Di rientro tardi dalla
corsa in moto, Trigger era sulla soglia della stiva,
l'airlock aperto, a fumare guardando le stelle. La Monkey, come poche
altre navi dockate nello spazioporto di Oak Town, era
silenziosa e immobile. La moto Molly la stava spingendo
a mano. Il casco agganciato al manubrio, la carena un po' ammaccata,
impiastricciata di terriccio e muschio, così come lo era lei. I
capelli sciolti, l'espressione provata, stanca, incredibilmente. Il
vecchio, che la conosceva sin dalla più tenera età, sollevà lo
sguardo chiaro, nascondendosi dietro una coltre di fumo scuro, frutto
del tabacco blackmamba che usava adesso per rollarsi le
sigarette a mano.
- Che succede ragazza?
- Nothing.
- Right. Hai deciso che
non ti piace più verde? La preferivi marrone?
L'ironia dell'uomo non la
sfiorava, lo sguardo era irrimediabilmente calato a terra,
appesantito dalla discussione avuta con Rooster, nata
per caso e finita per affondare nella carne e nell'anima. Lei si fece
aiutare, non perchè lo volesse, ma perchè era ferma immobile alla
fine della rampa in completo stallo, tale da spingere il buon Cooter
Jackson ad alzarsi – stiracchiarsi le vecchie ossa – e
raggiungerla, per sfilarle da sotto le dita l'outback e accompagnarla
nella stiva, nonostante lo sporco, la terra incrostata tra le ruote e
le molle degli ammortizzatori. Che la moto fosse finita a terra, così
come lei, era evidente. Molly si guardò le mani,
sospirando stancamente per poi guardarsi attorno. In cima alla rampa,
dove fino a qualche attimo prima era seduto Trigger,
una bottiglia di whisky sintetico accanto alla busta col tabacco e le
cartine. Si arrampicò, quasi strisciando, fino al limitare, posando
la schiena contro la parete interna, incassandosi nell'angolo della
stiva, lontana dalla vista esterna, al buio di qualche cassa. La
mano, ladra, stava trascinando la bottiglia apparentemente di piombo
– per quanto sembrava pesarle sui muscoli indolenziti – contro il
pavimento di metallo della stiva, emettendo un sinistro stridio di
vetro contro metallo. Trigger si affacciò, guardandola
dall'alto. Flesse le ginocchia, portando le mani nodose e grandi, ad
intrecciarsi tra loro, con gli avambracci abbandonati contro le
cosce, una posa rilassata, dove gli occhi avevano invece la fermezza
di un carattere forte, provato da mille vicissitudini, ma con ancora
quella pulsante vena paterna che gli palpitava nell'anima.
- What's up, Winger?
Lei fece un respiro,
rubando un sorso dalla bottiglia, distese le gambe e si abbattè di
spalla destra contro la parete intera, lì dove si era rannicchiata,
la bottiglia appoggiata contro le cosce, la sinistra a reggerla un
po' incerta a causa del dolore che non sembrava riuscire a
sconfiggere. Lui, paziente, rimase fermo, lì dove stava, con la
vecchia tuta marrone da pilota vecchio stile, le sue armi, sempre le
solite Python grosse ed ingombranti, i suoi occhi chiari dietro le
lenti da vista, perennemente sporche di una qualche ditata.
Aspettava, e non doveva parlare per riuscire a farlo capire alla
ragazza.
- Le medicine non bastano.
- Non credo. La medicina è
forte abbastanza, significa che quello che ti fa male non è fisico,
ma sta nella tua testa... So, what happened?
Lei non era incline a
parlarne, ma tutto sommato si trovò a fissarlo in viso. Di punto in
bianco, gli occhi chiari che per lungo tempo avevano detto essere di
sua madre – pure che nessuno l'aveva conosciuta, sua madre – si
fermarono su di lui in una maniera tutta nuova, in qualche modo
colpevole.
- Pensi che sia una
venduta? Credi che chiederti di accompagnarmi a Bullfinch a fare quei
trasporti, che lavorare per il Ranch, sia svenderti?
La domanda lo colse in
contropiede. Si accigliò visibilmente, lasciando che la fitta trama
di rughe si facesse più spessa e cupa. Non aveva intenzione di
prenderla sotto gamba, perchè quegli occhi così chiari erano quelli
di una persona smarrita, confusa, troppo per potersene prendere gioco
come di norma avrebbe fatto.
- Ho promesso di
proteggerti, ricordi?
- Non è quello che ti ho
chiesto.
- Lo so.
- E allora? Rispondimi,
per dio!
- ...
Il caratteraccio prese il
sopravvento. Ci mise così poco a scattare, come una molla compressa
troppo a lungo, si tese verso di lui, puntandolo diritto negli occhi,
incattivita talmente di colpo da stordire anche lui e costringere
l'ex-browncoat a sederlesi davanti, richiamando le gambe in una posa
più comoda, per quanto le sue vecchie ossa gli concedessero.
- Penso che i terreni di
Bullfinch dovevano restare a quelli di Bullfinch, e che il Ranch di
Black Oak non ha nessun diritto di sfruttare quelle terre, in barba
ai contadini e alle famiglie che ci vivevano e che adesso sono stati
sfrattati. Penso che sia un pessimo affare.
La verità la vide
storcere le labbra, voltare il viso, schiacciando la guancia contro
il metallo freddo della stiva. Chiuse gli occhi e il pilota non ci
mise molto a capire che non era quello che si aspettava, o forse, che
lo era, ma che faceva comunque male lo stesso.
- I'm sorry, kid.
Lei scosse il capo,
cercando di portarsi la bottiglia contro le labbra. Lui provò ad
intercettarla, bloccandola, così che lei fosse costretta ad aprire
gli occhi e tornare a specchiarsi in quelle fessure chiare come il
ghiaccio. Provò anche a sorriderle, ma senza successo.
- Perchè non vai a
dormire, mh? Ti stai ammazzando di lavoro.
- Voglio stare sola...
- ... Come vuoi.
Le cedette la bottiglia,
raccogliendo le mani contro i fianchi, finì per sollevarsi, con
calma, con i suoi tempi, perchè in fondo non era più un giovanotto,
seppur non fosse l'età il più grande dei suoi problemi, ma il senso
di colpa radicato, che riesce a succhiare la vita, un giorno alla
volta. E lui di giorni da dividere con le sue colpe ne aveva avuti
molti. Si fermò, mentre rientrava verso le scalette che salivano al
catwalk:
- Sai winger, a volte sei
la copia sputata di tuo padre.
- Codarda?
- Combattuta. Cerca di
dormire.
Lei si voltò, incrociò
lo sguardo dell'uomo, il giudice e la giuria, come nel bosco erano
stati gli occhi scuri di Jack Rooster, a farla sentire
inadeguata, sbagliata, semplicemente spogliando la verità di tutte
quelle finzioni che lei stessa si era abbellita e allestita, per
cercare di farsi andare bene cose che invece non le piacevano.
Camuffando scelte di puro interesse con la scusa di aiutare un amico.
Lui si voltò, augurandole la buona notte, e lei si attaccò alla
bottiglia, trascinandosi verso il pannello di controllo manuale della
stiva. Posò la schiena contro il supporto, si sfilò uno stivale, il
secondo, afferrando l'ultimo per cercare di slanciarlo oltre la testa
e premere brutalmente il pulsante di chiusura della stiva,
richiamando la rampa di carico.
- I'm sorry.
Chiuse gli occhi,
attaccandosi alla bottiglia, ascoltando il suono del portellone che
lentamente si chiudeva, sbarrando fuori i pensieri, o almeno,
lasciandola illudere che così fosse, in compagnia di quella
bottiglia e del senso di inadeguatezza, in parte ipocrisia, che si
sentiva pulsare in petto. Un sorriso amaro, nascosto dietro la
bottiglia l'unico vero passaggio per la dimenticanza e una notte di
sonno che altrimenti non sarebbe venuto: unico inconveniente è il
mal di testa e il vuoto allo stomaco, l'indomani.