martedì 19 marzo 2013

The dead are dancing...

Di rientro tardi dalla corsa in moto, Trigger era sulla soglia della stiva, l'airlock aperto, a fumare guardando le stelle. La Monkey, come poche altre navi dockate nello spazioporto di Oak Town, era silenziosa e immobile. La moto Molly la stava spingendo a mano. Il casco agganciato al manubrio, la carena un po' ammaccata, impiastricciata di terriccio e muschio, così come lo era lei. I capelli sciolti, l'espressione provata, stanca, incredibilmente. Il vecchio, che la conosceva sin dalla più tenera età, sollevà lo sguardo chiaro, nascondendosi dietro una coltre di fumo scuro, frutto del tabacco blackmamba che usava adesso per rollarsi le sigarette a mano.

- Che succede ragazza?
- Nothing.
- Right. Hai deciso che non ti piace più verde? La preferivi marrone?

L'ironia dell'uomo non la sfiorava, lo sguardo era irrimediabilmente calato a terra, appesantito dalla discussione avuta con Rooster, nata per caso e finita per affondare nella carne e nell'anima. Lei si fece aiutare, non perchè lo volesse, ma perchè era ferma immobile alla fine della rampa in completo stallo, tale da spingere il buon Cooter Jackson ad alzarsi – stiracchiarsi le vecchie ossa – e raggiungerla, per sfilarle da sotto le dita l'outback e accompagnarla nella stiva, nonostante lo sporco, la terra incrostata tra le ruote e le molle degli ammortizzatori. Che la moto fosse finita a terra, così come lei, era evidente. Molly si guardò le mani, sospirando stancamente per poi guardarsi attorno. In cima alla rampa, dove fino a qualche attimo prima era seduto Trigger, una bottiglia di whisky sintetico accanto alla busta col tabacco e le cartine. Si arrampicò, quasi strisciando, fino al limitare, posando la schiena contro la parete interna, incassandosi nell'angolo della stiva, lontana dalla vista esterna, al buio di qualche cassa. La mano, ladra, stava trascinando la bottiglia apparentemente di piombo – per quanto sembrava pesarle sui muscoli indolenziti – contro il pavimento di metallo della stiva, emettendo un sinistro stridio di vetro contro metallo. Trigger si affacciò, guardandola dall'alto. Flesse le ginocchia, portando le mani nodose e grandi, ad intrecciarsi tra loro, con gli avambracci abbandonati contro le cosce, una posa rilassata, dove gli occhi avevano invece la fermezza di un carattere forte, provato da mille vicissitudini, ma con ancora quella pulsante vena paterna che gli palpitava nell'anima.

- What's up, Winger?

Lei fece un respiro, rubando un sorso dalla bottiglia, distese le gambe e si abbattè di spalla destra contro la parete intera, lì dove si era rannicchiata, la bottiglia appoggiata contro le cosce, la sinistra a reggerla un po' incerta a causa del dolore che non sembrava riuscire a sconfiggere. Lui, paziente, rimase fermo, lì dove stava, con la vecchia tuta marrone da pilota vecchio stile, le sue armi, sempre le solite Python grosse ed ingombranti, i suoi occhi chiari dietro le lenti da vista, perennemente sporche di una qualche ditata. Aspettava, e non doveva parlare per riuscire a farlo capire alla ragazza.

- Le medicine non bastano.
- Non credo. La medicina è forte abbastanza, significa che quello che ti fa male non è fisico, ma sta nella tua testa... So, what happened?

Lei non era incline a parlarne, ma tutto sommato si trovò a fissarlo in viso. Di punto in bianco, gli occhi chiari che per lungo tempo avevano detto essere di sua madre – pure che nessuno l'aveva conosciuta, sua madre – si fermarono su di lui in una maniera tutta nuova, in qualche modo colpevole.

- Pensi che sia una venduta? Credi che chiederti di accompagnarmi a Bullfinch a fare quei trasporti, che lavorare per il Ranch, sia svenderti?

La domanda lo colse in contropiede. Si accigliò visibilmente, lasciando che la fitta trama di rughe si facesse più spessa e cupa. Non aveva intenzione di prenderla sotto gamba, perchè quegli occhi così chiari erano quelli di una persona smarrita, confusa, troppo per potersene prendere gioco come di norma avrebbe fatto.

- Ho promesso di proteggerti, ricordi?
- Non è quello che ti ho chiesto.
- Lo so.
- E allora? Rispondimi, per dio!
- ...

Il caratteraccio prese il sopravvento. Ci mise così poco a scattare, come una molla compressa troppo a lungo, si tese verso di lui, puntandolo diritto negli occhi, incattivita talmente di colpo da stordire anche lui e costringere l'ex-browncoat a sederlesi davanti, richiamando le gambe in una posa più comoda, per quanto le sue vecchie ossa gli concedessero.

- Penso che i terreni di Bullfinch dovevano restare a quelli di Bullfinch, e che il Ranch di Black Oak non ha nessun diritto di sfruttare quelle terre, in barba ai contadini e alle famiglie che ci vivevano e che adesso sono stati sfrattati. Penso che sia un pessimo affare.

La verità la vide storcere le labbra, voltare il viso, schiacciando la guancia contro il metallo freddo della stiva. Chiuse gli occhi e il pilota non ci mise molto a capire che non era quello che si aspettava, o forse, che lo era, ma che faceva comunque male lo stesso.

- I'm sorry, kid.

Lei scosse il capo, cercando di portarsi la bottiglia contro le labbra. Lui provò ad intercettarla, bloccandola, così che lei fosse costretta ad aprire gli occhi e tornare a specchiarsi in quelle fessure chiare come il ghiaccio. Provò anche a sorriderle, ma senza successo.

- Perchè non vai a dormire, mh? Ti stai ammazzando di lavoro.
- Voglio stare sola...
- ... Come vuoi.

Le cedette la bottiglia, raccogliendo le mani contro i fianchi, finì per sollevarsi, con calma, con i suoi tempi, perchè in fondo non era più un giovanotto, seppur non fosse l'età il più grande dei suoi problemi, ma il senso di colpa radicato, che riesce a succhiare la vita, un giorno alla volta. E lui di giorni da dividere con le sue colpe ne aveva avuti molti. Si fermò, mentre rientrava verso le scalette che salivano al catwalk:

- Sai winger, a volte sei la copia sputata di tuo padre.
- Codarda?
- Combattuta. Cerca di dormire.

Lei si voltò, incrociò lo sguardo dell'uomo, il giudice e la giuria, come nel bosco erano stati gli occhi scuri di Jack Rooster, a farla sentire inadeguata, sbagliata, semplicemente spogliando la verità di tutte quelle finzioni che lei stessa si era abbellita e allestita, per cercare di farsi andare bene cose che invece non le piacevano. Camuffando scelte di puro interesse con la scusa di aiutare un amico. Lui si voltò, augurandole la buona notte, e lei si attaccò alla bottiglia, trascinandosi verso il pannello di controllo manuale della stiva. Posò la schiena contro il supporto, si sfilò uno stivale, il secondo, afferrando l'ultimo per cercare di slanciarlo oltre la testa e premere brutalmente il pulsante di chiusura della stiva, richiamando la rampa di carico.

- I'm sorry.

Chiuse gli occhi, attaccandosi alla bottiglia, ascoltando il suono del portellone che lentamente si chiudeva, sbarrando fuori i pensieri, o almeno, lasciandola illudere che così fosse, in compagnia di quella bottiglia e del senso di inadeguatezza, in parte ipocrisia, che si sentiva pulsare in petto. Un sorriso amaro, nascosto dietro la bottiglia l'unico vero passaggio per la dimenticanza e una notte di sonno che altrimenti non sarebbe venuto: unico inconveniente è il mal di testa e il vuoto allo stomaco, l'indomani.