sabato 26 gennaio 2013

Feels like fire...

Erano ormai giorni che, nel cuore della notte, si svegliava di soprassalto. Madida di sudore, con il cuore in gola e la testa nauseata da un dolore insopprotabile. Nell'ultimo periodo le fitte alla spalla ricostruita andavano acutizzandosi, da che non erano che lievi fastidi appena percettibili, si stavano dimostrando profondamente seccanti. L'aver sospeso i medicinali non aiutava, e nonostante non subisse problemi di mobilità dell'arto, quel dolore era qualcosa di indescrivibile. La prima notte si svegliò urlando, con Trigger preoccupato che le stringeva le spalle, scuotendola per cercare di svegliarla dal sonno in cui era piombata. I medici le diedero un antidolorifico, e tutto sembrò quietarsi. Però non passava. Appena l'effetto degli analgesici andava svanendo, il dolore tornava ad affacciarsi. Ormai aveva imparato ad ascoltarlo: prima il pulsare, un calore sempre più intenso, poi il lampo bianco e le scariche che penetravano lungo la clavicola, fino allo sterno, invadendo i muscoli, la gabbia toracica, rendendo anche solo respirare un tormento. Solo con un paio di pillole riusciva a passare la nottata indenne, senza svegliarsi di soprassalto. Non c'era sangue, non c'erano spasmi, solo un bruciore incandescente. E pensò che ci si doveva sentire così con un proiettile in corpo.

- Cox, che succede, la tua sessione non è prima delle quattordici zero zero
- Lo so
- Dunque?
- Ho un problema.
- Di che genere?
- La spalla.
- Ancora dolori?
- Sì
- Uhm, vieni.

Roosvelt aprì la porta del bugigattolo che definiva come suo ufficio. Entrò, sfilandosi di dosso la giacca. Era appena rientrato dall'esterno, evidente, dall'odore che lasciava, che aveva fumato, il viso arrossato dall'aria fredda di Capital City. Cambiò le scarpe mentre lei si guardava attorno, un po' impacciata. Era troppo presto perchè lei fosse lì, evidentemente la cosa doveva essere seria.

- Vediamo.
- Mh.
- Qui fa male?
- No.
- Se piego così?
- Nemmeno.
- Raccontami il dolore.
- Mi va a fuoco, da dentro, è come se mi conficcassero qualcosa di arroventato, ma non sono i muscoli è...
- L'osso.
- Dici?
- Sì, la ricostruzione può dare questo genere di problemi.
- E quindi?
- Dovrai sopportare, probabilmente passerà in poco tempo.
- E che ci dovrei fare?
- Antidolorifici, pomate antinfiammatorie e controlli. La spalla non ha perso di mobilità, non sei limita, nemmeno impedita quindi non c'è nulla che non vada con i tendini o i tessuti rigenerati, probabilmente è solo dolore fantasma.
- Fantasma un cazzo. Non mi sveglio di notte urlando per i fantasmi.
- Prendi gli antidolorifici e non ti farà più male, ma stai attenta, esagerare significa che potresti non uscirne più.
- Lo so, lo so. 
- Tieni.

Roosvelt, dopo averle piegato e teso il braccio in ogni posizione, a valutare se effettivamente l'arto era inficiato dal dolore, le lanciò un flaconcino di analgesici che lei prese, rimpallandolo tra le mani prima di riuscire ad afferrarlo del tutto. Lo guardò, lesse l'etichetta familiare, o per lo meno i principi attivi lo erano. Sollevò un sopracciglio e annuì...

- Grazie
- Ci vediamo dopo per la fisioterapia.
- Ah ha. 
- Preparati a sudare, mocciosa.
- Sèh. Ciao vecchio.

Si chiuse dietro la porta, serrando le dita di scatto attorno al flacone arancione di pillole. Dalle narici sbuffò un fiotto d'aria calda, percependo di nuovo i primi acciacchi, la prima puntura, il primo calore. Si morse il labbro inferiore, svitando con una certa fretta il tappo bianco, si fece cadere due pasticche nel palmo della mano, guardandole con una certa apprensione. Strinse gli occhi, l'ennesima fitta le spedì una scarica lungo la clavicola fino a farle salire un nodo acido in gola. Non tentennò più, fermatasi nei pressi di un distributore d'acqua prese un bicchiere e buttò giù il tutto, senza pensarci due volte, appoggiandosi alla parete nell'attesa che facesse effetto. Massaggiare, schiacciare, tendere o tirare, non cambiava un bel niente, lui era lì, che le divorava l'osso, come se stessero cercando di strapparglielo o spolparla viva. Ci misero un po' a fare effetto, le medicine, ma alla fine raggiunse il sollievo, per quanto temporaneo. Rientrò in stanza, Trigger abbassò il techreader e le diede uno sguardo ammezzato, in parte preoccupato, in parte no. Sul letto c'era una busta, sintetica, di un negozio d'abbigliamento nei pressi.

- Dove sei stata?
- A fare una passeggiata. Tu?
- Me too.
- Questo?
- Per te, per quando uscirai da qui.

Nella confezione c'era un paio di pantaloni decisamente troppo attillati perchè fossero una sua scelta reale, ma avevano un taglio elegante e una bella stampa rossa in fondo, abbigliamento da Corer, senza dubbio. Corredati, i calzoni avevano un paio di stivali neri, dal tacco non propriamente alto, di moda sempre in quei posti da fighetti. Aggrottò le sopracciglia e lo guardò un attimo, perplessa. Loro non erano persone da indossare certi vestiti e non si spiegava il perchè di una scelta simile. In fondo c'era una fondina ascellare, l'unico pezzo che le era davvero piaciuto.

- Why?
- Perchè qua la roba nostra non si trova, piccola, e in fondo devi cercare di mimetizzarti un pochino, visto che resterai da Anya, no?
- Mh, non mi frega di mimetizzarmi.
- Non sono poi così male, non ti ho preso un vestitino con le balze, o sbaglio?
- Non oseresti.
- Non tentarmi. Comunque, io domani vado, torno un po' a Richleaf da tuo padre, magari dopo la gara farai un salto anche a trovare lui, mh?
- Ci penserò.
- ...
- ...
- How does it feel?
- It feels like fire...