Anastasiya Irina Diodora Krushenko
Era una delle donne più belle su cui avesse mai posato lo sguardo, e allo stesso tempo, uno dei migliori piloti femmina che avesse conosciuto. Si trovarono subito. Bastò uno sguardo, uno solo. Lei era affabile, Molly un vero martello pneumatico. Quel drago sul viso la rendeva ancora più sensuale, quella tuta la fasciava come un guanto ma, a parte l'aspetto, era una dannata folle. Odorava di sfida. Amava le sfide. L'adrenalina, il rischio, diversamente da Cox, più conservatrice, meno imprudente anche se decisamente più incazzosa. Eppure, erano molto più simili come pilote di quanto potessero entrambe accettare. Non ci fu mai ostilità, non come con altri, ma affiatamento, dal primissimo minuto. Ben presto Anya divenne una parte integrante della sua vita. Di lei si fidava. Era una sensazione di pelle, qualcosa di istintivo. Le poteva cedere tranquillamente il timone. La prima persona oltre ai propri cari e congiunti a cui potesse affidare la guida senza sentire il prurito, il fastidio. Se la cavava, bene, ottimamente. Non aveva mai avuto figure femminili con cui condividere qualcosa, la passione per lo spazio, per il volo, le spinse vicine, fino al punto da saldare un anello, ad una catena ancora più lunga. Si rese conto di quello che provava per lei quando la chiamò e lei corse, per ubriacarsi sullo Skyplex di Hall Point di vodka korolevita fino a star male e non volerne più sapere di quell'alcolico. Se ne rese conto quando lo sportello della Monkey si chiuse, lasciandola a terra con Chaplim. Soffrì immensamente il lungo periodo di separazione, tentata, ogni notte, di chiamarla, ma spaventata che anche solo un contatto potesse in qualche modo metterla in pericolo. Correre da lei quando le arrivarono le coordinate, raggiungerla senza nemmeno avvisare il capitano, fiondarlesi addosso, abbracciarla e parlare, a lungo, bevendo, fino a che il sonno non le avesse rapite, abbracciate, unite fino alla fine. Si ritrovò a pensare che, se nel mondo esistessero persone con il suo stesso sangue, figli di quella stessa donna morta per partorirla, avrebbe voluto di certo una sorella come Anya. Perchè la korolevita era sua sorella, un legame più forte dello stesso sangue, come le aveva insegnato a provare la sua famiglia, che di sangue non condividevano nemmeno una goccia. Ora, dopo tutto quello che hanno passato, non saprebbe immaginare la propria vita senza di lei. Del suo pilota.
Joe Black
La sua idiozia non aveva limiti. Ti stordiva a parole, ruffiano, un'incallita testa di cazzo, eppure, tra una cosa e l'altra, tra il disastro del treno e la sua relazione con la sorella, è finita inevitabilmente per invischiarsi nel suo fascino. Non nel senso più stretto del termine, quanto più nel guadagnare via via la certezza che in fondo, il mercenario spietato, aveva un cuore. Un cuore idiota, ma pur sempre vivo di emozioni fin troppo feroci. Vissuto al limite del baratro, tradito, aveva riguadagnato ogni cosa, persa, e di nuovo guadagnata. Quando fu allontanato da Neville, fu lei ad andarlo a riprendere. Lui era lì e lei non riusciva a non pensare a quanto le sarebbe dispiaciuto perderlo. In fondo, era un tipo simpatico. Quello che si preoccupava quando non tornava a galla, quello che aveva paura dell'acqua, ma che non aveva esitato a buttarsi per salvarla, anche se era stato uno scherzo. Quello con cui scazzottava, litigava, ma dietro cui si sarebbe sentita sempre protetta. La sua pistola era fumante, il suo sorriso feroce, scavato dai dubbi, dai tradimenti, eppure quel legame con loro era qualcosa di balsamico. Sapeva che il suo nome non era Joe, ma qualsiasi fosse quello vero, non sarebbe cambiato mai nulla. Seppe di aver trovato l'ultimo frammento del proprio cuore quando si specchiò nei suoi occhi spiritati. Lo avevano rinchiuso, la mancanza di un'identità certificata era un grosso problema. Chiuso, con la bambina, il dottore e la terrorista. Seppe che a lui avrebbe sempre potuto affidare la propria vita nel momento in cui l'appese di forza contro la parete e se l'abbracciò. Lei lo avrebbe protetto e lui avrebbe sempre fatto lo stesso. Lui sapeva cosa significava avere una sorella, una famiglia, sparpagliata, spezzata. Eppure in lui c'era posto per la fiducia, per l'amore, come quello che lo legava ad Anya, come quello che lo teneva su quella nave. Era un fottuto pirata, un mercenario che avrebbe potuto fare qualunque cosa, ma rimaneva su quella nave, dove nessuno lo avrebbe tradito ancora, dove chiunque avrebbe dato ogni cosa pur di proteggere l'equipaggio, e anche lui. Nonostante tutto, tutti gli errori, il caratteraccio, le liti, rimaneva sempre il suo eroe. Quella persona speciale a cui guardare. Era un eroe cattivo, un eroe sbagliato, imperfetto, ma era il suo, e suo soltanto. Glielo promise, solennemente, che mai in vita sua gli avrebbe mentito. Una promessa che era disposta a mantenere, a costo di qualsiasi altra cosa, perchè quando incontri finalmente persone come Joe Black, sai che non puoi lasciarle andare.
Vergil Neville
Istinto. Così giustificò il suo accettarla a bordo. Vergil era il capitano di quella bella nave. Aveva un vizio assurdo per i sigari, sembrava davvero una di quelle persone tutte d'un pezzo, e diceva di avere un sesto senso. Le ispirava fiducia. Era un uomo rigido, si aspettava molto ma almeno pagava il giusto. La vita su di una nave, la possibilità di viaggiare per tutto il 'Verse. Erano le sue uniche aspettative e non le importava nulla di cosa trasportasse o della morale delle cose. Lui le aveva aperto un nuovo mondo, e si ritrovò rapidamente ad essere circondata da una nuova famiglia. Tutto d'un pezzo, eppure estremamente vulnerabile. Pieno, zeppo di fantasmi, lui era spesso qualcosa di insondabile, ma allo stesso tempo apprezzabile. Avrebbe dato tutto pur di proteggere il suo equipaggio. Un vero Capitano, a cui non poteva mai rinfacciare nulla, non lo avrebbe mai potuto fare. Tutti sbagliano, è la natura degli uomini, lui non poteva esserne esente. Il bere troppo, il dormire poco, l'oberarsi di troppe colpe che nemmeno gli appartenevano. Crescendo - perchè sì, a bordo della Monkey Molly Cox era cresciuta - imparò ad apprezzare di lui ogni piccola cosa, anche i rimproveri. Si ritrovò ad aberrare la possibilità di deluderlo, temere ardentemente di sbagliare grosso e perdere quell'unica famiglia che aveva riconquistato, un pezzettino alla volta. C'erano volte in cui lui riusciva a farla imbarazzare senza nemmeno parlare. Gli bastava uno sguardo, che si infiammava, un commento lieve, che tornava a bruciare come una ragazzina, vergognosa, inquieta. Lui si divertiva un sacco a farlo, metterla a disagio, smantellare quell'aspetto burbero, quei modi grevi, il carapace per mostrare il tenero di lei. A volte nei suoi occhi c'era qualcosa che non riusciva a comprendere, a volte, sentiva una pulsione a cercare tra le sue braccia il riparo, la quiete, il silenzio. Lui l'aveva trascinata all'inferno in un paio di occasioni, ma era stato così abile da tirarla fuori senza nemmeno un graffio, preoccupandosi, incazzandosi con lei. Le sue labbra avevano il sapore della libertà, qualcosa che non riusciva a capire, ma su cui finì per intestardirsi. Lo sgridava, perchè se lo meritava, ce l'aveva con lui, perchè aveva in parte paura di quello che sarebbe potuto accadere, il terrore di mandare tutto a puttane al primo passo falso. Lui, il suo Capitano, lei, la sua pilota.
Eleazar Ritter
Aveva qualcosa di strano. Lui, un Corer completamente fuori di testa, un vero folle, un drogato senza scampo. Tutto quello che odiava condensato in un'unica testa, un genio fuori dal comune. Affascinante, con una parlantina sciolta e un grado di educazione che la sotterrava, era anche l'unico medico a cui riuscisse ad avvicinarsi senza temere che potesse pugnalarla con un bisturi. Assurdamente folle, sconsiderato, riusciva comunque a tenerle testa. Lui e le sue scommesse, il brivido, la sfida, eppure, stranamente, sentiva che se avesse mai avuto bisogno di un dottore, l'unico a cui avrebbe concesso di toccarla era lui: Eleazar Ritter, il drogato di Corona. Quando se ne andò, dopo il treno, l'infermeria sembrava vuota e priva di senso. Lui era l'unico che poteva tirare fuori Vergil dal suo buco nero, eppure era troppo lontano. Avrebbe dovuto rimanere, nessuno voleva che se ne andasse. Lei soprattutto, se ne fotteva altamente dell'Hyperyon, avrebbe dato tutti gli Avanger del maledetto 'Verse pur di avere ancora quel coglione di dottore con loro. L'equipaggio era incompleto, sparpagliato, come semi al vento. E dove il seme tocca terra, germoglia. Il suo ritorno le aveva alleggerito il cuore, così come vederlo sanguinare come un maiale sgozzato la fece palpitare di puro terrore. Sapeva cosa fare perchè lui era lì. Sapeva come comportarsi perchè, nonostante tutto, era presenta abbastanza per darle indicazioni, per dirigerla come un Orchestrante. Tutto quello che aveva imparato lo aveva sfoderato nell'attimo del bisogno e lui aveva sempre il riguardo di non farla vedere, mentre gli aghi affondavano nella pelle chiara. Lui, che era in grado di complimentarsi offendendo, lui, che le parole le mangiava a colazione. Lui con quella bambina dagli occhioni grandi, lui, che sarebbe dovuto sopravvivere per non lasciare Cecilia sola, perchè una bambina deve avere un padre e una madre, e lei lo sapeva bene. Fu 'love at first sight' con quel maledetto Corer che imparò ad apprezzare, invece che odiare, come tutti gli altri Corer.
Once you hit the ground, the only thing that can save you are the ones you love.