giovedì 6 dicembre 2012

Coming back home...

Erano atterrati da qualche giorno. La prima notte non è stata affatto semplice. Era scesa con tutte le buone intenzioni di affrontare i fantasmi del suo passato. Certo, sapere esattamente le coordinate di dove stavano, ma non riuscire minimamente a discernere qualcosa di familiare attorno a loro le dava una sensazione inquietante di paura. Una paura acida, stillata alla bocca dello stomaco, che saliva ogni qual volta sentiva i Corer parlare o si rendeva conto del perchè li avesse accompagnati su quel pianeta dimenticato da Dio e dagli uomini. 
Era a 15 miglia da casa propria, 17 e mezza dai terreni che una volta erano di Trigger. Lui di scendere non ne aveva voluto sapere. Quando è entrata nella sua cabina, bussando con il tacco per annunciarsi, lui stava chiuso a giocare a solitario.  

- Che vuoi, ragazza? 
- Pensavo volessi scendere, Trig. 
- Pensavi male, Winger.  
- Ma io... 
- Se vuoi affrontare a muso duro la vita, ti conviene farlo sola, wing, non ci sarò sempre a pararti il culo, così come non ci poteva stare Dusty. Fai l'adulto, fai l'uomo, metti il naso fuori di qui da sola. 
- ... se io faccio l'uomo, tu che fai?
- Il fottuto coniglio che deve campare tirando avanti con i propri scheletri nell'armadio. Non uscirò da questa nave, Molly, e in cuor tuo sai che non dovresti farlo nemmeno tu. Non c'è niente lì fuori che ci riguardi, niente. Il passato non torna indietro, sono solo ricordi.
- Io devo vedere.
- Buon per te, allora. Vai. Ma non dire che non ti avevo avvisata. 

Ci rimase abbastanza male, inutile negare la cosa. Male, come un cazzotto in pieno petto. Eppure, troppo testarda ed orgogliosa per capire che in fondo il vecchio aveva ragione, gli voltò le spalle e salì la scaletta fino al camminamento. I passi li sentiva pesanti. C'era voluto tempo per adeguarsi alla presenza dei Corer, ancor più alla missione che stavano intraprendendo per Shijie. 

Ricordava esattamente il giorno in cui decisero che non era più sicuro rimanere.

Jacob aveva radunato i vicini, anche Signora Jackson con le bambine. Aveva detto loro che riteneva ormai il tempo di Shijie scaduto e che dovevano lasciare la regione dello Wu-Xin, le notizie che venivano da fuori non erano incoraggianti e il suo sesto senso - fottuto, secondo il fratello, ma maledettamente in forma, secondo lei all'epoca - gli diceva che c'era da allontanarsi il prima possibile. Le Jackson non vollero sentire ragioni. Era inutile stare a discutere, loro avrebbero atteso i loro uomini a casa. Lei vide Il santo litigare pesantemente con Mary-Ann, fino a vedersi dare del disfattista, del coniglio, dell'unionista, addirittura. L'ultima goccia, che non vide mai perdere la pazienza quell'uomo che si spacciava per suo padre al mondo e invece scoppiare di ira la povera donna con marito e due figli in guerra. Se ne andarono, e per quanto lei volesse fermarle, a quel punto non c'era più niente da fare. Lui le mise una mano sulla spalla, a trattenere l'irruenza, le male parole che stava per riversare addosso alla donna che, nella sua ottica di diciottenne, aveva osato aggredire il proprio padre. Non ci stava, ma lui era implacabile. Le ordinò secco ed insensibile di caricare il resto della roba e gli altri passeggeri: i Cheng, i Dawson e gli Mu. Almeno loro si salvarono. 
Quando, fuori dell'atmosfera e ben lontani da casa, videro gli incrociatori della Marina avanzare lenti ed inesorabili, si resero tutti conto che in fondo il vecchio non aveva avuto torto. Per quanto anche lui stesso aveva ardentemente sperato di non avere la ragione a dargli supporto, almeno in questo caso. Tornare indietro era impensabile. Con tre famiglie a carico, arrivò sul primo pianeta utile per appoggiare gli sfollati, concedere loro di poter mangiare qualcosa che non fossero proteine sintetiche in barrette. Lui volle ripartire, ma lei non poteva andare. <No, Winger, devi stare qui a badare ai passeggeri> <Ma papà!> <No, ragazza, stavolta non c'è "Ma papà" che tenga. E' troppo rischioso.> <Però...> Lo sapeva. Non l'avrebbe mai lasciata salire. Non di sua spontanea volontà. Così fece l'unica cosa che sapeva di poter fare. Mentre Jac chiudeva il portellone, lei si buttò dentro, infilandosi in uno degli anfratti laterali nella stiva, dietro le griglie, dove di norma i contrabbandieri - glielo aveva detto William - buttavano la roba. Stette li, percependo le vibrazioni dello scafo, l'attrito con l'atmosfera e poi quel senso di alleggerimento dovuto alla gravità fittizzia, impostata dai sistemi di sopravvivenza della nave. Solo a quel punto uscì dal nascondiglio e si avviò verso la plancia. Lui si voltò, di scatto, con la pistola in mano, puntandogliela diritta al cuore. <Cristo santissimo, Winger, ti avevo detto di stare a terra! Inverto la rotta!> <NO! Papà, per favore, non voglio rischiare di perdere anche te. Fammi venire. Non mandarmi su quel pianeta, io voglio stare con te!> Lui la guardò. Era provato, maledettamente stanco. Il senso di colpa aveva già cominciato a divorarselo da un po', un pezzetto alla volta, lasciandolo sempre più pallido, sempre più smunto. Un uomo triste, senza più molto nella vita che non una figlia maledettamente ribelle e scapestrata, con un carattere al vetriolo e una bruttissima tendenza a cercarsi i guai. Un fratello in guerra, amici e conoscenti praticamente tutti al fronte, la casa abbandonata con il terrore di non poterla più rivedere e l'incolumità di quell'unica famiglia che non era riuscito a convincere a partire con loro a gravare come una spada di Damocle sulla sua testa. Molly non lo aveva mai visto così abbattuto e per la prima volta in vita sua assaporò il sapore acido della paura vera. Tornare indietro fu inutile. Tutti sanno come andò a finire. E' storia, è polvere, è desolazione.

Adesso però era tornata. Per portare di nuovo la vita sul suo bel pianeta. Non ce la poteva fare, ma doveva. 
In realtà, ci sarebbe anche riuscita non fosse stato per la presenza dei Corer. A loro imputava ogni nervosismo, ogni tremore, ogni fiotto bruciante che saliva dal centro del petto e le oscurava gli occhi, in una patina rossa come il sangue. Era rabbia. Più viva che mai, come non pensava di poterne provare davvero. Ricordava solo di averlo minacciato, il dottorino del Core. Averlo minacciato pesantemente, mentre la sorella al suo fianco cercava di mediare, ma senza riuscire. Troppo ottuso, troppo Core. Per non ucciderlo davvero, si è dovuta allontanare, nel buio, senza sapere dove stava andando ma intimamente sapendolo benissimo.
E poi lui. Una ventata di lucidità. Vergil era lì. La sua voce nel c-pad, il richiamo che non riusciva a scuoterla immediatamente, però aveva fatto breccia. Le mani le facevano male e mano a mano quel dolore si allungava, come una doccia gelata, a portare a galla la consapevolezza di aver pianto. Eppure non sentiva tristezza, aveva ancora troppa collera dentro. Lui aveva corso. Lo aveva visto arrivarle praticamente addosso, piombare nel buio, allarmato, preoccupato. Doveva stare male? Probabilmente sì, ma era troppo confusa per ricordare. Sapeva di aver fatto qualcosa di male, ma cosa? Aveva minacciato un passeggero, è vero. Uno della BS. Ma le scuse non le avrebbe porte a lui, mai. Al massimo alla Khan. La Khan. Lei era la causa di quel viaggio.

- Non avrei dovuto accettare questa missione.
- Hai fatto quello che dovevi, come Capitano. 
- ...
- Dovevo vedere.
- Anch'io.

Chiunque ha uno spettro da affrontare, prima o poi. L'importante è non doverlo fare da soli. Da soli, difficilmente si sopravvive. Il branco è più forte.