Svegliarsi di soprassalto nel cuore
della notte era ormai diventata una cattiva abitudine. Non perchè il
braccio, la coscia o la spalla facessero male, il dolore dell'ustione
era ormai un lontano ricordo, grazie all'ausilio degli antidolorifici
progettati da Huck e alle pomate che si spalmava per
rigenerare la pelle morsa dalle fiamme. Si massaggiava le dita
fasciate, madida di sudore freddo, ormai appiccicato addosso. La
cabina era così familiare, eppure, in quegli attimi di panico in cui
spalancava gli occhi riusciva ancora a vedere la giungla che andava
in fiamme, riusciva ancora a sentire i boati delle detonazioni oltre
il fiume, riusciva a percepire il tremare della terra mentre dallo
spazio si scaricava l'ira dell'Alleanza. Tutto ciò che Molly
Cox ricorda di quei giorni concitati di ritirata verso
Timisoara era l'amaro sapore della paura, e la solida stretta
di mano dell'uomo che, ancora una volta come tante volte prima, è
riuscito a farla uscire dall'inferno.
Le camminate nella giungla, gli
insetti, il fango, i feriti ai quali non poteva salvare la vita, i
morti che li circondavano come foglie cadute d'autunno. Non riusciva
a levarsi dalle narici l'odore della carne consumata dalla morte, gli
umori di un pianeta ormai allo stremo delle forze, che grondavano
malsani oltre i loro piedi, a cercare di ingoiarli e render loro
impossibile scappare. Eppure, il cielo solo sa come, ce la fecero.
Raggiungere Timisoara fu il
primo passo, ma quando finalmente ci riuscirono, era ormai troppo
tardi. Philip era sano e salvo, questo le aveva
permesso di accantonare un po' di quella paura che non le faceva
chiudere occhio, né tenere un singolo boccone nello stomaco per più
di cinque minuti. Si sentiva sbronza, ma di una sbornia cattiva,
malata, di quelle per le quali ti penti amaramente ogni secondo e
giuri in cuor tuo che non toccherai più alcol. Aveva il braccio
ustionato, niente di irreparabile, ma era decisamente fastidioso. Non
avesse avuto la tuta addosso, probabilmente sarebbe stato molto
peggio, così com'era per quella scheggia, schizzata via impazzita da
una granata, che l'ha morsa alla coscia con la rapidità di un
serpente. Ma era viva. Non era mai stata così grata di vedere
Timisoara come in quel momento. Camminava a fatica, ma era
viva, e la cosa la spinse a muoversi ancora più rapidamente,
raggiungere la Monkey e soprattutto cercare di raggiungere gli
altri, in qualche modo. Poi l'avviso, Cortès e le sue
buone notizie. Renshaw aveva ordinat la ritirata verso
Safeport. Un pianeta
familiare, rotte che conosceva come le sue tasche. Non aveva tempo
per riposare, farsi fasciare la ferita era solo un palliativo, ci
avrebbe pensato da sola, poi. L'importante era portare il culo via da
quel pianeta: aveva una scommessa da vincere e non aveva lasciato i
100 A$ ad Edwards, non poteva crepare con dei debiti da saldare.
A
Sunset Tower,
osservando l'arroccarsi delle forze confederate sull'ultimo baluardo
di Polaris si sentì
di aver perso definitivamente la guerra. Eppure non le bruciava
dentro. In fondo - si disse - aveva fatto tutto il possibile per
cercare di essere d'aiuto. Non si era mai aspettata di vincere
qualcosa, ma solo di proteggere le persone che lo meritavano, di
portare a casa la pelle di qualcuno di importante, oltre la propria,
ovviamente. Nel calcolo dei caduti perdeva la cognizione di cosa
fosse giusto e cosa sbagliato. Molti dei soldati che aveva conosciuto
in guerra erano ormai dispersi, li aveva raccolti morenti, aveva
chiuso i loro occhi. Ne aveva di bicchieri da tracannare in onore di
ognuno di loro, non sarebbe bastata la riserva di alcol dell'intero
'Verse.
Voltandosi
ritrovava sempre Vergil
al suo fianco, addormentato. Passava ore a chiedersi se fosse sereno,
come in fondo sentiva di esserlo lei. Perchè aveva combattuto, pur
perdendo, aveva comunque mantenuto fede a quanto si era ripromessa di
fare. Perchè in fondo Moloko
era ancora viva, lo era Vergil,
lo era Philip,
lo è... lei. Trovò la forza di rimboccarsi le maniche, ricominciare
di nuovo, decidere come riprendere a vivere, nonostante gli incubi,
nonostante il dolore. Forse Jack Rooster
aveva fatto la scelta migliore, tornando a casa: ricostruire pezzo
per pezzo un pianeta devastato dalla guerra con le proprie mani era
il modo migliore per cercare di curare le ferite di una guerra ormai
sorpassata da qualcosa di più nuovo, di ancora vivo e bruciante.
Stringe
e chiude le dita, Molly Cox,
lasciando scariche di fastidio lungo il braccio fin dentro il
cervello, per ricordarsi che sì, ha visto la morte in faccia, ancora
una volta, ma questa volta è passata oltre. Un paio di calzoni
sgualciti, i vecchi anfibi sporchi e malridotti, un semplice revolver
nei pantaloni e occhi segnati dalla comprensione: niente
potrà più essere come prima.