Era quieto. Anya aveva nascosto la Monkey tra i canyon nella zona selvaggia tra Riverside e Jasonville. I motori erano in stand by, Trigger in plancia, gli altri a riposare. Lei era lì, in silenzio. Seduta sul pavimento dell'infermeria, con le gambe richiamate contro il petto, aveva osservato con calma il sangue che veniva aspirato dal braccio del Capitano per iniettarsi in quello del dottore e ridargli un minimo di energia. Aveva due perforanti in corpo, e lei non riusciva a pensare ad altro se non al fatto che Ritter, in quel momento, era la prova vivente della loro colpevolezza.
Doveva risolvere. Il sapore nel retro della gola non andava via. Come una brutta bevuta, un pessimo bicchiere di vino. Le riempiva il palato, raschiava la lingua contro ma nulla riusciva a distogliere l'amara consapevolezza di aver provato terrore. Reale, vero concreto terrore. Per sè, per loro.
Una pila di asciugamani insanguinati erano raccolti su di un telo di plastica, da buttare, bruciare, perdere nello spazio. Sicuramente l'Alleanza stava pattugliando ovunque, in massa, ma il pianeta non era poi così piccolo. Alzarsi in volo e lasciare il sistema di Dorado poteva non essere la migliore delle idee. Doveva pulire. Questo era poco ma sicuro.
L'IdN di suo fratello era scaduto, non poteva farsi vedere e li avrebbero sicuramente controllati. Hanno controllato Anya, con Lady, avrebbero controllato anche loro.
Sapeva di dover dormire, ma non riusciva. Appena chiudeva gli occhi, le raffiche di gatlin, gli spari, il sangue affluivano come un incubo facendole sgranare gli occhi e ritrovarsi ansante e agitata seduta sulla branda. Sul c-pad non erano passati nemmeno quindici minuti. La stanchezza c'era tutta, ma la testa non voleva darle retta. Il corpo era evidentemente provato. Se distendeva la mano davanti agli occhi, tremava, o forse erano i suoi occhi che vedevano i contorni sfocati e tremuli?
Ritter stava per diventare padre. Doveva essere curato. Si alzò, puntando le mani sul pavimento, mani sporche di sangue, a cui avrebbe dovuto porre rimedio. Si affacciò. La morfina non bastava, non con lui, troppo abituato. Le dosi erano alte, altissime, da cavallo, ma a lui non bastavano.
- Ehi
- Cox, che ore sono?
- Sarebbe ora di smetterla di far finta che stai male e tirare tutte le attenzioni su di te!
Scherzava, chiaramente. Aveva bisogno di stemperare, anche perchè, vederlo in quelle condizioni, pur non essendo un medico, le metteva ansia. E poi quel dannato ago.
- Sono un fottuto narcisista, lo sai.
Un colpo di tosse gli spezzò il fiato, facendolo chinare leggermente in avanti, con quell'ago infilato con dovizia e familiarità nella vena che si succhiava linfa vitale lenta, densa, da quel dannato folle che gli stava accanto, riposando, spossato per la nottata completamente fallimentare.
- Hai bisogno di un medico.
- Che intuizione, Cox.
- Ho un'idea.
- ...
Ci fu un attimo di silenzio, spezzato solo dal tentativo flebile di provare ad accendersi una sigaretta. La rotella di metallo che grattava contro la pietra focaia, senza però avere abbastanza attrito da creare scintille. Lo vide tentare, tre, quattro, cinque volte, poi non ce la fece più. Gli strappò la paglia dalla bocca, lo zippo dalle dita sottili e tremanti e glela accese, porgendogliela subito dopo.
- Ho un'idea.
Lo ripetè, sia mai che avesse avuto un vuoto. In fondo, era un maledetto drogato e si stava letteralmente spegnendo, una goccia alla volta, colando vita e genialità dai buchi dei perforanti, ormai parte di lui.
- Sono pronto.
- Tu hai bisogno di un medico e no, non interrompermi. Solo dio sa quanto sarai lucido ancora. Anya non può avere a che fare con noi, il suo lavoro alla Blue Sun è troppo importante. Geibì non ha IdN, non possiamo rischiare di perderlo per strada. Tu, con loro, scenderai a terra, il prima possibile, usando lo Shuttle. Anya ti troverà un medico. Starete nascosti.
- ...
Ritter non parlava. Gli occhi chiusi, il respiro lento. Sembrava dormisse. Ma c'era. Scandito dalle boccate lente tirate dalla sigaretta che lei gli aveva acceso.
- Tu sei la prova lampante che siamo stati noi. C'è bisogno che ti nasconda. Per Eir e per la bambina. Fai la cosa giusta e scendi da questa nave. Si occuperanno Geibì e Anya di te. E io mi occuperò della tua infermeria.
Lui aprì gli occhi e ruotò lo sguardo a puntarla, con il filtro mollemente tenuto dalle labbra esangui, screpolate e tremolanti di un respiro sporcato dal dolore che tornava a farsi largo.
- Lo so che non vuoi, ma devo pulire. Quando tornerai rimetterai tutto in disordine, ma ho bisogno di pulire tutta questa merda o non chiuderò occhio e morirò con la colpa in petto.
- Tu non sei normale.
- Mai detto di esserlo, Doc, ma sai che farò un buon lavoro e non lascerò tracce, per cui. Sparati la tua dose, chiudi gli occhi e ti risveglierai al The machine o dove non so, ma al sicuro. E tieni la tua lunghissima appendice nasale fuori dai casini, almeno per un po'.
Lui accennò una risata, lei arcuò le labbra, tendendole in un ghigno. La risata però era soffocata dal fumo, dalla stanchezza, dal dolore, e lei non riuscì del tutto a sorriderne. Non riusciva a non pensare a quella bambina. Alla possibilità che crescesse senza padre e non solo, visto quello che rischiava anche Sterling. Rimasero in silenzio a lungo, Ritter con gli occhi chiusi, a finire la sigaretta, lei a fissare quel dannato ago, cercando di scacciare gli incubi, i pensieri. Doveva pulire. Era quello il suo modo di espiare le proprie colpe. Doveva lavare via ogni traccia, farli tornare immacolati, tutti, e portare il culo via da Greenfield. Grazie a Dio avevano Saito. Si sarebbe occupato dei sistemi di bordo, delle rotte, del diario, oltre che della meccanica e lo scafo.
- Ce la facciamo?
- Dubito.
- Sei un fottuto disfattista, non vuoi mai darmi soddisfazioni. Tieni, fatti.
Gli porse l'Hypospray, le fiale di morfina rimaste. Lo aveva ripulito, le ferite buttavano sangue ma il grosso era stato deterso con cura, attenzione maniacale. Si era rattoppato da solo, in attimi di lucida e asettica freddezza. Era un genio, continuava a ripeterlo nella testa, guardandolo agire con indolente precisione, come se tagliasse una dannata bistecca, senza reale fame, ma con l'eleganza con cui un artista disegna il proprio destino su tela. Un profeta, in fondo a quegli occhi spenti, stanchi, ma ancora vivi. Si voltò. Non guardava, e lui aveva sempre la premura di lasciarle il tempo di non farlo. Sentì il suono, l'ago lo percepì nella testa, sparare la morfina in vena. Poteva sentirla spandere al battito accelerato del suo cuore affaticato, un muscolo stanco che però non poteva permettersi di fermarsi. Lo fasciò, come le aveva spiegato prima di svenire l'ennesima volta. Gli infilò con attenzione una camicia, gli cambiò anche i calzoni e poi gli preparò una borsa, con un cambio. Meccanica. Ripeteva in continuazione una cantilena. Ripulisci l'infermeria, ripulisci la stiva, distruggi le auto. Doveva chiamare Anya, prima dell'alba e farli andare, con il favore del buio e della pioggia. Guardò il c-pad. Aveva poco tempo. Doveva muoversi.
Il sonno era un optional. Chiuse gli occhi, si lavò le mani, ancora e ancora, fino a che il sangue non fosse sparito, anche da sotto le unghie. Trascinò una cassa in infermeria, quelle usate per il trasporto generico. Buttò lì gli asciugamani impregnati di sangue, gli abiti di Ritter, il passamontagna. Se ne sarebbe sbarazzata nello spazio, il resto andava nel Sanderson pit. Poteva funzionare, ma loro dovevano andare. Si voltò, guardò Ritter, guardò Vergil e poi decise. Avrebbe lasciato al Dottore il tempo di assorbire tutto il sangue che poteva e di godersi quello che rimaneva della morfina, ma poi doveva andare. Forse era un azzardo, ma c'era da pulire. Corse su, da Trigger, lasciando ad Anya e J.B. il tempo materiale per stare assieme, scaricare la tensione e poi, andò a rompere le palle a Saito.
- Sveglia. Devi controllare lo scafo. I buchi. Tutto. E poi avrò bisogno di te per pulire la nave.
- ...
Il terminale del sordo era in stand by, non riusciva a capirla se parlava troppo in fretta. Così, scandì di nuovo il messaggio e lo lasciò.
Doveva pulire. Dovevano uscirne puliti. Tutti. Anche Ritter, la prova vivente della loro colpevolezza. Il futuro padre.
Aveva paura. Tanta paura. Ma non poteva cadere nel panico, non aveva senso. Non poteva. Il sapore. Il sapore di un pessimo bicchiere di vino, ancora lì, ad annodarle la gola. Odiava il vino, sempre odiato e ora aveva capito anche perchè.
Aveva paura. Tanta paura. Ma non poteva cadere nel panico, non aveva senso. Non poteva. Il sapore. Il sapore di un pessimo bicchiere di vino, ancora lì, ad annodarle la gola. Odiava il vino, sempre odiato e ora aveva capito anche perchè.