sabato 6 luglio 2013

Bullets on parade...

Sono almeno quaranta minuti che Molly Cox è chiusa nella sickbay. Aveva assegnato a Trigger un paio di commissioni e sapeva per certo che, a parte FurFace, sulla Monkey Wrench non c'era nessuno. Sono quaranta minuti che non fa altro che piangere come una bambina, chiusa nella sickbay dall'interno, così che le porte spesse taglino via i singulti e nessuno possa sentirla.
Ha dimenticato di comprare gli antidolorifici. Quaranta minuti prima stava mettendo a soqquadro ogni angolo di quella dannata infermeria ma non aveva trovato nemmeno una pillola per sbaglio, magari conficcata in qualche cassetto. Trentacinque minuti prima stava maledicendo sé stessa e la sua mania per l'ordine, lanciando in aria tutto quello che poteva trovare, prima di crollare in ginocchio e schiacciare la guancia sul pavimento freddo.
Piange, e non ricorda nemmeno più per chi sta piangendo. Se per il ragazzo che ama quanto un fratello, che sente di non aver mai protetto abbastanza e che teme di aver perso per sempre. Per il fratello che aveva trovato, le cui scelte l'hanno spinta lontana, a seguire altre correnti, altre strade e che inevitabilmente è cambiato, tanto da spezzarle il cuore. Se per quello che erano stati, per la ciurma di cui percepiva intimamente la più netta delle mancanze. Se per il dolore di una spalla che non vuole farle dimenticare che per la follia di una singola persona lei è morta. Se per quel senso profondo di colpa, che le stringe la gola, ad essere tornata da dove non bisognerebbe mai ritornare. Mentre si trascina contro una parete si riscopre a sentire orribilmente la mancanza di sua sorella, del Dottore, del genietto, di Sterling, di Cecilia, del proprio padre, dello zio, ed inevitabilmente di tutti i fantasmi con il quale alimenta da sempre quel lato masochista di sé. Piange talmente tanto da non avere più lacrime, da sentire l'acido sapore della nausea morderle le viscere, da non vedere più nitidamente i contorni di quello che la circonda. Striscia, tornando ventre a terra, tra la confusione che lei stessa ha creato. Striscia, circondata da dolore, con le fitte che le fanno salire il vomito in gola. Gli occhi che bruciano, le tempie che esplodono. Striscia, perchè ormai non è più in grado di muoversi senza pregare che arrivi qualcosa a mettere fine a tutto quanto. E finisce per ritrovarsi ad immaginare lei, lo spettro rosso, con una pistola puntata alla sua testa. Lei, che non ricorda minimamente come la colpevole e che non riesce ad attribuirle davvero tutte le colpe. Lei, che diventa la personificazione di una guerra che le ha strappato quelli che più amava, il suo pianeta.
Una fitta, ancora, il pianeta che scintilla in lontananza.
Una fitta, ancora, il ventre che si contrae, la voce che muore in gola, senza riuscire a trovare la forza di chiamare.
Chiamare chi?
Ha allontanato tutti, non è rimasto che uno, uno soltanto, perchè in fondo ha già deciso. Sa che il vecchio vuole andare a combattere, finire di santificare la propria vendetta, per i propri figli, la propria moglie, le bambine. Erano così belle quelle bambine.
La mano artiglia un cassetto, non ce la fa a tirarsi su e piomba giù con tutto il contenuto.
L'hypospray scivola sul pavimento, l'astuccio con i medicinali da campo si spalanca davanti ai suoi occhi.
Il paradiso, all'improvviso.
Un paradiso chimico, fatto di false illusioni, di temporanei sollievi.
La voce di Mordecai le abbaia nella testa, tagliente e affilata come un bisturi di precisione: diminuire.
La voce di Huck si sovrappone a quella del medico – lei è un medico, lui è un chimico Molly – lui che le raccomanda di non finire con la bava alla bocca in una buca, uccisa dalle sue stesse necessità. Lui, che finirà di sicuro con un proiettile tra gli occhi alla prossima scommessa sbagliata.
E mentre le dita tremano cercando di incastrare la cartuccia nell'hypospray si chiede se sia servito a qualcosa salvargli la vita. Se non abbia fatto più male che bene. E se, in fondo, qualsiasi azione lei faccia abbia davvero un senso.
La dannata capsula non vuole entrare, e allora la rabbia monta, una furia che la vede scagliare lontano anche quella flebile luce, lasciare che piombi il buio, che però è senza sonno.
Una pallottola, una sola.
Il cinturone non è lontano.
Sarebbe così facile. Ma non è cristiano. E allora che importanza potrebbe mai avere?
Torna a strisciare, ventre nel fango del proprio dolore. Sono ormai anni che è chiusa in quella sickbay, troppo tempo per uscirne viva. Troppo.
E perchè lo sono ancora?
Il dottore lo saprebbe, ma lui non c'è più e forse non sa nemmeno più tutto, come un tempo. Un tempo troppo lontano.
Andrè lo saprebbe, ma nemmeno Dio sa in quale angolo del 'Verse è finito, lui, con la banda di Wright.
Wright è uno stronzo, con i fiocchi, di quelli che se non li incontri mai nella vita ci guadagni soltanto. Eppure è uno stronzo che si becca le pallottole, che agisce e soffre in silenzio, mentre tu stai piangendo, Molly Cox, come un vitello al macello.
Va tastando sul pavimento della sickbay, in quella nave che sa di casa solo nella misura in cui la mattina riesce a svegliarsi con almeno qualche ora di sonno sulle spalle. Va a caccia di qualsiasi cosa possa finire questa tortura, uno stillicidio lento che nemmeno la morte potrebbe lenire.
E ancora, un segno dal cielo. Quella capsula e il suo contenuto. Il contenuto che la fa sorridere, nonostante le faccia male ogni singolo muscolo, e per sorridere, disse una volta qualcuno, ce ne vogliono tanti, ma sempre meno di quelli che si usano per imbronciarsi. Chissà cosa cavolo volevano dire quelle stronzate, come la storia delle rughe d'espressione.
E intanto le dita scivolano sulla pavimentazione, trovano la parte che manca del tutto. Trattiene il fiato, si morde la lingua fino a farla sanguinare e poi ritrova energia e fiato in un semplice suono.


*Click*

La fiala è inserita.

....

Trascinata spalle alla parete, con una dose di morfina sparata nel braccio, le viene da chiedersi se è davvero quella la sensazione che provava Ritter, o che prova Andrè, ogni volta che allevia i propri pensieri e le proprie sofferenze.

Forse era meglio un proiettile, almeno era più pulito.
Tre ore di sonno.
Possono bastare.

Good night, and God bless you all, my friends.



Noiserv – Bullets on Parade

There was a time 
when I spoke to death 
but I was dead before 
my ship in a parade 
I'm just taking over
I said one just for the gun,
said two for the eyes 
said three and start 
shooting over 
This is about the day 
when I spoke with death 
"but you're dead before" 
they keep singing over 
This is what? 
Just feeling older 
Finally I understood 
that the parade is my head 
and that kids in the garden 
are only my thoughts... 
I said one just for the gun,
said two for the eyes 
said three and start 
thinking over 
This is about the day 
when I spoke with me 
But i'm a writer that spoke
still killing over
This is what? 
Just feeling older 

venerdì 5 luglio 2013

Greenfield, July 2515

Primo pomeriggio. Fuori dal The Machine c'era un silenzio irreale. Al piano di sotto non c'era anima viva: troppo caldo per mettersi a lavorare ancora, e c'era tempo al tramonto. Sammy era andata al fiume a rinfrescarsi un po', svagarsi, com'è giusto che sia alla sua età. Muto... non si sapeva. Quando Vergil Neville arrivò al piano di sopra le lame di luce che fendevano la penombra erano cocenti e rade. Le finestre erano aperte, ma le serrande abbassate in modo da puntinare di chiazze luccicanti tutta la stanza. Lei era in silenzio, c'era solo un loop fastidioso, incantato su di una trascrizione a cui aveva dato voce metallica con l'holodeck. Era seduta su di una sedia, i gomiti appoggiati al tavolo, le mani affondante nei capelli, raggrumati dal sudore e dal calore. La canottiera era macchiata di aloni scuri. Il ghiaccio nel bicchiere di burbon era sciolto ormai da tempo e il fondo del tumbler aveva segnato il tavolo già di suo non propriamente pulito. L'unico movimento che compiva era premere un tasto, avanti e indietro, ascoltando ancora e ancora una parte di quelle voci metalliche che si accavallavano, prima dell'inevitabile silenzio. I suoi occhi, vacui e distanti, fissavano un cursore lampeggiante che scivolava mentre le voci scandivano l'allarme, il terrore, l'inevitabile, fino a tornare indietro e ricominciare da capo, in un continuo quasi alienante. Nell'appartamento al piano di sopra del The Machine non era difficile sentire chi stava arrivando, il passo del Capitano non era mai stato lieve come una libellula, eppure lei non si era girata.

- Molly?
- Devo andare a Safeport.
- Why?
- C'è da comprare dei sensori avanzati al Black Market, quelli che abbiamo ormai non sono recuperabili.

La voce era piatta, priva di colore e calore, tanto da rendere la stanza improvvisamente fredda, nonostante il povero Neville stesse già soffrendo quella cappa di pesantezza che regnava nell'appartamento. Che ci fosse qualcosa che non andava era abbastanza evidente. Il posacenere alla destra della pilota era ricolmo di sigarette ridotte a moncherini dove anche il filtro era stato bruciato, il pacchetto accartocciato era in terra, dopo essere probabilmente rimbalzato contro una parete. Gli occhi del Capitano corsero ovunque a cercare tracce, indizi su cosa potesse essere accaduto, fino a che non prestò attenzione a quelle voci. Raggiunse le spalle della pilota, ormai diventata lo spettro di sé stessa, e vi pose le mani. Molly trasalì, sgranando gli occhi, voltò il capo a fissare Neville dal basso. Aveva lo sguardo perso, impaurito, come un cucciolo smarrito che ha perso la strada di casa. Lei strinse le labbra, trattenne a fatica le lacrime, fino a che non ne potè davvero più.

Il movimento che fece colse impreparato il Capitano, che se la ritrovò ben presto tra le braccia, aggrappata come non ci fosse un domani. Non versò lacrime, o se lo fece, fu in silenzio. E nel mentre Neville potè leggere quello che c'era scritto sul Deck, mentre scorreva in silenzio il cursore: era un messaggio di Beth, le trascrizioni e le informazioni che riguardavano l'incidente di un trasporto tra gli Skyplex di Hall Point e Threesprings. Ricordava senza problemi il giorno in cui Molly arrivò tuonando di muovere il sedere e partire a cercare Philip, che era stato dato per disperso in un incidente nello spazio. Dovette fare i conti con una determinazione quasi esasperata, fino a che non crollò di nuovo sotto il peso di mille fatiche, rimpianti e rimorsi. Non l'aveva mai vista così fragile, da quando la conosceva, e la cosa risultava nuova. Aveva avuto il coraggio di spingersi oltre i confini dello spazio conosciuto, per gli amici, andare a Fargate varie volte, per gli amici, e adesso lo stato di impotenza in cui stava era più deleterio di qualsiasi pillola, dolore, operazione che potesse mai subire in vita sua.
Vergil la raccolse, la strinse, facendola sedere sul letto. Cercò di sollevarle il viso, aveva gli occhi gonfi, di sonno, di dolore, come era gonfio il cuore di paura. Amava quel ragazzo come si può amare le cose belle, un fratello, qualcuno per il quale auguri solo ogni bene. Lui le sorrise, passando un pollice sulla guancia scavata.

- Da quando ti arrendi così facilmente?
- Non mi sono arresa.
- E allora perchè stai così?
- ...
- E se non lo trovassimo?
- Con i 'se' e con i 'ma' non si costruisce nulla. Intanto dobbiamo cercarlo.
- Dobbiamo?
- Cercarlo.
- Assieme?
- Ovviamente.

Lei esalò un sospiro di sollievo talmente grato che non riuscì a far altro se non tornare a nascondersi tra le sue braccia. Una passata di mano, e la disperazione profonda in cui era precipitata ad ascoltare quelle trascrizioni che le aveva fornito Beth venne soppiantata dalla testarda determinazione a non lasciare nulla di intentato.

- E' un ragazzo sveglio.
- E' un genio.
- Avrà trovato un modo..

Dovevano cercare di convincersi entrambi: Neville per far stare serena Molly, Molly per riuscire a chiudere occhio e trovare la spinta per scrollarsi di dosso il dolore, la paura, e affrontare ancora una volta l'ennesima sfida.

- Andiamo a Safeport?
- Aye.