domenica 20 ottobre 2013

Straight out of Hell?

Molly osservava dalla plancia la sagoma metallica dello Skyplex ormai prossimo. Era passato talmente tanto tempo dall'ultima volta che era stata su Hall Point che si era ormai convinta non esistesse nemmeno più. Un peccato che tutto in quel 'Verse sbandato e strano continuava a farla tornare con la mente lì. Stavolta non poteva opporsi. Aveva una missione, una missione che odiava con tutto il cuore e che avrebbe seriamente preferito abbandonare, ma era qualcosa che andava al di là delle sue capacità, al di là di lei, di Haggerty di tutto il resto. Era ormai un soldato, forse non di faccia, senza spillette ne gradi, ma nel cuore aveva scelto e negli occhi di Trigger  vedeva lo stesso biasimo che vedeva nei propri ogni mattina quando si guardava allo specchio. C'era troppo in ballo ed in cuor suo sperava profondamente che non si riducesse tutto ad un sacrificio. Avrebbe voluto scommettere. Scommettere tutto quello che aveva che sarebbe sopravvissuto, che non era un addio, quel abbraccio serrato nella penombra del pit, nell'odore pesante di un secchio per gli escrementi, prima di lasciarlo andare al patibolo. Era una stretta che ricambiava, con la massima irruenza, con la voglia di trattenerlo, nasconderlo e non farlo più andar via. 

Il suono metallico degli airlock contro lo scafo della Monkey, nell'attraccare, le spedivano un brivido bruciante. La spalla, per pura azione del subconcio, faceva male più di moltissime altre volte e nessuna dose di antidolorifici riusciva a placarlo.

Tornata al punto di partenza, o forse a quello conclusivo del viaggio. 
Lei era morta, su quella lattina e non solo ci era morta lei, ma anche Anya
Odiava quel posto più di sè stessa eppure adesso, per amor di qualcosa che aveva sempre rifiutato stava accompagnando uno dei pochi amici che riteneva degni di tal nome alla propria fine. Si sentiva disperatamente in bisogno di bere. Non scese, lei no, lasciò che fossero gli altri a sbrigare quanto dovevano con Blackbourne, lei stette in cabina, la sua cabina, chiusa a scolarsi una  bottiglia di qualche schifezza sintetica. Aveva una voglia matta di chiamare qualcuno, tramite il cortex, ma nessuno se non una persona avrebbe potuto capire e non voleva, non voleva chiamarla. Premette il tasto per avviare la chiamata verso Anya, solo vocale, niente video. Il suono dall'altro capo della rete era distorto, al punto che quando ci fu risposta lei semplicemente riattaccò. Il pad trillò in risposta, ma non ce la poteva fare ad avviare la chiamata. Le scrisse un messaggio, dicendole che stavano per rivedersi, che finalmente avrebbero potuto abbracciarsi di nuovo mentre continuava a piangere come una bambina, rannicchiata sulla propria branda, nella propria cabina, mentre il resto della nave passava qualche ora sullo Skyplex prima di tornare sulla Monkey e partire.

Non fu una gran notte, quella. Rimase nella sua cabina, asserendo di non sentirsi troppo bene, rifiutando le cure di Alan, rifiutando la cena di Trigger. Vergil non insistè più di tanto, perchè in fondo sapeva qual era il problema vero.

- Ho ucciso un uomo.
- Certo che no.
- L'ho mandato a morire.
- E' una vita che si è scelto.
- Avrei potuto aiutarlo!
- Lo aiuteremo.

Finì per scivolare in piena notte nella sickbay, ciondolando avanti e indietro come una bambina spaventata, con la testa annebbiata dall'alcol e dalle lacrime, fino a che il pad non prese a vibrare di nuovo. Una sola riga, una frequenza cortex sconosciuta, ma sole due parole a farla scoppiare in un pianto dirotto.

"Sono vivo."

Il sollievo di quei vaggiti fu tale da risvegliare anche l'attenzione della scimmia. Se la ritrovò a fissarla, dal pavimento della sickbay, con quegli occhietti neri e il musetto innocente di chi cova tremendi tiri mancini dietro le spalle. Era vivo. Lei la fissava, silenziosa, con quella faccetta impudente, indisponente. E Molly non poteva fare a meno di continuare a piangere, a dirotto mise a fuoco gli stivali di qualcuno, stivaletti bassi, con poco tacco, mortalmente familiari. Strisciata di schiena contro i mobiletti nella sickbay, sollevò il viso rigato per inquadrare il bagliore rossastro di un sigaro. Si passò la manica della camicia sotto al naso, in un gesto avventato e scomposto, mentre una nuvola di fumo invase la sickbay. Non riusciva a dire nulla e sentiva il peso di quegli occhi addosso, l'unica cosa che seppe di dover fare era rimettersi in piedi. Senza parole a giudicarla, senza mani ad aiutarla. Mettersi in piedi, da sola, e poi gettarsi nell'impeto di un'onda emozionata contro Vergil, che stava solo aspettando i suoi stramaledetti tempi, mentre la scimmia già stava aprendo i cassetti e scombinando le garze arrotolate.

Tutto quello che ricordava Molly era un gran mal di testa e un bicchiere di brodaglia da buttare giù, mentre Trigger portava la nave verso Horyzon. Sembrava essere stato tutto un brutto sogno, e quando, un'ora prima di entrare in atmosferaà,comparve in plancia, tutti sapevano che stava meglio. Le venne ceduto il suo posto, e si trovò a che fare in poco tempo con una bella dose di turbolenze, mentre entravano nell'atmosfera di Horyzon. La pista della Blue Sun, le due torri, la familiarità di qualcosa di lontano, troppo lontano nella memoria e nel tempo. L'unica cosa che contava, quella davvero ma davvero importante era lei: Anya.

Lei era elettricità nell'aria, era calore, fuoco, che la spingeva all'assurdo, in uno stato di eccitazione tale da non stare proprio più nella pelle. Quando il portellone della stiva si aprì la vide, splendida, bellissima, provando un senso di fastidio e timore, nella paura di stropicciarla. Gli scherzi, i sorrisi e gli abbracci, mentre il pacco veniva trasferito nel silenzio. Un ampia gamma di sensazioni che scorrevano come un arcobaleno nella giornata piovosa di Capital City.  Il tè, i pasticcini, le chiacchiere e le serate fuori. La compagnia, con il peso del ritorno ad incombere sulle spalle. Alcol, dolcezza, perfino la scomoda presenza di Edan diventava qualcosa di familiare, al punto che - nonostante le spinte, le prese per i fondelli e il fastidio di fondo, oltre alla gelosia - riusciva a risultare simpatico, dopo un paio di bicchieri almeno. Era come essere in parte tornati ai vecchi tempi, ma aggrapparsi alla familiarità delle cose non cancellava quello per cui aveva votato di combattere. Sapeva di doverla lasciare, seppur con il cuore appesantito e l'anima stanca. Sapevano entrambe, guardandosi negli occhi, che ogni saluto poteva essere l'ultimo. La guerra le permise di assaporare con maggiore gusto la vita stessa, le piccole libertà che altri non potevano avere, inchiodati al fango nelle trincee. Non dimenticò nemmeno per un attimo perchè fosse lì, ma non si concesse di sprecare il tempo, prezioso, unico e raro. Quella non era la sua città, non era il suo pianeta nè il suo sistema, ma nel cuore stesso di tutto, c'era un pezzo di lei del quale non poteva dimenticarsi, nonostante avesse una missione. Una volta compiuta, conclusa, avrebbe salutato, l'avrebbe baciata, e si sarebbe messa in marcia, per attraversare di nuovo lo Stige, fino all'inferno, ancora una volta.