domenica 23 giugno 2013

Horyzon, June 2515

Orientarsi in casa Krushenko non era difficile. Nonostante fuori fosse ancora buio, le luci notturne che spezzavano l’oscurità permettevano di destreggiarsi facilmente, distinguere gli ostacoli e così, evitare anche di finire per svegliare la bella addormentata. Secondo il c-pad, quando è crollata a dormire mezza sbronza al fianco della sorella, era l’una del mattino. Tre ore. Non era tanto, ma bastava a smaltire in parte l’eccesso di rhum nel sangue, e potersi trascinare come uno zombie verso il bagno. Spostarsi dal letto era stata una vera impresa. Quando ha aperto gli occhi si è ritrovata abbracciata alla sorella, in un nodo di lenzuola appiccicose e capelli scomposti. L’ha guardata per qualche tempo, cercando di giudicare se l’avesse disturbata, provando a rievocare dall’abisso dell’ebrezza, gli ultimi dettagli della serata.

Ricordava perfettamente il viaggio fino a lì, il passaggio in quella splendida auto di lusso, sportiva al punto giusto. La cena da quel cinese consigliato da Ritter tanto tempo fa, la passeggiata sul lungomare, le chiacchiere e le confessioni, su come andassero le cose a lei, a Capital City, e Red. Non si era fatta remore a metterla in guardia, lo ricordava bene, e ricordava anche il sollievo di averla sentita dire che non aveva intenzione di intromettersi in alcun modo. I discorsi sui rally, sulla spalla. I vecchi tempi... quelli uscivano sempre fuori. Il ritorno a casa e lo sfogo, tra schifezze e bottiglie, stupide gare e minacciato solletico, poi... il vuoto.

Continuava a sforzarsi di ricordare l’ultima parte ma, ad un certo punto, ha dovuto alzarsi, trascinarsi via da lì. La luce del bagno era fredda, la costrinse a serrare gli occhi in maniera dolorosa, sedersi sulla tazza e massaggiare le tempie, le palpebre appesantite dall’insonnia. Non era mai stata una che apprezzava lo svegliarsi, nè tanto meno il dormire poco, ma ormai ci aveva fatto il callo. Frugò tra le sue cose, raccimolate in un angolo nella stanza. Davanti a sè, sul bordo del lavandino, ad altezza sguardo, pose il flacone di antidolorifici e quello di antibiotici. Un respiro, cercando attorno a sè. Girava la testa, il sapore disgustoso in fondo alla gola, non era nulla paragonato al dolore che si irradiava attorno alla clavicola.

- E’ solo un’infezione. Solo un’infezione.

Cercava di convincersene, mentre assumeva il medicinale prescritto dalla Dottoressa Adler. Quello però non le dava alcun sollievo. Si appoggiò contro la parete, di schiena, la canottiera era madida, sentiva l’odore acre del proprio sudore. Senza fare troppo rumore, decise di infilarsi in doccia, cercare di lenire il fastidio che sentiva pruderle sulla pelle. Lo scroscio dell’acqua, la luce che filtrava da sotto la porta. Cercava di non disturbare Anya, con cui aveva condiviso, ancora una volta, tutti i pesi che le gravavano sul petto. Si infilò direttamente sotto il getto, un brivido, una fitta e poi quiete.

- Temo sia colpa mia.
- Non dirlo nemmeno per scherzo. Lui non ti farebbe mai del male.
- Ho paura per voi, non per me.
- Sai che se succedesse qualcosa a te, ci sarebbero persone pronte a dare la vita pur di proteggerti.
- I know.

Questo pensiero non l’aveva fatta dormire. Persone disposte a morire pur di salvarla. Che persona orribile sarebbe stata se avesse concesso una cosa simile, ancora una volta? Già in passato era successo. Avevano rischiato, qualcuno era morto. Tutto l’odio del mondo sembrava privo di senso, come le bombe, come la guerra. Perdere ogni cosa e vivere nell’odio, senza mai trovare un briciolo di pace. Il pensiero le corse direttamente a Ritter e Sterling, e pregò ardentemente che potessero continuare a stare sicuri, lontani dalla guerra, ancora una volta.

- Non gliene tornerebbe nulla in tasca, a tradirci.

Forse aveva ragione lei. Forse si stava preoccupando per nulla. Da quanto non dormiva decentemente? Da quanto non viveva senza paura o pensieri? Continuava a chiederselo mentre usciva dalla doccia, fresca. La spalla però le faceva male, si fasciò nell’asciugamano di spugna, si guardò allo specchio. Non sembrava nemmeno più lei, magra, con gli aloni attorno agli occhi, lo sguardo spento, distante. Poi le cicatrici. Le percorse con il dito. Ricordava il viso di Mordecai mentre le guardava. Bastava quello per capire che erano ferite mortali. Un brivido la colse al pensiero del cane che accompagnava il medico e da lì la mente saltò diritta a mobilitare spettri più antichi. Cole e quella maledetta giornata agli scontri tra cani. Cole e la guerra. Cole, Dean, Will e la guerra. Trigger e la guerra. Trigger che voleva tornare a combattere e lei, lei che non voleva davvero lasciarglielo fare. Si trovò a sospirare, abbattuta, aggrappata al lavandino mentre l’immagine di un’altra lei si faceva più piccola e distante. Poi il suono di una bussata. Una voce amica, una delle poche nonostante capitasse di vedersi ormai rare volte nel corso di un anno. Sua sorella, che le chiedeva se stava bene.

- Ho fame.
- Preparo il caffè.

Senza rendersene conto era arrivata l’alba. Un nuovo giorno da affrontare, con tanti problemi, sempre più preoccupazioni e mille fantasmi per la testa. Quando aprì la porta, nonostante l’aspetto trasandato di chi si è appena alzato dal letto, vide il sorriso di Anya e riuscì a ricambiare.

- Meno male che ho te.

venerdì 21 giugno 2013

Bullfinch, June 2515 - Part II

- Era il medico quello?

La voce di Trigger veniva da sopra. Lei stava nella stiva, a fissare una macchia che non riusciva a far andare via con le buone. La mente occupata a pensare a quali metodi drastici poteva approntare per il caso. Sollevò lo sguardo, cerchiato come ormai era abitudine vederle in viso. Mordecai Adler era uscita da una decina di minuti, seguita dal suo impeccabile doberman, una bestia talmente grande che le fece ghiacciare il sangue nelle vene alla sola vista. Il chimico aveva ragione, era estremamente particolare, ma la sua totale assenza di senso dell'umorismo e percezione del limite in un certo qual modo la rassicurava; diversamente da Ritter, il Dottor Adler era asettico, professionale, quasi una sorta di macchina, viva di una sola cosa: curiosità scientifica. Non scherzava, e se lo faceva, non faceva affatto ridere.

- Sì.
- Che dice?
- Ho un'infezione batterica. Secondo lei è quello che mi fa stare male più del solito, perchè gli innesti e i tessuti sintetici non stanno subendo rigetto e la cosa procede perfettamente.
- Ti ha dato qualcosa da prendere, immagino.
- Aye.

Sollevò il flacone, tenendolo tra pollice ed indice così che potesse vederlo. Il viso abbassato era tornato a guardare la macchia.

- Non è tutto, right?
- No, dice che devo diminuire gli antidolorifici.
- Non è una novità, lo sapevi anche prima.
- Sì, un conto è sapere le cose, un conto è...
- Farle. Pensi di non riuscire.
- Don't know if I don't try, I suppose.
- Right, well?
- Non lo so. Sinceramente ho troppe cose per la testa al momento.

Il vecchio pilota di Shijie scosse il capo. Prese a scendere le scalette, accompagnato dal rintocco quasi marziale del metallo sotto le suole degli scarponi da lavoro.

- Listen, winger, non puoi dannarti per le cose su cui non hai potere.
- Chi ti dice che non sia colpa mia?
- ... Non essere ridicola.
- L'ho abbandonato. Io ero una delle poche persone a cui dava retta, una delle poche a combattere per mettergli il sale in zucca e l'ho piantato in asso. Immagina se io fossi la coscienza di qualcuno, e decidessi di non fare più il mio ruolo di coscienza... non sono colpevole quanto lui?
- No. Tu non sei la coscienza di nessuno, Winger.
- Mh.
- Vuoi ancora andare da tua sorella?
- Aye, non posso di certo farla venire qui, è un rischio con i pattugliamenti Indipendentisti in Polaris. Preferisco andare io da lei.
- Hai già scelto la rotta?
- Aye, è un po' un dito al culo, ma dovrebbe essere sicura.

Lui scosse il capo, non era convinto, e lo si notava. Avanzò fino all'airlock principale, aprendolo in modo da potersi sedere e prendere a fumare con calma, senza fretta. L'accendino scintillò un paio di volte e poi il rosso bagliore delle braci da tabacco scuro, black mamba, probabilmente.

- Cosa c'è che non va?
- Niente.
- Yeah, right!
- E' solo che mi sento vecchio e inutile.
- Why?
- Tu te la cavi alla grande, e lì fuori imperversa ancora la lotta...
- E tu sei qui a badare a me.
- Mh...
- Vuoi tornare dai tuoi commilitoni?
- ...
- Se è quello che vuoi io di certo non ti fermerò, Trigger: you know that.
- I promised.
- Le promesse fatte ad un morto non valgono che qualche peso, my friend.
- ...
- Tu pensaci, okay? Accompagnami su Duankou, da lì prenderò un trasporto, tanto è fuori da Polaris, non dovrebbero esserci problemi. Tornerò il prima possibile e mi darai la tua risposta, mh?
- Winger I...
- Do we have a deal, Mr. Jackson?
- We have a deal, Miss Cox.

Si strinsero la mano. Lei sorrise, lieve, per poi ritirarsi e salire le scalette fino alla passerella, lentamente, senza fretta, ancora profondamente influenzata dall'assenza di sonno, dal dolore che persisteva, senza tregua, prosciugandone le energie. Raggiunse la cabina che ormai condivideva con Vergil, mandò un messaggio a Haggerty. Un bicchiere di bourbon liscio, a goccia, una pastiglia per annientare almeno per un paio d'ore le fitte e tenersi semplicemente l'indolenzimento, e poi chiude gli occhi.


mercoledì 19 giugno 2013

Bullfinch, June 2515 - Part I

Bullfinch a quanto pare era una tappa obbligata. Non ci tornavano dall'ultima volta che hanno recuperato il carico di caffè per Mason, o meglio, mezzo carico visto che sono piovute più pallottole che chicchi di caffè. Fece scendere il reverendo Johnson e la sua consorte, assieme ad un medico di ventura, tale Russel Green, i passeggeri paganti. Il viaggio era stato lungo, ma sereno, fortunatamente Polaris per lei non aveva più segreti, per cui la tappa era di semplice rifornimento, scarico e carico. C'era una coppia di saltimbanchi girovaghi che cercava un passaggio fino a Phoenix, e loro ci dovevano andare.
Lo spazioporto di Timisoara era ben affollato. Di navi ce n'erano in quantità, Refit come se piovesse, carcasse che solo un folle avrebbe portato ad attrito con l'atmosfera. Lei stava in silenzio ad osservare un Wyoming. Le ricordava infinitamente la nave su cui aveva imparato a lavorare, imparato ad essere quello che era stata. Una sorta di strana malinconia si fece strada in lei. La stavano rattoppando, ed in fondo sapeva che non avrebbe retto a lungo ancora.

- Se incontra degli asteroidi salta in aria sicuro.

Una voce mise in parole i suoi pensieri. Lei stava annaspando per una sigaretta. La spalla dava un fastidio assurdo, non era dolore ma non era nemmeno piacevole. Il caldo appiccicava la tuta addosso le gambe sottili, la canottiera assorbiva il sudore, e non nascondeva del tutto le cicatrici. Fortunatamente lo stetson la proteggeva dal sole diretto, così come nascondeva il viso.

- Aye, ma un buon capitano e un ottimo meccanico possono fare miracoli.
- Anche il miglir equipaggio del 'Verse non potrebbe nulla contro un foro nello scafo rientrando in atmosfera.

Sapeva che aveva dannatamente ragione. Non trovava l'accendino, non si era voltata a guardare chi le stava parlando, ma di certo era un pilota, uno che sapeva il fatto suo, e non poteva dargli torto. Chiese fuoco, venne accontentata. Era una mano forte, callosa, le porse uno zippo ammaccato e poi:

- Che ci fai qui, Cox?

Sollevò lo sguardo, di scatto, scansando la tesa dello stetson per inquadrare meglio il profilo di quello che l'aveva chiamata per nome. Tutto si sarebbe aspettata, eccetto che vedere di nuovo quel viso, tra tanto e proprio lì. Anche se, dopo, quando riuscì a calmarsi, si dovette dare della stupida da sola, in fondo, Bullfinch era in rivolta, e dove altro poteva essere, lui e la sua gente?

- Red...

Sì, era lui. L'espressione beffarda non riusciva di certo a levarle di dosso quell'immenso sollievo che provava dentro. Sapeva che non avrebbe dovuto mostrarsi troppo felice di vederlo, ma diavolo, dopo essersi dannata per non averlo visto a Fargate, non poteva essere diversamente. Si era anche convinta che non avrebbe reagito troppo a vederlo, sapendolo vivo dalla bocca di altri, ma evidentemente la cosa le faceva più piacere di quanto fosse disposta ad ammettere. Il suo brutto muso la squadrava, con un sopracciglio sollevato.

- Scarichiamo passeggeri prima di fare rotta su Phoenix. Sei vivo.
- Che cacchio ci vai a fare, a Phoenix? Ci sono spettacoli gratis di elefanti?
- ... Non mi hanno permesso di farti visita.
- Red Wright non muore a Fargate. Non te l'hanno permesso perchè io non c'ero, ovvio.
- Red Wright non sarebbe dovuto mai andare a Fargate. Che cazzo ti è saltato in testa? Come se non ti avessero mai beccato su quel fottuto pianeta pieno di culiblu.
- Dovevo fare una cosa, e poi io non ho paura di qualche fottuto culoblu. Non potevano sapere.
- La prossima volta, visto che non te ne fotte un cazzo, eviterò di scomodare il mio culo secco fino a Fargate per venirti a trovare, a meno che tu non pensi di portarti appresso Andrè di nuovo, in quel caso ci vengo, ma solo per prenderti a calci nel culo. 'Ass...
- Mi importa eccome, Cox. Andrè è uno di noi, se non fosse stato per lui mi sarei preso ben più proiettili, gli devo la vita. Non volevo trascinarlo a Fargate, e non sarebbe successo se non ci fossero piombati addosso i cacciatori di taglie.
- Non c'era nessuna taglia sulla testa di Andrè. E poi che cavolo, feccia simile non dovrebbe nemmeno permettersi di avvicinarsi a te, o a chiunque di voi.
- Infatti, quei viscidi stanno alzando troppo la testa, ma ben presto passerà loro la voglia.
- Stai attento, servi più da vivo che da morto o in galera, alla tua causa, naye?
- Me lo state dicendo in talmente tanti, che comincio seriamente a crederlo.
- Well, credici un po' più intensamente, la prossima volta.
- Se gli dei vorranno, Cox. Sei qui con la nave di Neville?
- Aye, la Monkey è lì.
- Well, se ti capita di vedere Black, cerca di stargli alla larga.
- Black?
- Aye, ha la tendenza a tradire quelli con cui ha lavorato, e mi pare che abbia lavorato con te e Neville, in passato, right?
- ... Mio fratello non è quel genere di persona, Wright, non ci tradirebbe mai.
- Forse te che gli stai simpatica, ma con me non si è fatto scrupolo di vendermi e intascare la taglia sulla mia testa. Credimi o no, è andata così. Stagli alla larga.

Le venne a mancare il fiato. Era come se Red le avesse tirato un pugno sotto lo sterno, alla bocca dello stomaco, proprio lì dove tutto smette di funzionare, boccheggi per interminabili minuti. Lo fissò. Un light cruise si levò da terra, assieme ad un grande polverone, lo stetson rotolava nella polvere, i capelli le erano finiti in bocca e lo fissava cercando traccia di una bugia, della menzogna.

- Non ti credo. Non è possibile. Non... non può essere stato lui, non lo avrebbe mai fatto, not my brother.
- Io so solo quello che ho visto, e ti assicuro che quello che chiamano Phoenix era lì. Fa parte della ciurma di tuo fratello, lui era invischiato e si è intascato la taglia sulla pelle mia e dei miei. Fossi in te, quando c'è lui in giro dormirei sempre con una pistola sotto al cuscino.

Lei scuoteva il capo, non ci stava a sentire una cosa simile, e sapeva, nel profondo, che la voce di Red altro non era che la pura verità. Eppure non riusciva a darsi pace. Non poteva credere che un atto tanto vile fosse stato perpetrato ad opera del proprio fratello. Strinse le labbra. Red continuava a parlare e lei continuava a rifiutarsi di sentire.

- Non voglio sapere...

Gli voltò le spalle. Sollevando il viso fissò il porto attorno a loro, raccolse il cappello. Red era risoluto e sapeva che non avrebbe mai potuto chiedergli di non vendicarsi. Lo avevano spedito a Fargate, non poteva chiedergli di avere pietà, di lasciar perdere.

- Se sua madre fosse ancora viva, venderebbe anche lei per guadagnarci qualcosa. Tu e Neville mi siete simpatici, watch out.
- Sono felice che tu sia sano e salvo.

Non poteva reggere oltre. Scattò, corse verso casa, il ventre della Firefly era aperto, pronto ad accoglierla nel buio. Sentiva le lacrime bruciare dietro gli occhi, una fitta atroce dietro le costole, all'altezza del cuore ricostruito, incrinato dalla consapevolezza di amare una persona decisamente diversa da quella che ricordava. Trigger la vide arrivare di filato:

- Winger?
- NOT NOW!

Lei si tuffò in cabina, aspettando di poter sedare il dolore. Contò le pillole, una... per ogni lacrima che le cadeva dal mento, gocciolando sul pavimento. Una per ogni pensiero confuso, da lavare via, una per ogni dubbio, per ogni bugia. Crollò sul letto, risvegliandosi che già erano decollati.

- Molly?

La voce di Neville oltre la porta spessa della cabina. Si rigirò nella branda, tirò le coperte sulla testa e spense la luce.

Not now.”

Safeport, June 2515 - Part II

- Ti si vede spesso da queste parti, sorella.
- Stavo cercando te, Vandoosler.

Era andata a colpo sicuro, più o meno. Il Devil's Den era zeppo di browncoats, e, viste le accuse per cui Andrè era finito a Fargate, non dubitava che avesse a che fare con Rooster ed i suoi. Non giudicava, ovviamente, non poteva permetterselo, ma per lo meno sapeva dove andarlo a cercare. C'era anche Philip, quando lei entrò dentro il locale, situato all'interno di un vecchio fabbricato. Ricordava che avevano stanze a buon mercato, ma pur sempre accettabili e superiori alla media, comparate a certe topaie a gettoni del porto.

Non aveva passato una buona nottata. La dose di antidolorifici era aumentata, i preparativi per la partenza erano rallentati a causa del brutto tempo, che avrebbe dovuto affrontare lucida, ma lucida non era affatto. Quando si guardò allo specchio vide qualcuno che non era lei. Le borse sotto gli occhi, una perenne smorfia tirata, come se la pelle che spariva sotto la camicia fosse tesa tutta verso la clavicola sinistra. Faceva un male cane, ormai da tempo. Ritter era lontano, a costruirsi la sua vita e lei, in cuor suo, aveva promesso che non lo avrebbe più disturbato per certe cose. Con Haggerty ne avevano parlato.

- Li ho accompagnati io su Tauron, assieme al nano.

Bogart. Non lo vedeva dal matrimonio. Il matrimonio era stato davvero un bel giorno, forse l'ultimo nel quale si era sentita davvero bene, forse l'ultimo nel quale si era sentita finalmente sicura, a proprio agio, con persone a cui teneva davvero, di nuovo sparse ai quattro angoli del 'Verse. Il Devil's – lo notò subito – aveva la capacità di farle venire la malinconia. L'ultima volta che vide Red era proprio lì, in fondo al bancone. Si scornarono, si salutarono, augurando ad ognuno salute e fortuna... eppure non era così.

Anche quel giorno, quando mise piede al Den, sollevò lo sguardo a cercare Red, al suo solito posto. Per un attimo, un respiro soltanto, le sembrò anche di vederlo e la cosa le mise addosso una certa inquietudine. Ormai lo aveva dato per morto, sepolto nei recessi di Fargate, abbandonato alle memorie stanche di rievocare brutti ricordi. Scosse il capo, sopravanzando verso Andrè e Philip. Salutò.
Era lì solo per quello, salutare entrambi, pronta per partire come da programmi.

- Sono venuta per chiederti di promettermi che ti farai visitare, e che starai bene, Andrè.

Lui ne sorrise. Era fatto, lo era di nuovo. Conosceva quello sguardo, lo aveva visto tantissime volte in Ritter da farle male al cuore. Eppure non poteva biasimare quel uomo che cercava di nascondere e seppellire il proprio dolore nella droga, non ci riusciva: in fondo anche lei non era molto diversa da tutti loro. Con la coda dell'occhio continuava a cercare lo spettro di Red.

- Cerca di stare salvo, right?
- Ci proverò, faccio quel che posso.
- Mh.

Doveva accontentarsi, ovviamente. Si voltò a guardare il ragazzo, Philip, che ovviamente le chiese dove fosse Neville, e lei non si preoccupò di rispondergli quella che era la pura e semplice verità.

- Dove te ne vai di bello?
- Phoenix.

Era sempre strano mettere piede su quel pianeta. Aveva un'ascendente che non riusciva a capire del tutto sul Capitano, ma non era importante. Lei era lì al Den per salutare, assicurarsi di lasciare entrambi con le dovute ramanzine, riguardo salute e occhi bene aperti. Si raccomandò con Philip, con una certa determinazione, prima di abbracciarlo e ritirarsi di nuovo. Una strana angoscia le scavava il petto. Più il tempo passava e più si allontanava dal Den, più aveva l'impressione di aver visto Red. La cosa non le fece chiudere occhi e anzì, passò la nottata a rigirarsi tra le lenzuola fino a che non ne potè più. Si alzò, prese una delle bottiglie dalla scorta di Neville e si mise a fumare, a pulire le pistole, a bere. Stanca di tutto, decise di correre ai ripari, illuminata da un messaggio scritto a mano, una ricetta di Ritter, o meglio, dietro una ricetta di Ritter. La possibilità che sintetizzassero qualcosa di personale, adeguato alle sue necessità, massimizzando l'effetto analgesico. Erano paroloni complicati, ma in parte riusciva a capire benissimo quello che intendeva il dottore. Lo aveva anche detto al Chimico, in un momento di condivisione fraterna.

- It's time.

Prese il pad, scrisse un paio di righe, e, senza rendersene conto, aveva messo in moto alcuni ingranaggi. Troppo veloci, però, perchè di lì a poco si trovò un Haggerty accanto, in parte preoccupato.

- Cosa ti ha fatto cambiare idea?
- Ho le allucinazioni, Huck. Non va bene. Non dormo più di un paio d'ore a notte, il dolore non passa, non posso continuare così.
- No, non puoi, e non aumentare la dose.
- Quindi, che si fa?
- Per prima cosa dobbiamo sapere se la spalla è peggiorata.
- Naye, non lo è.
- Io non sono un medico, fatti fare un controllo, oggi ho conosciuto una dottoressa. Non sembra male. Un po' particolare...
- Particolare quanto Ritter?
- Non l'ho conosciuto abbastanza, ma credo di sì.
- Mh... dammi il suo contatto.
- Adler, si chiama, ti mando il cortex.
- Aye...
- Cox... che genere di allucinazioni hai?
- Vedo gente che non dovrei vedere, gente che è sepolta, chiusa via per sempre.
- ...
- Non mi hanno permesso di vederlo,a Fargate. Mi hanno chiuso le porte in faccia e non sono riuscita a salutarlo, per questo vedo il brutto muso di Wright ovunque, adesso.

Haggerty divenne di punto in bianco estremamente nervoso. Condivisero la bottiglia, ma in realtà era lui quello che se la stava scolando tutta. La tensione era talmente alta che se ne accorse anche lei, nonostante tutto.

- Si può sapere che hai?
- Dah, niente.
- Senti, se ti pesa tanto aiutarmi lascia perdere, okay?
- Io voglio aiutarti, ma so che me ne pentirò anche perchè cambierai idea.
- Ascolta...
- Dimmi una cosa, Cox, hai visto altri oltre a quella persona?
- Naye, ma mi conosco, quando comincio coi sensi di colpa è la fine.
- Ascolta... non era un'allucinazione: Red Wright è evaso da Fargate.

Lei si era alzata, barcollando per il dolore e la vista annebbiata. Gli scoccò un'occhiata irata, prima di imprecare.

- No way! Io ti chiedo di aiutarmi e tu vieni qui a prendermi per il culo? Nessuno scappa da Fargate, lì puoi solo creparci.
- Ti dico che è così, sono qui per aiutarti, non sono venuto a prenderti in giro. E' facile che quello che tu pensi di aver visto in realtà è lui. Ho visto Wright oggi, è vivo, solo ferito e più stronzo che mai.
- Più stronzo è difficile.

Lei dovette sedersi nuovamente, alla notizia, somatizzare il colpo, ciondolando nemmeno fosse davvero completamente sbronza. Il sorriso che le spuntò in faccia sembrava volergliela squarciare, tanto era ampio.

- My God... it's him, he's alive.

Non poteva credere alle proprie orecchie.

- Non dirgli che te l'ho detto. Qualsiasi scusa è buona per avercela con me.
- Aye, I promise, non dirò nulla. Cristo santo...
- Cosa?
- Appena lo vedo mi sente... coglione da niente, farsi arrestare così, per scappare poi.
- A quanto pare sono stati dei cacciatori di taglie.
- Feccia, well, l'importante è che sia vivo.

Fece un gran respiro. Il petto le si svuotò di colpo. Si sentì di nuovo alleggerita, per un certo verso.

- Adesso cambierai idea...
- Naye. Non posso andare avanti così comunque. Questa storia mi sta facendo perdere di lucidità, di fermezza. Sono un pilota, ho da lavorare, non posso permettermi di abbassare la guardia. Naye, lo facciamo.

Haggerty era evidentemente sollevato. La discussione si protrasse un altro po', tra discorsi sulle navi, carburante, Goldera. Gli promise che si sarebbe fatta visitare da quella dottoressa, ma non aggiunse altro. Il chimico sembrava esaltato dalla possibilità di usarla come cavia, ma in fondo a lei non dispiaceva. Andava bene così. Lo salutò, e tornò ad assicurarsi che le pistole fossero cariche, con un pensiero più felice a farle compagnia, scacciati i fantasmi.

Safeport, June 2515 - Part I

Atterrare a Safeport le aveva sempre messo una strana sensazione addosso. Non era un posto raccomandabile, eppure, fintanto che aveva Trigger accanto e stava in alcun posti, ben sicuri, poteva quasi sentirsi libera. Una sensazione ambigua, a cui non sapeva dare spiegazioni né cercava di farlo. Forse perchè, in fondo, le persone a cui teneva di più si erano sempre rifugiate lì, lontane dalla minaccia Blues. L'unico problema di quel pianeta era al pioggia. Continuava a cadere da giorni e non aveva la benchè minima voglia di uscire. Vergil si trovava sulla luna di Boyd e lei non poteva far altro che pregare che non tornasse a bordo con l'ennesima cassa di Mudder's milk.
Quattro casse di ricambi per il mercato nero, riciclati e recuperati da carcasse nello spazio: era questo il carico che dovevano portare su Safeport. Sapeva anche che doveva trovare qualcosa, un lavoro per poter in parte ammortizzare il carburante. Le spese continuavano ad essere alte e faceva il possibile per far quadrare ogni cosa. I prezzi erano rincarati e l'ultimo grosso intervento sulla Monkey aveva svuotato loro le tasche. Il The Machine era frequentato sempre dalla solita gente, per cui gli introiti non erano tali da poter supportare i trasporti intersistemi. Ma doveva tirare duro, fare il pilota era l'unica cosa che valeva davvero la pena fare. Sotto la pioggia si fanno gli incontri più strani, perchè in fondo tutti avrebbe pensato di vedere eccetto che Haggerty. E, se non fosse stato per una testa di cazzo che si era permesso di fare commenti sul suo sedere, probabilmente sarebbe sfilato via con la pioggia: a volte è destino.
Il chimico le raccontò di come si era messo in proprio, di come si era comprato una nave, di come i debiti lo perseguitassero, tanto quanto la sfiga. Le disse che lavorava sia per Blakbourne e lo Skyplex, sia per Black e la sua ciurma. Chiacchierarono, familiarmente, mentre lei spendeva le solite parole a favore di un suo lesto ritirarsi, del cercare di tenere salva la pelle, evitare di finire nei casini.

- Dirò che sono amico di Joe Black.
- Io non so quanto ti convenga, al giorno d'oggi, dire una cosa simile. C'è chi non lo ama particolarmente.
- Allora dirò di conoscere Jack Rooster.
- Io fossi in te eviterei proprio i nomi, chiudi la bocca, tieni la testa bassa e corri.

I consigli in fondo erano sentiti, perchè Huck era pur sempre un Corer. Lo vide allontanarsi di corsa, lo seguì finchè le fu possibile e poi convinse Trigger a scendere e chiudere la nave.

- Dobbiamo andare a cercare qualche altro lavoro, Trig.
- Aye, kid. Però credo che sia meglio se rimani qui.
- No way. Io vengo.
- Listen... riesco a tirare su qualche lavoretto in più se non ci sei.
- Io sono il primo ufficiale.
- I know, ma sei una donna, e agli uomini duri farsi mettere i piedi in testa da una ragazza non è che piaccia molto.
- ...
- Lo sai che ho ragione. Staremo tutti più tranquilli. Ti lascio in un posto sicuro, naye? Così non devi stare qui chiusa a pensare alla scorta di Mudder's Milk che ci aspetta.
- Damn... I really hope not.

Lui rise, e nel mentre scivolarono fuori dalla nave, chiusa con i codici di sicurezza. Presero una jeep, un tipo, vecchia conoscenza di Trig, quando era un pilota dell'esercito indipendentista. Non potevano trovare posto migliore dove mollarla: Devil's Den.
Frenarono e la scaricarono lì, come si mollano i bambini nel cortile della chiesa prima di scappare a sbronzarsi da qualche parte. Non ne era felice, ma sapeva che se dovevano lavorare era il modo più rapido per trovare qualche ingaggio. Il destino però non aveva finito con lei. Si ritrovò a salire sul porticato davanti al locale e posare lo sguardo su di un viso talmente familiare da rubarle il respiro.

- Andrè...
- Suprise... suprise...
- It's really you!

Il tempo nella sua testa si era fermato. Quel sorriso stregattesco che si arrampicava d'istinto fino agli occhi completamente persi, liquidi di follia e un pizzico di spensieratezza. Lo avrebbe riconosciuto nonostante il suo essere pallido e scavato, il dolore che gli serpeggiava sotto pelle, le ferite invisibili dell'anima. Dovette toccarlo, per essere sicura che non fosse un miraggio,uno scherzo delle pasticche o del dolore, che percepiva, sempre, immancabile, e non la faceva dormire. Il pad al polso lampeggiava, ma non aveva importanza. Era fuori.
I compari del Profeta di Shadetrack reclamavano la sua attenzione, e lei non potè far altro che guardarlo, gustarsi la ritrovata libertà dell'ennesimo spicchio d'anima.

- Non sai quanto ho pregato per te.
- Allora mi hai salvato, sorella.

Di solito dicono che le sorprese vengono sempre a tre a tre. I suoi occhi si distraevano poco sa Andrè, una sorta di incredulità era radicata nel profondo di lei, così quando vide Philip, non si stupì e semplicemente accantonò il tutto come l'ennesima allucinazione. Venire smentita tre volte di fila nell'arco della giornata le fece dubitare di avere ancora un minimo di buon senso, o di sesto senso, in ogni caso, di senso e basta. Il biondo con lo stranissimo accento lo richiamò, così come il ragazzo con la barba. I loro visi non erano nuovi, ma l'arrivo di Philip spazzò via ogni tentativo di mettere a fuoco tra i ricordi annebbiati.

- What the f...?!?! Kiddow!
- Winger!

Non riuscì nemmeno a concludere, che si ritrovò a dover uscire di lì. Il c-pad continuava a suonare ed era una chiamata che non poteva ignorare. Non poteva davvero accantonare quel richiamo, così fu costretta ad uscire. Uscire, con la chiara volontà di rientrare, di capire cosa diavolo ci facesse il ragazzo lì. Andrè non se la cavò a buon mercato, giacchè lei insistette, non poco, perchè il ragazzo si facesse controllare da un medico, vista la cera non propriamente sana.
Trigger stava passando a prenderla, dopo aver recuperato un lavoro, al volo, e con la presenza di Vergil che tornava a brillare. Un messaggio, ritardato dai problemi di comunicazione con Boyd's, che chiedeva di passarlo a prendere e puntare su Phoenix. Avrebbero dovuto fare tappa a Bullfinch, per mollare un paio di passeggeri, ma forse ce la potevano fare.

- Sembra che tu abbia visto un fantasma, winger.
- Almost... Philip.
- Philip, our Philip?
- Aye...
- Che cazzo ci fa lui qui?

La portiera della jeep sbattè ruomorosamente, mentre lei si accomodava sul sedile posteriore, strisciando contro il tessuto sintetico, bagnato dal suo poncho zuppo.

- God only knows.
- Bah.

Lei scrisse un messaggio, una domanda semplicemente:

Ancora non mi hai detto che ci fai a Safeport, Kid”

La risposta lampeggiò a breve sul display del pad:

Non posso dirtelo, Winger. Ti posso dire che dovevo avvertire una persona, questo sì.”

Perplessa e nuovamente preoccupata, si chiuse in un nodo in di gambe e braccia contro la portiera, osservando le sagome scure che sfilavano attorno a lei, chiuse un una fitta pioggia che non passa mai.


domenica 16 giugno 2013

Greenfield to Fargate, June 2515

Si era svegliata da poco. La luce entrava dalla finestra aperta, cominciava davvero a fare caldo su quel pianeta, ma dovevano aspettare il carico. La stanza era piccola, un letto che a malapena conteneva entrambi, ma dovevano contenere anche i prezzi, per cui nessuno dei due si lamentava. Il lavandino con cui sciacquarsi era direttamente addossato alla parete della stanza dove dormivano, fortunatamente la latrina, perchè di bagno non si può parlare, era in una stanzetta uno per uno con la porta a soffietto, separata. Lei era in piedi, che cercava di accendersi la prima sigaretta della giornata. La canottiera era macchiata dagli aloni di sudore, se ne stava gambe scoperte, in slip e canotta, con la testa sconvolta e un dolore pulsante alla spalla che non riusciva a farle riprendere sonno. Vergil stava sdraiato tra le lenzuola scansate, ancora assopito da una pessima nottata. Il dolore era tale che si trovò, dopo un paio di tiri, a dover urgentemente trovare le pasticche. Si mise a smuovere i vestiti, spostare pile di giornali accumulati fino a che non le trovò, che rotolavano in terra sopra una pagina di giornale del Greenfield Herald. In prima pagina, con tanto di foto, il titolo a caratteri cubitali che parlava dell'arresto di Red Wright. Le venne un colpo. Cadde in ginocchio, raccogliendo una pioggia di pastiglie di cui almeno due finirono nella sua gola, buttate giù a secco e senza alcuna remora. Afferrò il giornale, trascinandosi schiena contro il letto occupato da Vergil prese a leggere con foga quello che era l'articolo. Le si strinse una morsa nel petto. Sapeva che quello che Red aveva fatto lo avrebbe spedito di filato a Fargate senza passare per il via. Serrò la mascella, abbassando lo sguardo. Era un brutto posto quello. L'ultima volta che si erano visti, gli aveva augurato di stare sano, e invece non era servito a niente.

- Stupido imbecille. Che cazzo ci sei andato a fare su Greenfield, con tutti i fottuti pianeti su cui potevi andare. Te la sei cercata.

Strappò la pagina. Il giornale era vecchio, così prese il deck e si mise a cercare nella rete. Le gambe incrociate, lo sguardo assorto mentre alle sue spalle Vergil si muoveva appena, il respiro prendeva un ritmo meno profondo, evidenti sintomi di quanto si stesse avvicinando il momento del risveglio. Trovò la sentenza, e con suo sommo rammarico non era l'unica.

- Andrè... jesus christ.

Non poteva crederci. Tutti e due spediti a Fargate. Le prese uno sconforto che non provava da tanto tempo, da quando ci spedirono a calci il suo unico fratello. Serrò le labbra, massaggiandosi gli occhi, sfregando duramente nel sentirli bruciare. Un profondo respiro e chiuse il deck con uno scatto. Sapeva già quello che doveva fare, per cui si alzò, per cercare i propri vestiti. Una voce roca e profonda la richiamò.

- Dove vai?
- Devo fare una cosa.
- Da quando mi rispondi così?
- Devo mandare una richiesta alla flotta.
- Che?

Quel pover uomo di Vergil si era appena svegliato, ignaro di tutto venne bombardato da una notizia priva di senso. Lei, con una palla di abiti in mano, lo guardò, lesse la confusione e la preoccupazione sul suo viso e si rese conto di dover rallentare, fare un ampio respiro. Lo trasse, chiudendo gli occhi per poi prendere il giornale, l'articolo, e farglielo vedere. Cominciò a vestirsi con più calma, meno frettolosa ma pur sempre accelerata.

- Lo spediranno a Fargate.
- Appunto...
- Non vorrai andarci di nuovo.
- Certo che ci vado, c'è anche Andrè. Le sentenze sono già nel cortex.
- Molly, andare lì non ti farà stare meglio.
- No, ma non posso lasciarli a marcire lì, hanno bisogno di speranza, hanno bisogno di sapere che c'è chi li aspetta fuori, di essere rassicurati da questo punto di vista. Più persone ci sono disposte a farlo, più possibilità ci sarà che non crepino lì dentro. Glielo devo, Vergil.
- Non gli devi niente.
- Invece sì. In fondo è un buon diavolo. Wright si è preso delle pallottole per noi, remember?
- Noi ce le siamo prese per lui e per la sua nave.
- Andrè ha cercato di proteggermi.
- Sì, e ha fallito. Nevermind. Ci ha provato. Tanto basta.
- Qualunque cosa dirò non servirà a farti cambiare idea, vero?
- No.
- Passami i pantaloni, almeno ti accompagno alla base.

Lei si voltò, lo guardò a lungo, fino a che non trovò un sorriso solo per lui, per quanto sporcato di una nuova urgenza. Riuscì a trovare lo slancio per concedersi qualche minuto con il proprio uomo, a ringraziarlo per la pazienza, infinita, che dimostra contro la sua assurda e patologica necessità di tentare sempre l'improbabile per chiunque, il suo attaccamento a quel senso di dovere che non si capisce spesso da dove esca, ma che in fondo ha sempre fatto parte di lei e avrebbe continuato a farne parte, che lui l'avesse assecondata o meno.

***

- Sei sicura di voler fare questa cosa da sola, posso rimandare la questione su Phoenix.
- Naye, bel culo, me la cavo da sola.
- Bel culo?
- Perchè, non è così?
- Quanto sei scema?
- Non lo sai nemmeno. Dai, ora vai, ci penserà Trigger a me, come sempre.

Il vecchio annuì a conferma. Vergil non era comunque convinto, glielo leggeva in viso. Lei comunque cercò di sorridergli, rassicurarlo con un bacio un po' più intenso del solito.

- I'll be fine.
- Okay. Fammi sapere quando hai fatto, e salutameli.
- I will. E tu non guardare il culo delle altre.

La risata di Vergil era ancora nelle sue orecchie mentre scivolava attraverso i passaggi che portavano alla zona dei colloqui, dove già tempo addietro, forse in un altro blocco però, vide il fratello. Era inquietante, era tutto davvero spaventoso. Sapeva che non era lo stesso posto dell'altra volta, perchè era da un altro lato, della struttura, eppure era identico. Non c'era altro che il cemento, la pietra e acciaio. Tutto uguale, alienante. L'aria ristagnava, fredda. Venne perquisita svariate volte, dovette rispondere ad un sacco di domande, a cui ad alcune rischiò pure di alterarsi, ma alla fine ce la fece. Per prima cosa le fu permesso di visitare Andrè. La condizione in cui stava le fece scorrere un brivido lungo la schiena. Conosceva, o almeno, aveva subodorato la dipendenza del Profeta dagli stupefacenti, qualcosa che aveva imparato a vivere attraverso Ritter, e i poveri derelitti a cui spacciavano di tanto in tanto. Ma era lucidissimo, e la cosa era peggio di tutto, perchè un tossico in astinenza è più fragile di qualsiasi altra persona. Riuscirono a parlare, stringersi la mano, riuscì a trasmettergli un minimo di calore, seppur la guardia continuasse a sminuire i suoi tentativi fino a farle ribollire il sangue.

- Sei stata su di un pianeta tipo Greenfield, di recente?
- Ho fatto revisionare la Monkey lì, why?
- Parlamene, raccontami com'è.

Lì per lì la richiesta le sembrò davvero assurda, ma poi si rese conto, ricordando i racconti di Trigger a riguardo, che Andrè probabilmente non vedeva il cielo azzurro da tempi immemori, non sentiva il sole sulla pelle, il vento e il gorgogliare dall'acqua. Così decise di raccontargli tutto quello che, a livello sensoriale, avrebbe potuto fargli ricordare Greenfield, il tepore del sole all'imbrunire, il vento caldo e la brezza fresca la sera, il suono delle acque sotto ad Adam's Bridge, tutto quello che poteva risultare famigliare, consolante.

- Quando sarai fuori di qui, farai tutto quello che vorrai.

Ci credette davvero. Nel dirlo c'era il più sincero augurio di poter uscire da quel inferno, sulle proprie gambe e con la mente ancora sana. Glielo doveva, perchè in fondo, seppur fallendo, aveva tentato l'impossibile, ed era una di quelle cose per cui era sempre stata immensamente grata. Li separarono ben presto, trascinandolo di nuovo in catene alla sua disperazione, mentre lei cercava con tutta sé stessa di dargli una minima speranza, di ricordargli di avere fede, che c'era qualcuno lì fuori che lo aspettava. Le sbatterono la porta alle spalle, pesante, fredda. Sussultò voltandosi a cercare la guardia che le chiese di seguirlo di nuovo. I corridoi erano tutti uguali, salì addirittura su di un mezzo motorizzato, una specie di cargo quad, che la portò al punto di partenza. Lei non fu felice.

- Ho chiesto di vedere anche un altro prigioniero.
- Non è un parco giochi questo, Miss.
- Miss ci sarà tua sorella. Ho ottenuto il nullaosta per venire qui, maledizione, non me ne andrò senza averlo visto.
- Buona giornata.
- Cosa? Buona giornata un cazzo. Ascolti bene, io ho avuto il permesso...
- Ascolti lei, per oggi non ha più nulla da fare qui. Se ne vada, prima che venga in mente a qualcuno di chiuderla da qualche parte e buttare via la chiave.
- Mi sta minacciando?
- No, la sto avvertendo. Si levi dai coglioni, adesso.
- Non finisce qui.
- Right. Goodbye.

La porta sbattuta in faccia, che quasi le si spaccava il setto. Un dolore lancinante alla testa, ma fortunatamente nessun danno. Le lacrime, con un colpo simile, sono inevitabili. Era frustrata, arrabbiata, maledettamente incazzata con il 'Verse e con i fottuti culiblu. Ci provò ancora, e ancora, e ancora, ottenendo sempre il categorico rifiuto.

- Non ci tornerai a Fargate.
- Fuck you, ci torno eccome, non possono impedirmi di vederlo, cazzo.
- Possono eccome, e poi cos'è questo attaccamento a Wright, ci ha sempre e solo portato guai, lui e i i suoi moralismi.
- Tutti hanno il diritto di una visita all'inferno, Vergil.
- Non sei mai venuta in carcere quando ci stavo io.
- E me ne sono pentita ogni giorno, ogni maledetto giorno fino a che non sei rientrato al The Machine.
- Lo so.
- E sai anche che se mi metto in testa di fare una cosa.
- Non riuscirò a convincerti a non farla, ma per me è una cazzata, probabilmente è morto...
- Se è morto che me lo dicessero, invece di sbattermi la porta in faccia.
- Non capirò mai perchè ci tieni tanto.
- Perchè in fondo è un buon diavolo, e non è mai venuto meno alla parola data, nonostante tutto. Ha diritto ad una speranza, V...
- Tu sei troppo buona.
- E' per questo che mi ami.
- No, ma è una delle cose che mi piacciono di te... però ho bisogno che tu mi accompagni su Tauron.
- Andiamo a trovare Sterling e Ritter?
- Sì, anche. Forse c'è un lavoro.
- Okay... so, andiamo su Tauron.
- Se vuoi.
- Voglio...
- Molly...?
- What?
- Nothing. Prepara la nave dai, sono sicuro che Ritter sarà felice di rivederci.
- Portagli del thè nero.

La risata fu l'ultima cosa che sentì prima di chiudere la porta di casa e correre ad avvisare Trigger che erano in partenza. Aveva bisogno di pensare a Cecilia, per potersi dimenticare, almeno per un attimo di uno strano senso di colpa che l'aveva catturata. Il pensiero che Red potesse essere schiattato davvero, non la rassicurava affatto, anzi, rendeva la situazione ancora peggiore, nonostante si trovò a scegliere tra lo spettro dei ricordi e le persone concrete a cui teneva: una scelta obbligata.