domenica 20 ottobre 2013

How much difference does it make...




- Non riesci a dormire?
- No. Questo cielo non è il mio cielo.
- Lui è contento, sei lontana dalle bombe.
- Siamo lontani dalle bombe.
- Anya è felice. 
- Perchè siamo lontani dalle bombe.
- Tu non sembri felice.
- Non si vede Polaris da qui.
- Quanta differenza vuoi che faccia? Polaris è in ognuno di noi.

- Anche la guerra.

***

Indifference - Pearl Jam

I will light the match this mornin'
So I won't be alone
Watch as she lies silent
For soon night will be gone

Oh, I will stand arms outstretched
Pretend I'm free to roam
Oh, I will make my way
Through one more day in hell

How much difference does it make?
How much difference does it make?

I will hold the candle
'Til it burns up my arm
Oh, I'll keep takin' punches
Until their will grows tired

Oh, I will stare the sun down
Until my eyes go blind
Hey, I won't change direction
And I won't change my mind

How much difference does it make?
Mmm, how much difference does it make?
How much...

I'll swallow poison
Until I grow immune
I will scream my lungs out
'Til it fills this room

How much difference?
How much difference?

How much difference does it make?
How much difference does it make?

Oooh, ooh
Oooh, oooh...

Straight out of Hell?

Molly osservava dalla plancia la sagoma metallica dello Skyplex ormai prossimo. Era passato talmente tanto tempo dall'ultima volta che era stata su Hall Point che si era ormai convinta non esistesse nemmeno più. Un peccato che tutto in quel 'Verse sbandato e strano continuava a farla tornare con la mente lì. Stavolta non poteva opporsi. Aveva una missione, una missione che odiava con tutto il cuore e che avrebbe seriamente preferito abbandonare, ma era qualcosa che andava al di là delle sue capacità, al di là di lei, di Haggerty di tutto il resto. Era ormai un soldato, forse non di faccia, senza spillette ne gradi, ma nel cuore aveva scelto e negli occhi di Trigger  vedeva lo stesso biasimo che vedeva nei propri ogni mattina quando si guardava allo specchio. C'era troppo in ballo ed in cuor suo sperava profondamente che non si riducesse tutto ad un sacrificio. Avrebbe voluto scommettere. Scommettere tutto quello che aveva che sarebbe sopravvissuto, che non era un addio, quel abbraccio serrato nella penombra del pit, nell'odore pesante di un secchio per gli escrementi, prima di lasciarlo andare al patibolo. Era una stretta che ricambiava, con la massima irruenza, con la voglia di trattenerlo, nasconderlo e non farlo più andar via. 

Il suono metallico degli airlock contro lo scafo della Monkey, nell'attraccare, le spedivano un brivido bruciante. La spalla, per pura azione del subconcio, faceva male più di moltissime altre volte e nessuna dose di antidolorifici riusciva a placarlo.

Tornata al punto di partenza, o forse a quello conclusivo del viaggio. 
Lei era morta, su quella lattina e non solo ci era morta lei, ma anche Anya
Odiava quel posto più di sè stessa eppure adesso, per amor di qualcosa che aveva sempre rifiutato stava accompagnando uno dei pochi amici che riteneva degni di tal nome alla propria fine. Si sentiva disperatamente in bisogno di bere. Non scese, lei no, lasciò che fossero gli altri a sbrigare quanto dovevano con Blackbourne, lei stette in cabina, la sua cabina, chiusa a scolarsi una  bottiglia di qualche schifezza sintetica. Aveva una voglia matta di chiamare qualcuno, tramite il cortex, ma nessuno se non una persona avrebbe potuto capire e non voleva, non voleva chiamarla. Premette il tasto per avviare la chiamata verso Anya, solo vocale, niente video. Il suono dall'altro capo della rete era distorto, al punto che quando ci fu risposta lei semplicemente riattaccò. Il pad trillò in risposta, ma non ce la poteva fare ad avviare la chiamata. Le scrisse un messaggio, dicendole che stavano per rivedersi, che finalmente avrebbero potuto abbracciarsi di nuovo mentre continuava a piangere come una bambina, rannicchiata sulla propria branda, nella propria cabina, mentre il resto della nave passava qualche ora sullo Skyplex prima di tornare sulla Monkey e partire.

Non fu una gran notte, quella. Rimase nella sua cabina, asserendo di non sentirsi troppo bene, rifiutando le cure di Alan, rifiutando la cena di Trigger. Vergil non insistè più di tanto, perchè in fondo sapeva qual era il problema vero.

- Ho ucciso un uomo.
- Certo che no.
- L'ho mandato a morire.
- E' una vita che si è scelto.
- Avrei potuto aiutarlo!
- Lo aiuteremo.

Finì per scivolare in piena notte nella sickbay, ciondolando avanti e indietro come una bambina spaventata, con la testa annebbiata dall'alcol e dalle lacrime, fino a che il pad non prese a vibrare di nuovo. Una sola riga, una frequenza cortex sconosciuta, ma sole due parole a farla scoppiare in un pianto dirotto.

"Sono vivo."

Il sollievo di quei vaggiti fu tale da risvegliare anche l'attenzione della scimmia. Se la ritrovò a fissarla, dal pavimento della sickbay, con quegli occhietti neri e il musetto innocente di chi cova tremendi tiri mancini dietro le spalle. Era vivo. Lei la fissava, silenziosa, con quella faccetta impudente, indisponente. E Molly non poteva fare a meno di continuare a piangere, a dirotto mise a fuoco gli stivali di qualcuno, stivaletti bassi, con poco tacco, mortalmente familiari. Strisciata di schiena contro i mobiletti nella sickbay, sollevò il viso rigato per inquadrare il bagliore rossastro di un sigaro. Si passò la manica della camicia sotto al naso, in un gesto avventato e scomposto, mentre una nuvola di fumo invase la sickbay. Non riusciva a dire nulla e sentiva il peso di quegli occhi addosso, l'unica cosa che seppe di dover fare era rimettersi in piedi. Senza parole a giudicarla, senza mani ad aiutarla. Mettersi in piedi, da sola, e poi gettarsi nell'impeto di un'onda emozionata contro Vergil, che stava solo aspettando i suoi stramaledetti tempi, mentre la scimmia già stava aprendo i cassetti e scombinando le garze arrotolate.

Tutto quello che ricordava Molly era un gran mal di testa e un bicchiere di brodaglia da buttare giù, mentre Trigger portava la nave verso Horyzon. Sembrava essere stato tutto un brutto sogno, e quando, un'ora prima di entrare in atmosferaà,comparve in plancia, tutti sapevano che stava meglio. Le venne ceduto il suo posto, e si trovò a che fare in poco tempo con una bella dose di turbolenze, mentre entravano nell'atmosfera di Horyzon. La pista della Blue Sun, le due torri, la familiarità di qualcosa di lontano, troppo lontano nella memoria e nel tempo. L'unica cosa che contava, quella davvero ma davvero importante era lei: Anya.

Lei era elettricità nell'aria, era calore, fuoco, che la spingeva all'assurdo, in uno stato di eccitazione tale da non stare proprio più nella pelle. Quando il portellone della stiva si aprì la vide, splendida, bellissima, provando un senso di fastidio e timore, nella paura di stropicciarla. Gli scherzi, i sorrisi e gli abbracci, mentre il pacco veniva trasferito nel silenzio. Un ampia gamma di sensazioni che scorrevano come un arcobaleno nella giornata piovosa di Capital City.  Il tè, i pasticcini, le chiacchiere e le serate fuori. La compagnia, con il peso del ritorno ad incombere sulle spalle. Alcol, dolcezza, perfino la scomoda presenza di Edan diventava qualcosa di familiare, al punto che - nonostante le spinte, le prese per i fondelli e il fastidio di fondo, oltre alla gelosia - riusciva a risultare simpatico, dopo un paio di bicchieri almeno. Era come essere in parte tornati ai vecchi tempi, ma aggrapparsi alla familiarità delle cose non cancellava quello per cui aveva votato di combattere. Sapeva di doverla lasciare, seppur con il cuore appesantito e l'anima stanca. Sapevano entrambe, guardandosi negli occhi, che ogni saluto poteva essere l'ultimo. La guerra le permise di assaporare con maggiore gusto la vita stessa, le piccole libertà che altri non potevano avere, inchiodati al fango nelle trincee. Non dimenticò nemmeno per un attimo perchè fosse lì, ma non si concesse di sprecare il tempo, prezioso, unico e raro. Quella non era la sua città, non era il suo pianeta nè il suo sistema, ma nel cuore stesso di tutto, c'era un pezzo di lei del quale non poteva dimenticarsi, nonostante avesse una missione. Una volta compiuta, conclusa, avrebbe salutato, l'avrebbe baciata, e si sarebbe messa in marcia, per attraversare di nuovo lo Stige, fino all'inferno, ancora una volta.

martedì 15 ottobre 2013

Tough job...

Stava in cambusa a bere il suo caffè sintetico, Molly Cox. Non riusciva più a digerirlo come un tempo, ma il caffè vero, a causa della guerra e dell'infestazione, aveva raddoppiato il prezzo e non era più accessibile per le casse della Monkey. Era l'alba da poco, pochissimo, per quanto non si vedesse alba se non un grigio pieno di nuvole e costantemente spezzato dalla pioggia. 

- Oggi si salpa!

La voce di Trigger la ridestò dalla sonnolenza, scuotendola quanto bastava. Si trovò a voltare la faccia, una camicia troppo larga e niente altro addosso se non gli anfibi slacciati lasciavano intendere quanta poca voglia avesse di affrontare la giornata e lui, di tutta risposta, sorrise pieno d'orgoglio e le scompigliò i capelli, costringendola a bestemmiare.

- For Christ sake! Di che stai parlando?
- Ordini dell'Ammiraglio, non lo sai?
- Ah?
- E' meglio che parli con Vergil, invece di passare le notti a fare altro.

Avvampò come una vergine, tirando appresso un panino duro come la pietra al povero artigliere che di tutta risposta le sorrise, diretto alle docce per il suo turno di lavaggio. 

- MA DOV'E' CHE ANDIAMO??
- HALL POINT
- Are you kiddin' me?

Il sorriso che poteva nascerle in viso all'idea di staccarsi da terra e viaggiare nello spazio le sfumò nell'istante stesso in cui l'eco metallica di quel nome rimbalzò fino a lei. Balzò in piedi, rischiando di scapicollarsi sui lacci, salutando Djeval mentre come un tornado stormiva nella cabina del Capitano.

- Che storia è?
- Buongiorno, il mio caffè?
- Di là... che storia è?
- Quale storia?
- Hall Point?
- Ah, quella... non ho avuto modo di parlarne, speravo di farlo dopo il caffè. Mi passi il sigaro.
- Ti passo un pugno se non mi chiarisci nell'arco di dieci secondi.
- Ordini di Rooster.
- Tutto qua? Ordini di Rooster di andare a Hell Point? 

Lo chiamava così, ormai, e non un errore di pronuncia "Hell" inferno, invece di Hall. Un giochino di parole che ben si adattava all'idea che aveva lei di quello Skyplex. Cadde a sedere sul letto, mentre Vergil le spiegava per filo e per segno e solo allora venne folgorata dalla consapevolezza. Le parole di Huck del giorno prima risalirono a galla come la bile dopo una sbornia colossale a stomaco vuoto, acide, spaventose.

- Porteremo Haggerty su Hall Point, così Blackbourne lo ammazza?
- Porteremo Haggerty su Hall Point, quello che ne deve fare Blackbourne non ci interessa, abbiamo un percorso stretto, un sacco di cose da fare e oltre a Djeval ci incarichiamo di portare bla bla bla...

La bocca di Vergil si muoveva ma non riusciva a connettere le parole tra loro. Si stese sul letto, e lui, paziente come sempre, l'osservò. Lei allungò la mano, prese il flacone di antidolorifici e fece per svuotarne più del dovuto nel palmo. Il polso finì preda delle dita del Capitano, severo, perentorio. Riuscì a leggere nei suoi occhi quel 'No' che le sue labbra non pronunciarono. Riversò grossolanamente il contenuto nel flacone e si accoccolò al cuscino.

- Non posso farlo, Vergil.
- Dobbiamo, abbiamo un compito, vedila come una sfida...
- Sulla pelle degli amici?
- Da quando Haggerty ci è amico?
- ... 
- E' la guerra, Molly.
- La guerra fa schifo.
- Lo so, ma ci sono delle scelte da fare e noi abbiamo scelto di firmare, arruolarci e fare quello che dobbiamo, te lo ricordi, vero?
- Yes.
- Right, allora porteremo Haggerty su Hall Point.
- Yes, Captain.
- Vieni a prendere il caffè? 
- Tra un minuto.
- Trigger è già su?
- E' in doccia.
- Bene, allora ti precedo.
- Sì.
- Stai bene?
- No.
- Lo sospettavo. Non tardare, prima cominciamo, prima partiamo, sarà un viaggio...
- Di merda.
- Non era quello che intendevo ma di certo non sarà piacevole. Ti aspetto in cambusa.

Molly si affacciò alla cambusa quando tutta la ciurma era già riunita, vestita del miglior muso che poteva offrire, della sua tuta da pilota, delle sue armi e di un paio di pillole a navigare nel caffè sintetico rimasto sullo stomaco e mal digerito. Ascoltò i dettagli del viaggio, un viaggio lungo, difficoltoso, si trovò a discutere con Trigger della rotta migliore da seguire, trovandosi a mettere mano ai propri foglietti, come aveva cercato di fare con i ragazzini sbarbati al saloon la mattina. Lei sapeva quale rotta prendere, non c'era di che discutere. Non spiccicò più parola, preferendo rimanere chiusa in plancia o in sala macchine ad aiutare Djeval se necessario, qualunque cosa pur di non pensare a quello che dovevano fare.

- C'è il carico da stipare nella stiva, i campioni da riporre nel pit.
- Non può farlo Trigger?
- No. 
- ... Va bene.

Scese di sotto, dirigendo le operazioni di carico, dando una mano fino a che le era concesso. Poi il suono di una jeep, il condannato che saliva al patibolo. Toccò a lei firmare, lo fece senza battere ciglio, cercando di convincersi che stava facendo la cosa giusta, per tutti, che non gli sarebbe accaduto nulla. La strada verso il pit non fu mai così dura, così difficile e così pesante. Non poteva dargli torto, non poteva biasimare l'odio nella sua voce il rancore nei suoi falsi sorrisi. Non poteva arrabbiarsi, non stavolta, nemmeno ad un tentativo di corruzione. Il portellone del pit pesava come un macigno, pesavano le sue parole, i suoi sguardi. Chiuse Huck nel pit in compagnia delle sue carte e si ritrasse in plancia, chiudendosi in un ostinato tentativo di affrontare la dura realtà. Non gli fece mancare nulla, ma non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia ancora.

lunedì 14 ottobre 2013

Never Forget

Molly Cox se ne stava seduta sullo scafo della Monkey Wrench. Osservava il cielo, in un attimo dove le nuvole sembravano aprirsi e concedere uno spiraglio dalla pioggia battente che faceva nagivare gli uomini nel fango di una guerra apparentemente infinita, uno spettro che aleggiava sui mondi di Polaris da anni, ormai. Una bottiglia di rhum al proprio fianco, scadente e per nulla soddisfacente, di quelle che non ti danno nemmeno l'ebrezza ma direttamente un mal di testa colossale. Davanti agli occhi il pad, le notizie che scorrevano incessantemente, bollettini, ravvisaglie, scontri. Vergil era lontano, in ricognizione con altri soldati. Si era immaginata mille volte la guerra, le conseguenze. L'aveva odiata con ogni fibra del suo essere, perchè si era presa i suoi amici, la sua famiglia, il suo pianeta. Eppure non poteva fare a meno di averne rispetto, in un certo modo. Rispetto e timore, reverenziali, come si ha per la morte stessa. 

- Ma io sono già morta una volta. Forse è questo il mio problema.

Sollevò il bicchiere e le prime gocce di pioggia presero a colare da un cielo divenuto nuovamente cupo e scuro. Non c'erano luci, si era ben vista dall'accendere qualsiasi lume, non stava nemmeno fumando, troppo in vista, troppo a rischio e le era stato chiesto di "Fare attenzione, sempre e comunque e di restare salva." Come si fa a restare salvi andando in guerra? Era una cosa che non riusciva a spiegarsi. 

Non poteva fare a meno di pensare a Red. Nuovamente condannato a Fargate. Nuovamente rinchiuso lì dove non c'è ritorno. La fortuna gli aveva concesso un'opportunità, e gli era costata cara. Non poteva fare a meno di pensare a Hust, ad Eolen, alla sua famiglia su Saint Andrews, a quella donna intransigente e dura che aveva visto al matrimonio di Bolton una sola volta. Non poteva fare a meno di pensare a quel bimbetto biondo che sarebbe cresciuto senza un padre. Nel ricordo e nella rabbia, nella vendetta.

Bevve, un brindisi per lui: Red Wright. Lo stesso uomo per il quale scese all'inferno la prima volta, tra proiettili e fuoco, per recuperare la nave sequestrata. Lo stesso uomo che la sfruttò come scudo, per tirarli fuori dai guai, per permettere a Cecilia di liberarsi dal pit in cui era nascosta e dove nessuno l'avrebbe mai trovata, beccandosi proiettili e lasciando lei incolume. Ogni volta che fischiavano proiettili lei ne usciva indenne. L'unica volta che non fischiarono, per via dei silenziatori montati, lei venne spedita all'inferno per davvero. 

La pioggia continuava a cadere e lei si chiese come avrebbe mai reagito Eir alla notizia. Come l'avrebbe presa Ritter, come si sarebbe comportata Jack. Adesso erano in guerra. Non puoi farti muovere dall'affetto, quando sei in guerra. Jack doveva fare quello che era giusto per l'intero Array, non solo per i tre che stavano chiusi in galera. Non solo per Red Wright. Eppure l'istinto era così, conservi la tua famiglia, il tuo giardino. E Molly Cox non poteva fare a meno di pensare che Jack Rooster stava perdendo i pezzi del suo giardino. 

Chiuse gli occhi, sotto la pioggia. Il Pad vibrò, portando con sè una notizia che le faceva sbocciare il sorriso: 

"Sto tornando alla base, da te."

Un brindisi per Vergil Neville, che ancora una volta tornava sano e salvo alla base. Ancora una volta, per quante volte ancora? Non poteva fare a meno di chiederselo, mentre tornava a guardare il cielo, completamente viola. In lontananza si sentivano le esplosioni, portate dal vento o forse semplicemente create ad arte dalla sua immaginazione. La spalla era annientata da una dose massiccia di antidolorifici. Trigger le aveva insegnato, assieme ad Edwards, come armare, puntare e colpire le navi nemiche, come uccidere la gente, lasciarla marcire e bruciare nelle lamiere, nello spazio senza aria, nel gelo tagliente del vuoto. Chiudendo gli occhi non poteva fare a meno di ricordare le parole di Wright, i suoi sottili - nemmeno tanto - tentativi di indurla sulla strada della guerriglia. A volte gli avrebbe voluto dare un pugno, a quel grugno Sainter. La guerra lascia sempre strascichi nel cuore di chi l'ha vissuta. Eppure lei continuava solo a pensare che, a causa della guerra, non sarebbe potuta andare a Fargate a trovare Red, come aveva già fatto in passato per Dragan, per Andre e anche per Wright stesso, senza successo. 

Le venne in mente una vecchia canzone, che sentiva uscire stonata dalla bocca di Berta mentre lavorava alla nave. La domenica colava dalle porte della chiesa gremita di persone disperate e doloranti, durante la guerra. Le venne in mente come un fiume in piena, in cui le immagini del passato, dei propri cari, degli amici sparsi per il 'Verse e dei nemici, raccolti chissà dove si fondevano tra loro: la sorella lontana, il fratello irrecuperabile nella sua miseria di criminale, Kat, Huj, Clifford, Ritter, Baiko, Eir, Philip, Beth, Myar, Cristobal, Maya, Andre, Declan, Cole, Dean, Hogs, Huck, pure quella testa di cazzo di Edan, lo stronzo di Jesse White, Alec, Aileen, Thorvald, Electra, Rinoa, Scott, Howard, Wolf, l'ammiraglio di pietra, Muto, Trigger, Quinn, Zoya, Moloko, Mordecai. Ci pensa, ogni attimo, a fondo, respirando per non perdere mai la memoria di quelle facce, di quei nomi. Si sussegono costantemente come le gocce di pioggia, diventando talmente tanti da non riuscire a discernere i più i tratti dei vari volti sovrapposti che finiscono con il rievocarne uno, due: Red Wright, sua moglie, suo figlio; Jack Rooster.


The world is one great battlefield
With forces all arrayed.
If in my heart I do not yield,
I'll overcome some day.


E' una colpa avere pietà di chi soffre? Soffrire a propria volta per coloro che non conoscono pace? Non è per la redenzione, nemmeno per la vendetta. E' perchè è giusto essere lì questa volta. Si lascia colare nell'airlock aperto, con la testa che naviga nei ricordi, il cuore ancora caldo, ancora vivo abbastanza da provare pena e affetto per chi non lo merita. Si trascina alla branda, domani è un nuovo giorno: dovrà passare la linea che definisce lo spazio. Una linea che definisce lo spazio: ridicolo.



sabato 5 ottobre 2013

Meanwhile in Shijie...

- Hei, Jackson.
- Caporale?
- Devi schiodare.
- What?
- Devi schiodare, fai le valige e prendi il prossimo cargo, sei stato richiesto altrove.
- Ma questa è la mia divisione, lo è sempre stat-

La mano di Frank Marshall si sollevò, tagliando di netto l'aria davanti a lui. Non voleva sentire storie, di nessun genere.

- E' un ordine Jackson, questo è il tuo foglio. Vedi di muovere il culo, man.
- Signor-sì, signore.

Il saluto militare non lo aveva mai perso, nel sangue gli pulsava ancora lo stesso furore di un tempo. Osservò il foglio a lungo, mentre i commilitoni passavano a salutarlo. Cooter Jackson sapeva farsi rispettare ed in poco tempo si era guadagnato la fiducia di tutto il suo distaccamento, anche perchè, molti dei ragazzi con cui stava li aveva visti crescere o peggio, aveva combattuto con i loro fratelli, padri, parenti. Il cruccio sulla fronte era più che mai evidente, aveva aggiunto qualche ruga alle già molte presenti, scavate da preoccupazioni, dalla rabbia, dal tempo, rendendolo all'apparenza più vecchio che mai. La barba se l'era fatta crescere per bene e stava anche per tagliarla quando venne interrotto dal proprio Caporale. Si strinse nelle spalle, la destinazione era Bullfinch con comando di mettersi a disposizione del 3rd Airborne Array e l'Ammiraglio Jack Rooster.

Il vecchio Trigger si portò alla cuccetta che gli era stata destinata, nella cabina che condivideva con altri quattro soldati, tutti più giovani di almeno venti o trent'anni rispetto a lui. Ragazzi, come i suoi figli, se non se li fosse portati la guerra, la prima. Il rancore non ha mai pace, continua ad inseguirti ovunque. Non capiva perchè il comando lo avesse voluto altrove, non se lo spiegava minimamente. Il dubbio che fosse ormai troppo vecchio per chiunque lo stava divorando di dentro, mentre riempiva il vecchio borsone verde, infilando ordinatamente tutti i suoi averi come aveva fatto sulla Monkey prima di prendere il trasporto e tornare su Shijie, il suo pianeta, ad arruolarsi come tanti anni prima. Gli occhi assottigliati dietro le lenti con la montatura di metallo, la testa altrove tanto che, ricevendo una pacca sulla spalla, trasalì di colpo.

- Hey, nonnetto, stai calmo, mica di mangio.
- Sullyvan, che vuoi?
- Mi hanno detto che sei stato trasferito.
- Right, kiddow, vado su Bullfinch.
- Okay, quindi da adesso in poi sarò io l'artigliere incaricato.
- Certo, come no, attento a non inceppare il sistema di lancio, o rischiate di saltare in aria da soli al primo scontro.
- Mi stai portando sfiga, Jackson?
- No, ti sto avvisando che il sistema è difettoso, e che se i meccanici non si muovono a far la riparazione che ho chiesto e richiesto almeno venti volte, farai cilecca...
- ...
- Un po' come ti è successo con quella rossetta dell'altra sera al paese, eh, Sullyvan?
- Quanto sei stronzo!
- ARH ARH ARH!

L'intera cabina scoppiò a ridere, ci furono strette di mano, auguri di varia natura e occhiate che sancivano un non ritorno, per molti di loro. Trigger in cuor suo pregò di sbagliarsi, di vedere i ragazzi tornare a casa, o quantomeno di crepare permettendo a qualche giovane padre con qualcosa per cui combattere di tornare dalla sua famiglia, sano e salvo: come aveva fatto Dusty con lui e tanti altri.

venerdì 4 ottobre 2013

Tauron, September 2515

Si era offerta, con minacce e improperi, di sparecchiare e pulire la cucina dopo cena, concedendo quindi ad Eleazar ed Eir di starsene in compagnia di Vergil senza troppi problemi. Non che se ne facessero alcuni, in realtà, ma quella schizzinosa del gruppo era sempre stata lei, per cui si è sentita moralmente costretta a pulire, laddove nessuno ci voleva pensare. Chuck era stesa pancia sotto in terra, a fare i suoi disegni - e ha anche un certo talento la mocciosa - mentre Lane la fissava da seduta su di una sedia, con quegli occhioni terrificanti e quella sottile intelligenza velata dietro un problema lampante. Stava asciugando un piatto quando Eir la raggiunse alle spalle, insinuandole le mani in tasca per cercare le sigarette. Era già la sesta che le vedeva fumare in pochissimo tempo e per quanto il meccanico di Safeport fosse incline ai vizi anche quello era troppo. Il nervosismo nelle sue dita era qualcosa su cui si incantava spesso, Molly, rendendosi conto di quanto le pesasse tutto. Lo scoppio della guerra era stato annunciato solo il giorno prima e già da tempo, Eir Sterling, fremeva per tornare dai suoi, glielo si leggeva in faccia mentre si bloccava a fissare la figlia. Il tono di voce dall'altra stanza si era affievolito, Vergil e Ritter erano usciti in veranda. Molly appoggiò i piatti a loro posto e si allungò a cercare di rubare un abbraccio, qualcosa che rischiava solo rare volte con Sterling, per paura di un cacciavite nell'occhio. Era rigida, ma non per questo la scacciò.

- Vi arruolate, quindi.

Ci fu un attimo di silenzio in cui Molly sollevò lo sguardo a fissarla, per poi deviare l'attenzione su Cecilia e Lane, i gemelli non si sentivano nemmeno, però c'erano anche loro. 

- Zia vai a fare la guerra?
- Sì, 'Cilia.
- Posso venire anche io?
- No, ragazzina, ancora non sai far funzionare bene i sensori a bordo, devi esercitarti ancora se vuoi diventare un pilota bravo come Red o Ed. 
- Ma dite tutti la stessa cosa, io voglio venire con voi.
- Non puoi.
- Almeno portati questo.

Le diede un disegno, un ritratto della sua famiglia dove ovviamente la povera Lane era relegata in un angolo dietro la casa. Lo fissò a lungo, abbassandosi sulle ginocchia mentre Eir versava da bere per sè stessa e per Cox.

- Questo genere di ruffianerie non attaccano con me, Cecilia Vergil Jack Ritter Sterling. E poi se non ti porta Rooster in guerra, figuriamoci se mi sogno di provarci io.

La bambina gonfiò le guance, puntando i pugni ai fianchi. Non sopportava quando Molly la prendeva così palesemente in giro, per cui, dopo averla mandata senza mezzi termini a quel paese, se ne andò offesa nell'altra stanza. Eir stava in silenzio, mentre la pilota di Shijie se la rideva sotto i baffi. Voltandosi le venne offerto un bicchiere di bourbon, comprato appositamente per Vergil, senza dubbio.

- Quando avete deciso?
- Dopo l'annuncio.
- Ti arruoli su Shijie?

- No, lo facciamo qui, appena possibile.
- Perchè?
- Because... it's the right thing to do.
- Pensavo volessi avere un figlio. 
- Sì, lo vogliamo, ma queste cose richiedono tempo, non sappiamo quanto la cura di Vergil abbia fatto effetto e comunque sia mica schiocchi le dita e accade, potrebbe volerci del tempo e non ho intenzione di lasciare Neville, in nessun caso. Aveva paventato l'idea di andare da Anya ma, non ci penso proprio. Se devo voglio stare con lui, ho già perso una famiglia con la prima guerra, non intendo perdere anche quello che mi resta in questa.
- Mh...

Un sorso lungo una vita. Eir non la guardava nemmeno.

- So che vorresti...
- Lo sai?
- Ti conosco, Sterling, ti conosco abbastanza da essere stata tua testimone al matrimonio con il migliore amico del mio uomo, nonchè il mio dottore. So che vorresti.
- Lo sai.
- Fallo fare a me, stavolta.
- ...
- Fammi proteggere te e la tua famiglia, visto che in fondo è anche la mia.
- Cox...
- Mh?
- Be carefull.
- I will.
- E cerca di non farlo ammazzare.
- Naye, sarebbe un po' problematico fare un figlio senza un padre, non credi?
- Right. Well, God speed, Coxie.

Il brindisi sancì il silenzio, spezzato solo dal ditorno di Vergil e Ritter, entrambi avviluppati nei loro soliti scontri verbali, tanto da finire per discutere anche sulla cosa più stupida, ma in fondo, erano fatti così: erano pur sempre i due uomini che hanno ballato un tango assieme, lui con il velo della sposa, al matrimonio dell'altro.

***

L'indomani quando Molly e Vergil lasciarono casa Ritter Sterling per l'ufficio reclutamento della Golden Valley, Cecilia VJ Ritter Sterling non si degnò nemmeno di salutare la zia, ancora offesissima per la risposta che aveva ottenuto e perchè non la volevano portare dal suo fidanzato - non fidanzatino - Andrè. Le raccomandazioni non servivano e non furono nemmeno accennate, con quel tipo di gente, che ne ha sempre vista di ogni, non serviva altro che uno sguardo e la consapevolezza di esserci, fino a che un proiettile non avrebbe deciso altrimenti, o una bomba, o semplicemente lo scadere della propria ora.

La fila era lunga, piena di ragazzini e zappaterra che non sapevano davvero da che parte reggere un fucile. Gli sguardi avevano la febbrile determinazione di chi, con le unghie e con i denti, è disposto a tutto, imbottiti di ideali ma senza reale convinzione, quegli sguardi che al primo accenno di problema, vacillano e si frantumano.

E mentre attendeva il suo turno di apporre la firma, non potè fare a meno di pensare a quando era più giovane, a quando pregava tutte le notti affinchè tornassero a casa i suoi uomini. Non avrebbe pregato più per loro, se li sarebbe andati a prendere, anche all'inferno, pur di portarli a casa.


Let's pray for hope, Let's pray for peace
I pray for you and you pray for me
I'll pray for heaven to hear what you say
All of God's children will find out one day
Deep in the heart of a war
God heard a Soldier's Prayer.