martedì 15 ottobre 2013

Tough job...

Stava in cambusa a bere il suo caffè sintetico, Molly Cox. Non riusciva più a digerirlo come un tempo, ma il caffè vero, a causa della guerra e dell'infestazione, aveva raddoppiato il prezzo e non era più accessibile per le casse della Monkey. Era l'alba da poco, pochissimo, per quanto non si vedesse alba se non un grigio pieno di nuvole e costantemente spezzato dalla pioggia. 

- Oggi si salpa!

La voce di Trigger la ridestò dalla sonnolenza, scuotendola quanto bastava. Si trovò a voltare la faccia, una camicia troppo larga e niente altro addosso se non gli anfibi slacciati lasciavano intendere quanta poca voglia avesse di affrontare la giornata e lui, di tutta risposta, sorrise pieno d'orgoglio e le scompigliò i capelli, costringendola a bestemmiare.

- For Christ sake! Di che stai parlando?
- Ordini dell'Ammiraglio, non lo sai?
- Ah?
- E' meglio che parli con Vergil, invece di passare le notti a fare altro.

Avvampò come una vergine, tirando appresso un panino duro come la pietra al povero artigliere che di tutta risposta le sorrise, diretto alle docce per il suo turno di lavaggio. 

- MA DOV'E' CHE ANDIAMO??
- HALL POINT
- Are you kiddin' me?

Il sorriso che poteva nascerle in viso all'idea di staccarsi da terra e viaggiare nello spazio le sfumò nell'istante stesso in cui l'eco metallica di quel nome rimbalzò fino a lei. Balzò in piedi, rischiando di scapicollarsi sui lacci, salutando Djeval mentre come un tornado stormiva nella cabina del Capitano.

- Che storia è?
- Buongiorno, il mio caffè?
- Di là... che storia è?
- Quale storia?
- Hall Point?
- Ah, quella... non ho avuto modo di parlarne, speravo di farlo dopo il caffè. Mi passi il sigaro.
- Ti passo un pugno se non mi chiarisci nell'arco di dieci secondi.
- Ordini di Rooster.
- Tutto qua? Ordini di Rooster di andare a Hell Point? 

Lo chiamava così, ormai, e non un errore di pronuncia "Hell" inferno, invece di Hall. Un giochino di parole che ben si adattava all'idea che aveva lei di quello Skyplex. Cadde a sedere sul letto, mentre Vergil le spiegava per filo e per segno e solo allora venne folgorata dalla consapevolezza. Le parole di Huck del giorno prima risalirono a galla come la bile dopo una sbornia colossale a stomaco vuoto, acide, spaventose.

- Porteremo Haggerty su Hall Point, così Blackbourne lo ammazza?
- Porteremo Haggerty su Hall Point, quello che ne deve fare Blackbourne non ci interessa, abbiamo un percorso stretto, un sacco di cose da fare e oltre a Djeval ci incarichiamo di portare bla bla bla...

La bocca di Vergil si muoveva ma non riusciva a connettere le parole tra loro. Si stese sul letto, e lui, paziente come sempre, l'osservò. Lei allungò la mano, prese il flacone di antidolorifici e fece per svuotarne più del dovuto nel palmo. Il polso finì preda delle dita del Capitano, severo, perentorio. Riuscì a leggere nei suoi occhi quel 'No' che le sue labbra non pronunciarono. Riversò grossolanamente il contenuto nel flacone e si accoccolò al cuscino.

- Non posso farlo, Vergil.
- Dobbiamo, abbiamo un compito, vedila come una sfida...
- Sulla pelle degli amici?
- Da quando Haggerty ci è amico?
- ... 
- E' la guerra, Molly.
- La guerra fa schifo.
- Lo so, ma ci sono delle scelte da fare e noi abbiamo scelto di firmare, arruolarci e fare quello che dobbiamo, te lo ricordi, vero?
- Yes.
- Right, allora porteremo Haggerty su Hall Point.
- Yes, Captain.
- Vieni a prendere il caffè? 
- Tra un minuto.
- Trigger è già su?
- E' in doccia.
- Bene, allora ti precedo.
- Sì.
- Stai bene?
- No.
- Lo sospettavo. Non tardare, prima cominciamo, prima partiamo, sarà un viaggio...
- Di merda.
- Non era quello che intendevo ma di certo non sarà piacevole. Ti aspetto in cambusa.

Molly si affacciò alla cambusa quando tutta la ciurma era già riunita, vestita del miglior muso che poteva offrire, della sua tuta da pilota, delle sue armi e di un paio di pillole a navigare nel caffè sintetico rimasto sullo stomaco e mal digerito. Ascoltò i dettagli del viaggio, un viaggio lungo, difficoltoso, si trovò a discutere con Trigger della rotta migliore da seguire, trovandosi a mettere mano ai propri foglietti, come aveva cercato di fare con i ragazzini sbarbati al saloon la mattina. Lei sapeva quale rotta prendere, non c'era di che discutere. Non spiccicò più parola, preferendo rimanere chiusa in plancia o in sala macchine ad aiutare Djeval se necessario, qualunque cosa pur di non pensare a quello che dovevano fare.

- C'è il carico da stipare nella stiva, i campioni da riporre nel pit.
- Non può farlo Trigger?
- No. 
- ... Va bene.

Scese di sotto, dirigendo le operazioni di carico, dando una mano fino a che le era concesso. Poi il suono di una jeep, il condannato che saliva al patibolo. Toccò a lei firmare, lo fece senza battere ciglio, cercando di convincersi che stava facendo la cosa giusta, per tutti, che non gli sarebbe accaduto nulla. La strada verso il pit non fu mai così dura, così difficile e così pesante. Non poteva dargli torto, non poteva biasimare l'odio nella sua voce il rancore nei suoi falsi sorrisi. Non poteva arrabbiarsi, non stavolta, nemmeno ad un tentativo di corruzione. Il portellone del pit pesava come un macigno, pesavano le sue parole, i suoi sguardi. Chiuse Huck nel pit in compagnia delle sue carte e si ritrasse in plancia, chiudendosi in un ostinato tentativo di affrontare la dura realtà. Non gli fece mancare nulla, ma non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia ancora.