sabato 8 dicembre 2012

To die, to sleep... perhaps to dream

"Forse mi considereranno una strega e mi daranno fuoco, per il trattore." Thompson non aveva tutti i torti. Bullfinch era davvero un pianeta strano, però era più simile a Shijie di quanto non lo fosse Shijie stesso, ormai. La Monkey era atterrata nei pressi dei terreni di Mason da almeno cinque ore. Scaricare jeep e trattore era stato facile, così come far firmare le carte e registrare il trasporto. Il difficile era stato reggersi in piedi. Il viaggio era immenso. La tensione dei giorni prima stentava davvero a stemperare e la sentiva, nei muscoli tesi, nei fasci di nervi. 
Dormire era diventato davvero un tentativo inutile, e stava dando fondo alle scorte di caffè sul Firefly.
Non poteva farci nulla. Ogni volta, con gli occhi aperti o chiusi che fossero, vedeva le stesse dannate scene. Il portellone che si apriva, il sibilare dei proiettili sotto la pioggia, la terra zuppa di sangue e acqua, sbocciare di inflorescenze nere, spaventose, come dita adunche protese dalla terra. Blu. Corse a perdifiato, la ritirata, la sconfitta bruciante e una cacofonica massa di schiamazzi gracchianti nel canale aperto.
Il piano lo avevano seguito. Nonostante i controlli appena fuori dall'atmosfera di Greenfield l'aveva scampata bella. E per fortuna che c'era Quinn. Con J.B. nel Pit assieme a Trigger e Saito, dovevano assolutamente allontanarsi e raggiungere Hall Point. Lasciare lì meccanico e fratello e andarsene per la loro strada. Non poteva fare a meno di Trigger, ma l'insperata abilità di Quinn ai sensori e alla guida le avevano concesso di recuperare, a piccole dosi, un minimo di lucidità e di energia. Solo con distanze siderali messe ormai tra sè e Greenfield, e la Marina Alleata, riusciva a chiudere davvero gli occhi.
Erano tutti sparpagliati e quello che è peggio, temeva prepotentemente per ognuno di loro. 
Però, per quanto duro possa essere, alla fine prima o poi il sonno arriva, taglia i fili che ti legano alla realtà e ti lascia precipitare in un mondo che è vero, concreto, tutto dentro di te, sotto quello stetson. 
Era stesa nella sua cabina, al buio. Trigger di guardia in plancia, con gli ASU attivi ad accertarsi che nessun genio del male volesse provare a rubare la nave, come hanno cercato di rubare loro le vite la prima volta. 
Stava sognando. Agitata, con le coperte impigliate alle gambe, le piastrine che tiravano sul collo sottile. Non era mai stato saggio svegliarla, ma il c-pad era acceso, il canale di comunicazione aperto in caso di emergenza. Poteva far alzare la Monkey in tempi invidiabili. Lo aveva già fatto. Aveva imparato a farlo. 
C'erano troppe cose che non andavano.
Ritter e quelle ferite erano una costante nella testa, non riusciva a cancellare l'immagine di quel filo trasparente, rosso, che correva dalla vena pulsante e livida di Neville, fino alla sacca appesa a poi giù, precipitando in quella del dottore, con un piede più di là che di qua. Però adesso Ritter stava bene, o almeno, così le aveva detto sua sorella. Il problema non era quello.
Sorrideva, il dottore. Non con le labbra, non con gli occhi ma sapeva che lo stava facendo. Nei suoi sogni tutto era maledettamente strano.
E poi c'era lui.
Lo aveva baciato. In un attimo di assurdità, la cosa più sbagliata della sua vita. Non era stato nemmeno importante. A stampo, sfuggevole. Per farlo stare zitto, perchè si era preoccupato, perchè non aveva risposto. Veloce, indolore, o così doveva essere. E perchè continuava a dannarsi per averlo fatto? Sarà stato il pensiero di lei, della pallottola col suo nome scritto sopra. Sarà stato che lui l'aveva trascinata per mano all'inferno e ce l'aveva cavata fuori, ancora una volta, senza un dannato graffio. Adrenalina. Paura. Fottuta paura. Ti fotte il cervello.
Anya era a lavoro. Chiamarla non serviva a nulla. Collaudava un mezzo per la Blue Sun. Era al sicuro, o almeno, lo era nella sua testa. 
Aveva bisogno di non pensare.
Geibì non lo aveva cercato. Aveva il terrore di sapere, ma era certa che se gli fosse successo qualcosa, Anya l'avrebbe avvisata. E così non era stato. Loro due erano un'unica cosa. Lo sapeva. Per quanto, ai suoi occhi, altro non fossero che le persone a cui affidare la sua vita, senza rimpianti, quei due, tra loro, avevano un filo rosso che saliva, dal cuore di Anya alla sua testa e poi da lì a quella di J.B. e dalla testa di J.B. al suo cuore. Come la flebo che legava Neville a Ritter. Era un'emozione strana. Era qualcosa che riteneva superfluo. Eppure faceva camminare quei due a testa alta. Avanti. Sempre più avanti. Aveva sempre avuto un bel sorriso. Era un idiota, specie quando beveva troppo, ma aveva quel gran bel sorriso e la sua pistola era sempre calda. Qualsiasi fosse il suo nome, quel ragazzo sarebbe sempre stato sì stronzo dall'utero in poi ma anche quello che non ti venderebbe mai, perchè lui sapeva che significava essere venduti.
Aveva bisogno di non pensare.
Non aveva mai staccato gli occhi dalla Dick Frick, mentre guidava, non aveva visto nessuno eppure sapeva che erano lì, che li tenevano tutti sotto tiro. Chiunque fosse in quel Firefly li odiava a morte. Terroristi. Loro? Era lei quella che aveva provato terrore, come poteva essere una terrorista?
Non poteva crederci. Ma era una cosa a cui non doveva dar peso. Si rigirava, avanti e indietro, scacciando le immagini di mille sorrisi: Ritter, Neville, Anya, Geibì, Dusty, Trigger, Swift, Jacob.  
"Papà?"
"Winger, cosa sei diventata?"
"Papà?"
"Winger, sei una terrorista, come tuo zio."
"Ma io... no."
"Winger, sei una ladra. Spacci droga. E' per questo che ti ho cresciuta?"
"Tu non capisci."
"No, non capisco. Spiega."
"E' difficile."
"Non può essere così difficile."
"Sono la mia famiglia."
"Io sono la tua famiglia."
"Non più. Mi hai mandata via, ricordi?"
"L'ho fatto per il tuo bene."
"Lo hai fatto perchè non sopportavi l'idea che ti ricordassi di tuo fratello. Bhè, sai che c'è. Non tornerà mai, sei contento? Mai più. Lui non tornerà, e io nemmeno."
Sentiva nella propria testa la voce dura, pesante. Tutto questo non era mai successo. Lui non sapeva quello che lei combinava della sua vita. Non l'aveva mai cercata da quando se n'era andata, anche se lei aveva chiesto a Djeval di passare per Fidelidad e vedere come stesse Il santo, non sarebbe tornata. Non avrebbe mai affrontato QUEL discorso.
Uno sparo. 
Si alzò di soprassalto. 
Tutto taceva, o quasi. 
Gli occhi sbarrati inquadrarono il c-pad penzolante accanto a lei, da lì la voce di Trigger usciva flebile, canticchiava. 
Aveva bisogno di non pensare.
Afferrò il pad, cercò in memoria il messaggio di Anya con il contatto di Dimitri Yuzov. Era arrivato.
Infilò gli stivali, si buttò addosso la camicia e usci dalla cabina, verso l'Airlock. 

Aveva bisogno di non pensare, a tutti quei sorrisi. O alle lacrime. E lui l'aiutò a dimenticare, giusto un paio d'ore.