sabato 6 aprile 2013

Shijie, September 2501

Qualcosa sbatteva contro la finestra della sua camera. Ritmico, regolare, scandito di tanto in tanto da un leggerissimo fischio, abbastanza fastidioso da penetrare nella coltre morbida dei sogni. Era notte fonda, la luna piena. Aveva quattordici anni e un sacco di sonno sulle spalle. Si alzò, addosso quella stupida camicia da notte di flanella, perchè se no prendeva freddo, dicevano loro. A lei faceva cagare. Non capiva perchè non poteva dormire come loro. In piedi, accanto al letto, si guardava attorno. Il rintocco contro il vetro. Le ombre erano lunghe, la luce della luna penetrava debolmente dal vetro spesso. Il pavimento era dannatamente freddo. Spostò i passi, ciondolando, fino a raggiungere la finestra. Vi si appoggiò, tirandola stancamente verso l'alto. Era a ghigliottina e si assicurò di bloccarla per bene prima di sporgersi, o rischiava di tagliarsi la testa nella maniera più stupida.

- Psssst. Wing!
- Mh?
- Ehi! Wing, sono io. Scendi.
- Al diavolo Cole, sai che ore sono?
- Su, non fare la cagasotto, Wing. Scendi, ho la moto.

Cole Jackson era una ragazzo decisamente poco incline alle regole. Per colpa sua era stata messa in castigo ormai non ricordava più quante volte, mentre lui la passava sempre liscia. Si era ripromessa mille volte di non avere più a che fare con lui, ma puntualmente se lo ritrovava sotto la finestra, di notte, con le sue maledette proposte allettanti. In fondo, si ha quattordici anni una volta sola, no?

- Mi vesto.
- Muoviti! Ehi.
- Cosa?
- Belle le treccine.
- 'fanculo!
- E' questo che ti insegnano dai preti.
- Mpf! Smettila di farmi perdere tempo.
- E tu smettila di starmi appresso.

Erano battibecchi simili a convincere Mary-Ann Jackson che quei ragazzi erano fatti l'uno per l'altra. Molly scappò dentro, infilando la testa nell'armadio nè estrasse i pantaloni e la camicia. Si infilò tutto seduta sul pavimento, attenta a non fare troppo casino. Rubò gli stivali e se li caricò in una sacca a tracolla, per evitare di svegliare tutta casa con il rintoccare dei tacchi sulle assi di legno. Slanciò una gamba fuori dalla finestra, posando i piedi scalzi sul tetto sotto. Il portico copriva l'ingresso della casa, dodici passi a sinistra e c'era la grondaia. Da lì era semplice scendere e poi gli ultimi metri l'aiutava sempre lui, afferrando la sacca con gli stivali, fino a che lei non atterrava di nuovo, piedi uniti, sul terreno umido della notte. La moto non era ovviamente nei paraggi. Dovevano correre per almeno un miglio, prima di potersi ritenere davvero al sicuro. Era sempre una corsa perdifiato, con lui che incitava costantemente a muoversi, a non fare la pelandrona.
Notte fonda, le corse spericolate tra le valli e i campi, fino ai fiumi, in cui tuffarsi o essere spinti, in cui giocare, scherzare, nuotare e finire per trovarsi vicini e tremanti, con quei pochi vestiti addosso e gli ormoni decisamente a mille.
Aveva sempre uno strano sapore, ma non era cattivo. Per quanto sapesse che, una volta fuori di lì, le avrebbe prese di santa ragione e sarebbe finita di nuovo confinata, non poteva resistere. 

- Che farai?
- Che intendi?
- Quando lo scopriranno.
- Quello che faccio sempre.
- Incassa e taci?
- Sì.
- Perchè? In fondo non facciamo niente di male.
- Perchè è mio padre, Cole.
- E allora? Non sarai la sua bambina per sempre, prima o poi dovrà mettersi l'animo in pace.
- Tu non gli piaci.
- Lo so, per questo è divertente.
- Non capisci. 
- Lo so Winger, lo so. Voi siete uniti. Ha solo te. E' la solita vecchia storia ma a me non ci pensi?
- A te? Hai Demi, e Ronda, e Dean. 
- Ma... loro sono i miei fratelli, Winger!
- Non ti seguo.
- Io parlo di una donna.
- AHAHAHHAHAHAHAHAHA!
- Ridi?
- Ma dai. Hai sedici anni, che ti frega di avere una donna? Non dovresti pensare a diventare un uomo, prima?
- E' quello che voglio.
- ...
- Winger, facciamolo.
- E' uno scherzo? Se è uno scherzo guarda che non è affatto...

Non era uno scherzo. Cole era dannatamente serio e lei. Bhè, lei si ritrovò ad essere in un grosso, grossissimo guaio. Però, a pensarci bene. Era un guaio decisamente piacevole, almeno a tratti. Altri era doloroso però tutto si placava quando quell'idiota di un Jackson finiva per bisbigliarle quella piccola parola di tre lettere che le faceva palpitare il cuore. Un'ammissione di colpevolezza.