venerdì 8 febbraio 2013

Time is a jailer...

 
 
Tornare a casa.
Dopo la vittoria alla Skyrace era diventato imperativo. Il chiasso mediatico sollevato, gli articoli, i fastidi, erano diventati insostenibili. Doveva tornare al suo ambiente, a fare davvero quello per cui era nata: il pilota. E, ancor più importante, doveva tornare dai suoi. A casa.
La sorella l'aveva messa in guardia, il Capitano l'aveva messa in guardia. Era possibile che la seguissero, e, il senso di fastidio che ne nasceva, le dava addosso un'inquietudine che non si spiegava. Non riusciva a camminare per le strade, o ad infilarsi nei bar senza guardare nelle vetrine, controllarsi discretamente le spalle. Avvisò la sorella della sua partenza, raccolse le proprie cose e le disse, per evitarle problemi di sorta, che sarebbe tornata a Maracay dal padre, per un po'. Sfruttò un trasporto che faceva scalo su Duankou, evitando quanto più possibile di avere a che fare con Hall Point e lì rimase, per qualche giorno, lasciando scorrere miriadi di facce, tutte anonime, ma potenzialmente tutte puntate su di lei. Si cambiò, vestì nuovamente i panni della vecchia sè stessa, con una tuta da pilota classica, le sue cose stipate in una cassetta di materiale plastico, leggera e imbottita per proteggere le cose più fragili. Attese, fino a che non le fu possibile individuare, tra le tante navi attraccate, il più papabile passaggio per Safeport. Non fu semplice, ma la grana apre molte porte, assieme a nomi e contatti che diventano abbastanza familiari, in certi ambienti: fortuna che non aveva perso totalmente lo smalto, insomma. Una Wyoming come tante altre, un equipaggio di contrabbandieri e un biglietto per Richleaf perso. Ne comprò uno per Greenfield, che poi lasciò ad un'altra persona, mentre si imbarcavano. Cambiò all'ultimo, sperando di passare inosservata. Salì in stiva e per un po' si nascose nei comparti per il contrabbando, con la sua roba, fino a che la rotta non fosse sicura. A quel punto non poté far altro che mettersi scomoda tra le casse, giocare a carte e aspettare di arrivare a destinazione. Non aveva contanti, tutto quello che possedeva lo aveva dato, aveva una cassa, che però sembrava piena di cianfrusaglie, e nascondevano tutto il resto. Arrivare a Safeport, la pioggia. Aveva dimenticato quanto freddo potesse fare e quanto pesantemente potesse piovere su quella terra dimenticata da dio, ma non dagli uomini.
Aveva vinto un mezzo pacchetto di Black Mamba numero 5, non abbastanza forti, ma erano sempre meglio di nulla. Ne stava fumando una quando arrivò finalmente la chiamata. Era a casa. Da quel momento in avanti, lo sarebbe stata davvero. Non le importava di essere in pubblico, non le interessava altro se non abbracciare il suo Capitano, stringerlo e rendersi effettivamente conto che tutto quello che avevano vissuto sino ad allora era definitivamente finito, o per lo meno, l'intima speranza era sempre rimasta quella.
La Monkey era lì. Corazzata, con un nuovo Booster. In disordine e lasciata alle mani distratte degli altri, ma ci avrebbe messo davvero poco a rimettere le cose in ordine.
Peccato non avere il tempo materiale per adagiarsi nuovamente in quella realtà da cui non poteva più allontanarsi. Aveva deciso, e niente lo avrebbe distolto dalla scelta fatta. Non le restava che vivere intensamente il tempo che le veniva concesso, con il terrore dei giorni che passavano, con la strana sensazione che volasse troppo in fretta.
Lui partì, un giorno scuro e privo di sapore, niente amarezza, ma una stretta desolazione. Nemmeno la presenza del fratello, l'abbraccio, le promesse, nemmeno il dover reimparare tutto di quelle nuove facce, di quelle nuove voci. Nulla riuscì a lenire il peso di quella separazione, ancor più che non c'era più Anya in cui rifugiarsi per non andare a fondo. Solo le pillole, ad annullare il dolore, la dose che aumentava, gradualmente, cercando di annegare anche tutto il resto. Poi quel messaggio, l'annuncio che attendevano tutti con il fiato sospeso. Il suo finire dietro le sbarre sanciva che lei, da allora fino a suo ritorno, sarebbe stata Capitano della Monkey Wrench.
Aveva sempre voluto essere Capitano, ma il prezzo dei suoi sogni era troppo alto da pagare. La prima traversata, senza di loro, parve infinita. Non arrivavano più, nonostante avesse disegnato la rotta più veloce e sicura che potesse immaginare per arrivare sul pianeta verde quanto prima. La nave era desolata. Trigger non riusciva a riempire il vuoto, e il nuovo sguattero, Jeeg, sembrava avercela con lei. Nemmeno inseguire FurFace aveva più senso. Troppi fondi di bicchieri, molto da fare, per cercare di raccogliere i pezzi rotti, ricucire quello che si era disfatto, in maniera completamente impensabile. Riguadagnare lustro, sfruttare la faccia, la vittoria alla Skyrace per cercare di risultare al mondo quanto più puliti possibile, nonostante, ne era certa, l'Alleanza non si sarebbe mai dimenticata di loro. Doveva occuparsi di loro, proteggere gli interessi di tutti fino a che non fossero tornati, uno ad uno.
Eppure era pesante, pesantissimo. Pensare di non poterlo sentire per non sapeva nemmeno lei quanto tempo, non riuscire ad essere certa che, una volta uscito, avrebbe ancora voluto tutto quello per cui aveva sacrificato sè stesso, perchè lo sapeva, la galera ti cambia. Lo vide con Trigger la prima volta che lo incontrò. Quattro anni. La libertà soffocata volontariamente per salvare ognuno di noi. Non poteva fare a meno di pensare che era il modo sbagliato, ma lui l'aveva detto, non voleva trascinarla a fare la vita del pirata. Quella lettera, non era esattamente quello che si sarebbe aspettata, così, come trovare le proprie piastrine. Le si strinse il cuore. Dormì in quel letto, che sapeva ancora di lui e non trovò nessuna consolazione nel sonno, anzi. I giorni passavano con una lentezza quasi imbarazzante, e si rese conto di quanto fosse relativo il tempo. Ritrovare un ritmo umano, dare un senso alle giornate, diventava un'impresa, così come tenersi lontana dai vizi, per non finire contro l'inevitabile trappola dell'alcol... o peggio. Sapeva già di non avere respiro dagli antidolorifici e cadere in altre dipendenze poteva davvero diventare un problema. L'unico motore era il compito che aveva, essere il Capitano e proteggere dalla distanza il fratello, più da sè stesso, che dall'esterno, perchè da quello lui si sapeva difendere mille volte meglio. Tante cose erano cambiate, troppe, e lei non era da meno, nonostante si fosse ripromessa di non diventare mai diversa da quella che era, la morte, la distanza, non potevano lasciare solo cicatrici superficiali. C'era una gara da organizzate e non sapeva da che parte cominciare, si ritrovava sperduta, senza più nulla di familiare, o peggio, separata da tutto quello che di familiare aveva. L'unico punto fermo: la Monkey Wrench
 
E lui, le sue parole, lasciate lì affinchè le trovasse, assieme a quei pochi ricordi raccolti gelosamente e nascosti, perchè troppo preziosi, come un tesoro da non condividere mai.
 

Messaggio ricevuto da Vergil il giorno 07 Febbraio 2013 alle 22:46
The Machine
Muto le da un mazzo di chiavi. Ci sono le chiavi della porta principale, di quella laterale, il bagno. E la piccola abitazione.
Nel mazzo di chiavi c'è anche una chiave inglese, una piccola monkey wrench, che serve a svitare un bullone.

Una volta dentro, troverà il solito caos, quello dell'ultima volta. Non le sarà difficile trovare un cofanetto. Chiuso con un bullone.

All'interno ci trova le piastrine di Will Cox, un barattolino di vetro con dentro della terra, il c-pad, un bigliettino e una lettera piegata.

Biglietto

Non è un tesoro. Ho solo preferito togliermele, per evitare che le loro zampe le sporcassero. Non l'avrei mai permesso.
Il c-pad tienilo tu, o portalo nella mia cabina sulla nave, fallo sparire.
Nel barattolino invece. Non lo so perché lo feci. Quella volta su Shijie dopo che sei tornata dentro la nave ..ho raccolto un po' di quella terra che avevi stretto e l'ho imbottigliata. Non mi chiedere il motivo.
E' tua.

Salutami gli altri se e quando li vedi. Se dovesse tornare Ritter digli di starmi lontano al momento.
La lettera leggila se vuoi. O bruciami.

Lettera
[la lettera è scritta in corsivo, in maniera pulita e ordinata]

Mi muovo in bilico, e ormai non so più neanche da quanto. Ho sempre sostenuto, e a volte pagando a caro prezzo che noi, gli uomini, non abbiamo possibilità di scelta.
Scegliere il nostro codice, i nostri comportamenti. Le pulsioni.
In una qualche maniera, anche quando all'atto pratico effettuiamo una scelta seguiamo la nostra indole.
E' qui il bilico, il filo.

Non dovevo mandarvi lì. Potevo scegliere diversamente e senza seguire la mia indole. Ho sbagliato, e non riuscirò mai a perdornarmelo.
Invece quando ho saputo della morte di Anya, e della sua resurrezione..ti ho mandato quello stupido messaggio vocale. Ero sincero, disperato, e privo di qualsiasi possibilità di scelta. E altrettanto sinceramente ti ho fatto una promessa che non ho mantenuto.
Ti hanno trovata altri, non io. Ti hanno trovata morta, non viva.
Mi dispiace, non sono riuscito a proteggere la cosa che reputavo più preziosa.

Ma anche quando Declan mi ha chiamato dicendomi che eri tu, e che c'era la remota possibilità di portarti in vita..anche lì non avevo scelta.
Mi ha chiesto un sì o un no, così..con semplicità, sinteticamente, appena un filo di voce, mentre venivano giù le pareti della mia cabina e della tua.
E mi sono trovato a puntarti una pistola alla tempia decidere se darti la morte o la vita.
Che egoista.

Ho riconosciuto il tuo cadavere, alle analisi autoptiche, alla ricostruzione della tua spalla. Del tuo cuore. Quella notte nel bunker, nella vasca, io c'ero. E quando hai riaperto gli occhi  e mi hai guardato ho capito qualcosa che non ha senso scrivere, o dire. Senza possibiltà di scelta.

Oggi invece scelgo, qui seduto al tavolo. C'erano due guardie e auna gli ha preso un colpo. Ho poco tempo.
D'accordo, scelgo seguendo la mia indole, ma scelgo. Scelgo di non metterti in pericolo. Scelgo di non obbligarti ad una vita da fame, in posti malfamati o in cui potresti essere uccisa per un centinaio di pesos,
Una vita lontana dalla legge, da tua sorella e da quanto di buono c'è.

Ho scelto per entrambi, di nuovo. E di nuovo per egoismo. Questo sono io. Anche questo.
Mi dispiace.