- Winger, vieni un attimo.
La voce di Jacob era bassa, ferma e ruvida, talmente tanto da non
lasciare davvero spazio a lamentele di sorta o qualsivoglia genere di
rimostranza. Aveva sette anni, Molly Cox, quando il padre
la chiamò in disparte. Non aveva voglia di raggiungerlo, se ne stava con
lo zio a girare in cortile con la nuova outback, imparando come gestire
la frizione e il gas su di una moto. L'aveva già fatto spesso, con
William, ma la cosa la divertiva sempre, anche perchè doveva occuparsi
lo zio del resto, lei con i piedi non ci arrivava ancora. Secca, vestita
i una salopette di tessuto marrone e una magliettina gialla aveva le
treccine e un sorriso sdentato.
Will, fermata la moto, afferrò la nipote sotto le ascelle e la scaricò come un sacco di patate a terra
- Va' da lui, Wing.
- Ma!
- Vai!
- Mpf…
Testa bassa e il broncio, Molly rientrò in casa per farsi strigliare dal
padre. Il tono era sempre lo stesso, che dovesse darle uno scappellotto
o una carezza, per così dire, perchè in fondo Jacob Cox non era mai
stato un uomo affettuoso, il massimo per lui era una scompigliata dei
capelli castani su quella testolina bizzarra. Entrata lo aveva cercato,
dopo aver superato il piccolo portico e raggiunto il disimpegno
all'ingresso, sinistra, destra, nessuna traccia. Con il broncio e un
minimo di confusione lo chiamò:
- Papà?
- Qui.
Era in camera sua. Lei non poteva entrare in camera del padre, mentre
aveva libero accesso - per sua scelta s'intende - in quella dello zio.
Era strano davvero che la facesse entrare, ma non se lo fece ripetere
due volte. Il sorriso sdentato e le trecce saltellanti furono
l'espressione fresca e gioviale che il padre le vide stampata addosso
quando entro la porta. Lui era seduto sul suo letto, la fissava,
invitandola poi a sedere ai piedi. Lei, aggraziata come un piccolo
minotauro, finì per lanciarsi letteralmente sul letto le cui molle
cigolarono pesantemente. Jacob sollevò gli occhi chiari al soffitto,
cercando di recuperare la pazienza rinomata di cui andava eccessivamente
fiero. Allungò la mano e prese per la collottola la ragazzina,
piazzandola seduta davanti a lui, serio, dannatamente serio, così che
lei non potè più fingere di non sentire quegli occhi pesarle addosso.
- Winger, ricordi quando, tempo fa, mi chiedesti di tua madre?
- Ah-ha
- Ecco… cosa ti dissi allora?
- Che era una brava donna, timorata di dio, una buona donna e che io dovevo essere come lei, perchè?
- Tu sai che io non sono mai stato sposato, vero?
-
Ah-ha. Il reverendo McAllister dice che io sono figlia del peccato, ma a
me non pare tanto un peccato poter girare sulle moto e stare con voi.
- Mh. McAllister dovrebbe cucirsi quella bocca e farsi gli affari suoi - era la voce fuori campo di Will
- Anche tu Will, fatti i fatti tuoi sto parlando con la bambina!
- Sono fatti miei, è mia nipote!
Lei era confusa, guardava il padre e più i due discutevano più lei non capiva:
- Papà ho fatto qualcosa che non andava? Ti giuro che non sono stata io ad ammaccare il portellone di carico!
- No, Molly, non è quello il problema.
Lei allargò lo sguardo. Il padre non la chiamava MAI per nome e la cosa
le fece abbastanza specie. Anche Will dall'altra stanza si zittì
immantinente. Lei rimase con la boccuccia socchiusa e gli occhi chiari
puntati su quello che aveva sempre creduto essere il padre, tanto più
che le continuavano a ripetere che da lui aveva preso la mascella, ma
che da William aveva preso il caratteraccio.
- Piccola, la verità è che nè io, nè Will siamo tuoi parenti.
- Ah?
- Sai dove sei nata?
- Ahm.. qui?
- No. Sei nata su Tauron.
- Ah…
-
Lo so, sembra strano, ma la storia è questa: Avevamo un carico di
bestiame da trasferire tra Bullfinch e Tauron. Will era impegnato
altrove così io me ne occupai. Arrivato su Tauron, mentre scaricavo nel
terreno di un bovaro del posto sentii dei rumori in fondo alla stiva.
Avevo inavvertitamente imbarcato un clandestino. In realtà erano due,
perchè c'eri anche tu, in pancia a tua madre.
Lei rimase in silenzio. L'uomo non sapeva davvero da che parte prendere
la situazione per cui la snocciolò con la sua solita implacabile calma,
tanto solida da dar fastidio spesso e volentieri anche al suo unico
fratello.
-
Tua madre stava male, molto male e tu stavi uscendo. Era sola, in mezzo
alla merda di vacca e alla paglia, non aveva un IdN, non aveva soldi nè
bagagli, solo una medaglietta con una foto e un nome, maschile. Riuscì a
darle una mano, per quanto possibile, ma quando tu cominciasti a
strillare, lei smise di respirare. Non c'erano medici, non avevamo tempo
di fare nulla, eravamo in ritardo e se non tornavamo in orario non ci
avrebbero pagato il trasporto e tu sai benissimo quanto quella maledetta
bagnarola ha sempre bisogno di un pezzo di ricambio o una controllata,
rischiavamo di rimanere a spasso nello spazio.
Le giustificazioni si susseguirono a lungo, le porse anche la
medaglietta, che lei rigirò tra le dita. Era un'effige sacra, di un
qualche santo che lei non sapeva distinguere, tutti uguali.
-
Non è riuscita nemmeno a dirmi il suo nome, nè a dartene uno. Io, sono
sincero, non pensavo saresti sopravvissuta ma lasciarti lì non sarebbe
stato cristiano, lo capisci? Ti ho portata a casa, ti abbiamo allevata
come se fossi figlia nostra ma la verità è che non lo sei.
- Ma… e la storia del mento, del carattere?
- Coincidenze, piccola.
- Perchè mi state dicendo questa cosa?
-
Perchè magari un giorno vorrai sapere chi sono davvero i tuoi genitori e
purtroppo nè io nè William potremmo mai rispondere a questa domanda,
solo Dio lo sa.
- E Dio non risponde?
- No Wing - irruppe William, una volta raggiunta la porta - Dio non ti risponde, rinunciaci ragazza. Adesso vieni, dobbiamo preparare la nave che tra non molto partiamo.
- Dove andiamo?
- New Melbourne, così vedi il mare.
- Davvero?
- Davvero.
Jacob rimase in silenzio, guardando William che si portava via Molly,
per nulla interessata alla storia della propria vita. E come poteva.
Sette anni, solo sette e tutto l'affetto che conosceva lo viveva
riflesso in quei due uomini che l'avevano raccolta da terra. Dovettero
passare qualcosa come dieci giorni prima che la ragazzina tornasse a
cercare il padre. Era sul portico, a dondolarsi sulla sedia con il
fedele fucile accanto. Lei uscì, finito di pulire i piatti e rimase
sulla porta a sbirciarlo, con quei codini e quegli occhioni straniti.
- Che cosa c'è, Winger?
- Posso ancora chiamarti 'papà', anche se non lo sei?
- …
- Posso ancora chiamarti 'papà', anche se non lo sei?
- …
Rimase in silenzio, voltando il viso a guardarla sotto la tesa del
cappello da cowboy. Un grande respiro, la mano ruvida battè sulla
coscia:
- Vieni ragazzina, prendi le mappe che le guardiamo assieme.
Lei sorrise, ampia, grata, correndo di nuovo in casa a raccattare le
carte e tutto quello che le serviva per disegnare rotte nello spazio, il
passatempo che riempiva le serate torride d'estate, in braccio al padre
o sdraiata a pancia sotto sul portico, sgambettando e finendo per
imparare, giorno dopo giorno, come essere un bravo pilota.