità la vide storcere le labbra, voltare il viso, schiacciando la guancia contro il metallo freddo della stiva. Chiuse gli occhi e il pilota non ci mise molto a capire che non era quello che si aspettava, o forse, che lo era, ma che faceva comunque male lo stesso.

- I'm sorry, kid.

Lei scosse il capo, cercando di portarsi la bottiglia contro le labbra. Lui provò ad intercettarla, bloccandola, così che lei fosse costretta ad aprire gli occhi e tornare a specchiarsi in quelle fessure chiare come il ghiaccio. Provò anche a sorriderle, ma senza successo.

- Perchè non vai a dormire, mh? Ti stai ammazzando di lavoro.
- Voglio stare sola...
- ... Come vuoi.

Le cedette la bottiglia, raccogliendo le mani contro i fianchi, finì per sollevarsi, con calma, con i suoi tempi, perchè in fondo non era più un giovanotto, seppur non fosse l'età il più grande dei suoi problemi, ma il senso di colpa radicato, che riesce a succhiare la vita, un giorno alla volta. E lui di giorni da dividere con le sue colpe ne aveva avuti molti. Si fermò, mentre rientrava verso le scalette che salivano al catwalk:

- Sai winger, a volte sei la copia sputata di tuo padre.
- Codarda?
- Combattuta. Cerca di dormire.

Lei si voltò, incrociò lo sguardo dell'uomo, il giudice e la giuria, come nel bosco erano stati gli occhi scuri di Jack Rooster, a farla sentire inadeguata, sbagliata, semplicemente spogliando la verità di tutte quelle finzioni che lei stessa si era abbellita e allestita, per cercare di farsi andare bene cose che invece non le piacevano. Camuffando scelte di puro interesse con la scusa di aiutare un amico. Lui si voltò, augurandole la buona notte, e lei si attaccò alla bottiglia, trascinandosi verso il pannello di controllo manuale della stiva. Posò la schiena contro il supporto, si sfilò uno stivale, il secondo, afferrando l'ultimo per cercare di slanciarlo oltre la testa e premere brutalmente il pulsante di chiusura della stiva, richiamando la rampa di carico.

- I'm sorry.

Chiuse gli occhi, attaccandosi alla bottiglia, ascoltando il suono del portellone che lentamente si chiudeva, sbarrando fuori i pensieri, o almeno, lasciandola illudere che così fosse, in compagnia di quella bottiglia e del senso di inadeguatezza, in parte ipocrisia, che si sentiva pulsare in petto. Un sorriso amaro, nascosto dietro la bottiglia l'unico vero passaggio per la dimenticanza e una notte di sonno che altrimenti non sarebbe venuto: unico inconveniente è il mal di testa e il vuoto allo stomaco, l'indomani.



domenica 3 marzo 2013

Masters of war...


In casa non era concesso parlare di guerra. Era cominciata da nemmeno un paio di mesi e già il furore indipendentista si era insediato nell'animo focoso di Will. Quella che sarebbe stata materia di liti furibonde tra padre e zio, non era che una cosa all'apparenza remota che la sfiorava solo in minima parte. Molly aveva 17 anni. Era adulta abbastanza da capire che determinate cose non potevano lasciare le cose come stavano.
Un pomeriggio, qualche giorno dopo il proprio compleanno, aveva accompagnato Will in città. Una sosta al saloon e le cose già erano degenerate. Un piccolo capannello di facinorosi si era scaldato più del normale e ovviamente, William Cox non poteva stare lì in silenzio ad ascoltare. Era esplosa un discussione a tratti feroce, sulle ragioni della guerra d'indipendenza. Lei era seduta sul bancone, le sedie spostate a formare una sorta di assemblea attorno ad un piccolo palchetto improvvisato. C'erano tante facce che conosceva e non solo, praticamente tutte le famiglie di quella regione, chi con un rappresentante chi con più d'uno era lì a dire la propria, anche il reverendo McAllister era lì. Dusty e Trigger stavano per venire alle mani con uno dei Wong da oltre il fiume azzurro. In silenzio, da sotto il cappello dello zio, i suoi occhi chiari rimanevano assorti ad osservare il susseguirsi di improperi, di intimazioni, di minacce. Gente che cercava di far da pacere, altri che invece fomentavano. Era una bolgia, scomposta e disordinata, e più ascoltava meno comprendeva. Dal suo punto di vista, ognuno aveva una parte di ragione, così come c'era una parte di torto.

- Vuoi lasciare che ti tassino per l'acqua che prelievi dal fiume, Wong? O che ti levino le bestie che allevi perchè sono troppe per il terreno che hai? O che decida qualcuno di un altro sistema solare come devi vivere, è questo che mi stai dicendo?

Will non faceva altro che urlare più forte, soffocando qualsiasi tentativo da parte del piccolo cinese allevatore di bestiame di riuscire a parlare o dire la propria. Trigger era alle spalle del compare, trattenendolo per una spalla seppur continuasse ad incitare a “dirgliene quattro”.
I toni non variarono mai, continuarono ad alzarsi ed abbassarsi in maniera assolutamente imprevedibile, mostrando quanta confusione potesse regnare in fondo, oltre alla paura, nei cuori di tutti. C'erano adulti e bambini, vecchi stanchi, ragazzini scalmanati, ma ben poche donne. In realtà, l'unica che rimase dall'inizio alla fine era proprio lei. Ciondolava le gambe oltre il bordo del bancone su cui era stata piazzata a sedere dallo zio, reggendo un boccale ammezzato di birra allungata con la soda. Il tacco dello stivale sbatteva ritmicamente contro i pannelli di legno, scandendo il ritmo della discussione, seguendolo fino a che, al culmine dell'ennesimo ululato della folla, non si aprirono le porte del saloon.
La presenza di Jacob Cox incuteva un po' su chiunque lo stesso effetto. Non era un uomo cattivo, non era nemmeno uno di quelli che ti giudica, ma la madre diceva sempre che sarebbe stato un ottimo predicatore, perchè la folla, la massa, lo sta ad ascoltare. Lo stetson nero era calato sul viso spruzzato di barba sale e pepe, la mascella volitiva grattata dai polpastrelli ruvidi, mani grosse, capaci di guidare un aratro quanto di pilotare una nave spaziale. Il suono dei suoi stivali sancì un silenzio irreale, e lei sollevò lo sguardo a contemplare la figura immensa del proprio padre.
Ci misero una manciata di secondi a riprendere il filo dei pensieri:

- Jac, metti il sale in testa a tuo fratello, pretende che scendiamo tutti in guerra come se lui avesse di che rischiare più di noi.
- Ancora con questa storia? Checcazzo ti credi che non capisco quanto rischiamo tutti ad entrare in guerra? Ma qui si sta parlando di qualcosa di più grande di noi, sei sicuro di voler stare qui ad aspettare che ci schiaccino e che ci impongano come vivere senza cercare di fare niente per impedirlo?
Jacob non stava nemmeno ascoltando. Sollevò lo sguardo chiarissimo, duro come il ghiaccio a caccia del profilo della figlia. Lei era lì, immobile, ferma nella stessa posa di sempre, le bretelle a reggere i calzoni troppo larghi, la canottiera sporca di schizzi di fango, la camicia a scacchi rossa e bianca il cappello dello zio sulla selva di capelli arruffati.

- Winger, vieni a casa.
- … Papà?
- Jac, lasciala stare, è grande abbastanza per decidere dove andare.
- E' mia figlia, Will, quando ne avrai una tua potrai decidere come crescerla, al momento sono io a decidere per lei. Non ho nessuna intenzione di lasciarle vedere il peggio che puoi produrre in stronzate. Sia mai che ti pensi in qualche modo un eroe, quando invece altro non sei che un coglione.

La frase dell'uomo ghiacciò l'intera platea. Nelle retrovie Cole Jackson si era spinto sulle punte, indurito dalla reazione di Jacob, teso e pronto a ribattere qualora ci fosse la possibilità. Al momento però non era possibile, interferire sarebbe stato stupido e controproducente.

- Che hai detto scusa?
- Hai sentito benissimo.
- Cristo, il mio stesso fratello. Visto che ci sei perchè non vendi la nostra casa direttamente a qualche Corer del cazzo.
- Non essere stupido, Will, lo sai che non è questo quello che intendo.

Ci fu un attimo di silenzio, una voce giovane, per quanto già spezzata dalla pubertà ormai conquistata da un pezzo, dal fondo della sala si levò. Molly non dovette nemmeno voltare il capo per capire di chi si trattasse. Era Dean, secondigenito di Cooter Jackson.

- Scusi Mr. Cox, ma credevo che lei, insomma ci tenesse a Shijie.
- Se con questo, Dean, intendi preoccupato per la minaccia e per la situazione in generale... beh, sì, lo sono. Se credo che i pianeti del Rim debbano governarsi da soli? Sì, sono convinto che possano. E che debbano. Ma se mi chiedete se sono disposto a fare la guerra all'Alleanza,beh, allora la risposta è decisamente no. 

Trigger era in fermento, esplose, trattenuto a stento dai suoi figli:

- Gli Alleati avanzarono tre volte, annientano senza pietà ogni resistenza incontrino, con la forza delle armi, della tecnologia: questa è la misura della loro risolutezza. La guerra è l'unico modo! Dobbiamo andare, io dico di votare!
- Io ho una figlia, ho un lavoro a cui tenere fede, degli impegni, delle promesse fatte. Tu, Trigger, tu hai quattro figli e una moglie. Chi baderà a loro se vai in guerra?

Scoppiò un pandemonio, la gente si divise tra chi la vedeva come Jacob, chi invece era ormai determinato a scendere in guerra con tutti gli altri paesi, facendosi coinvolgere nelle fila degli indipendentisti, attirati dalla propaganda locale, da quei cappotti marroni che si facevano via via più vivi. Sempre più presenti

- Ascoltatemi bene! Questa guerra verrà combattuta non alle frontiere... o su qualche lontano campo di battaglia... bensì fra noi. Fra le nostre case. I nostri figli la impareranno con i loro occhi. E gli innocenti moriranno insieme con tutti noi. Io non combatterò! E poiché non intendo farlo non esprimerò un voto...
- E i tuoi principi, fratello?
- Sono un padre, William. Non mi concedo più il lusso dei principi. Winger, vieni.

Lei rimase in silenzio tutto il tempo, alternando l'attenzione viva e curiosa tra padre e amici, persone che aveva conosciuto tutta la vita, separati da un abisso di convinzioni su cui non poteva davvero mettere becco. Appoggiò il boccale, mentre la folla continuava a votare, lei ormai non sentiva più nulla. Nell'arco della discussione aveva visto invecchiare il proprio padre di almeno un paio d'anni, solo al pensiero di entrare in guerra, ma sapeva, vista la divisione dell'assemblea, che le sue parole erano state come un sasso in uno stagno. Stavano colando a picco e lentamente, dopo il primo scossone, la superficie stava tornando piana, ferma, stagnante. Con un saltello scese dal bancone, si sentì afferrare il polso, trovò gli occhi chiari di Cole ma gli prese le dita, scostandole in maniera docile, senza essere brusca.

- Devo andare, Swift.
- Con lui?
- E' mio padre, con chi dovrei stare?
- Con tuo zio, con me!
- Ne parliamo dopo, adesso non è il momento.
- Ma...
- Ho detto no.

No. La risolutezza del padre, almeno in certi momenti, affiorava come un'eredità pesante da gestire, ma utile, in determinati casi. Lui lo sapeva, che quel no, detto a quella maniera, non aveva scampo. Lei si spostò, riconsegnò il cappello allo zio e raggiunse il padre. Il furgone era fuori, Berta era seduta nel lato passeggero, leccava la sigaretta appena rollata. Una manona si alzò a salutarla e lei rispose con un cenno scostante del capo. Stava per salire di dietro, come suo solito, ma il padre, che si era impossessato del suo posto alla guida fu perentorio:

- Passa dietro, Berta, per favore, devo parlare con mia figlia.
- Aye boss.
- Winger, vieni davanti, per cortesia.

Non potè fare altro che raggiungerlo, infilandosi seduta storta sul sedile dalle molle danneggiate. Sospirò, odiava viaggiare davanti su quella bagnarola, ma almeno il finestrino era giù, era una bella giornata e poteva guardare il paesaggio.

- Winger, mi dispiace che tu abbia assistito a quella... cosa.
- Non fa niente papà.
- Che idea ti sei fatta?
- Non lo so.
- …
- Nel senso, da una parte tutti hanno ragione, dall'altra tutti hanno torto. E' troppo ingarbugliato.
- La guerra c'è, inutile nasconderlo. E probabilmente arriverà anche qui, sono sicuro, conoscendo quelli che stavano in quel locale adesso, che si arruoleranno tutti volontari nell'esercito indipendentista.
- Sì, i Browncoats, me lo diceva zio ieri.
- Esatto. Probabilmente tuo zio ti avrà anche detto che sono un codardo, vero?
- Bhè... diciamo che lui sapeva tu saresti contrario, ecco.

Lui rise, basso, annuendo leggermente. Si sfilò il cappello di capo e glielo pose in testa, mettendo in moto, con un colpo di mano sulla portiera avvisò Berta di reggersi forte mentre avviava il furgone lungo la strada polverosa. Nell'allontanarsi Molly voltò il capo a favore del saloon, da cui continuavano a venire le voci concitate e le ragioni o i torti di chi doveva dire la propria.

- Da chi avrai imparato ad essere così diplomatica, non lo so.
- Mi prendi in giro?
- Un po'. Senti, a prescindere da cosa Will pensi, a me importa quello che pensi tu. Io non scenderò in guerra, perchè è una guerra persa in partenza. Io rimango per occuparmi di chi rimane, per assicurarmi che quando tuo zio, a Dio piacendo, tornerà a casa avremo ancora un tetto sulla testa e una nave per lavorare. Perchè quello a cui non pensa tuo zio è che per pagare la sua battaglia dovrà fare cose che probabilmente non piaceranno nemmeno a lui.
- Capisco.
- L'Alleanza ha più mezzi, più fondi, più supporto. Sono meglio organizzati, meglio distribuiti, hanno le migliori tecnologie, sicuramente punteranno ai paesi del Border con le fabbriche, così che possano produrre armi più forti, tagliarle a noi, così come i rifornimenti. E questi sedicenti indipendentisti non so dove avranno i fondi, le forze, le armi per tenere testa all'Alleanza. Hai visto tu stessa il caos in quella sala, no? Immaginati tutte quelle teste calde su di un campo di battaglia.
- …
- Winger, qualsiasi cosa accada, vorrei che tu mi promettessi una cosa.
- Dimmi, pà.
- Vorrei che tu mi promettessi di non guardare mai alla guerra come ad uno strumento per qualcosa, ma ad una vessazione. La guerra non risolve le cose. E' un punto di rottura, non la via giusta per ottenere le cose.
- Non credo di capire.
- Temo che, quando la vedrai, capirai da te. Per il momento, voglio che tu mi prometta che, qualsiasi cosa accada, penserai sempre a quelli che rimangono indietro. Tu sai fare cose che servono sempre, specie quando c'è un'emergenza, ed è importante noi non lasciamo nessuno, indietro, piccola, mai, remember?
- Mh!
- Tuo zio andrà a proteggere casa nostra, ma probabilmente se ne andrà in qualche altro pianeta, e qualche altro soldato forse di Blackrock, forse di Shadetrack, verrà su Shijie a combattere una guerra che nessuno ha cercato davvero.
- Pà... come sai tante cose?

Lui rimase in silenzio, lei stava lì ad aspettare ma si rese conto che non avrebbe ottenuto risposta. Guardava la strada, fisso, la sua mente ancora lontana, concentrata sulla consapevolezza di cosa stava succedendo in città. Di lì a poco sarebbero partiti tutti, uno ad uno. Di lì a poco sarebbe successo di tutto, morti su morti, un pianeta distrutto, devastato.

- Te lo prometto
- Grazie.

No, non arrivò nessuna risposta alla sua domanda, non serviva. C'era l'aria pesante, pesantissima. E quella sera, da casa, si sentiva la voce dei cori che si alzavano. Cantavano canzoni di guerra. Canzoni di disgusto, contro quello che stava per accadere, contro chi aveva causato tutto il fermento, mentre ogni casa salutava i propri uomini, figli, fratelli che preparavano le borse per andare lontano, troppo lontano.


Come you masters of war
You that build the big guns
You that build the death planes
You that build all the bombs
You that hide behind walls
You that hide behind desks
I just want you to know
I can see through your masks.
 
You that never done nothin'
But build to destroy
You play with my world
Like it's your little toy
You put a gun in my hand
And you hide from my eyes
And you turn and run farther
When the fast bullets fly.
 
Like Judas of old
You lie and deceive
A world war can be won
You want me to believe
But I see through your eyes
And I see through your brain
Like I see through the water
That runs down my drain.
 
You fasten all the triggers
For the others to fire
Then you set back and watch
When the death count gets higher
You hide in your mansion'
As young people's blood
Flows out of their bodies
And is buried in the mud.
 
You've thrown the worst fear
That can ever be hurled
Fear to bring children
Into the world
For threatening my baby
Unborn and unnamed
You ain't worth the blood
That runs in your veins.
 
How much do I know
To talk out of turn
You might say that I'm young
You might say I'm unlearned
But there's one thing I know
Though I'm younger than you
That even Jesus would never
Forgive what you do.
 
Let me ask you one question
Is your money that good
Will it buy you forgiveness
Do you think that it could
I think you will find
When your death takes its toll
All the money you made
Will never buy back your soul.
 
And I hope that you die
And your death'll come soon
I will follow your casket
In the pale afternoon
And I'll watch while you're lowered
Down to your deathbed
And I'll stand over your grave
'Til I'm sure that you're dead.