mercoledì 16 gennaio 2013

Confortably numb...


All'inizio non ci fu che caos. Era solo confusione, non c'era nulla di ordinato. E' stato come svegliarsi di soprassalto da un incubo senza ritorno. L'unica cosa che ricordava con certezza era quella macchia rossa. Non poteva sapere, che l'ultimo colore visto mentre moriva era un rosso, non così intenso, ma simile. Non poteva sapere. Eppure il rosso che vide spalancando gli occhi e agognando un respiro era familiare, così come gli occhi chiari, i tratti annebbiati di un viso femminile, la voce. Le braccia sottili di Declan Khan la sostenevano dal liquido vitale che l'aveva riportata alla luce, come un bambino cavato da un grembo metallico, incubato. Sapeva che lei era l'unico appiglio reale, un istinto radicato nell'inconscio, qualcosa a cui doversi aggrappare con la disperazione di un salto, un tuffo verso il vuoto. Le luci attorno erano sfarfallanti, c'erano scie di scintille ovunque, l'universo sembrava essersi condensato in un'unica grande stanza, e poi vide lui. C'erano stelle che calavano dai suoi occhi, colate di luce pura e intensa che vibrava, fredda, da pozzi neri e arrossati. Lo vide e lo fissò. Riconobbe in lui un ricordo, un ritaglio di vita quotidiana, qualcosa che l'aveva emozionata. C'era caldo che si spandeva da dentro, c'erano odori che riempivano la bocca e la mente. Era una tempesta di sensazioni: vedeva con l'olfatto, sentiva con il gusto, assaporava con l'udito, tutto confuso, intrecciato mentre il cervello cercava di incastrare i pezzi, così come dovevano andare. Aveva subito uno shock importante: era morta.

Tutto si spense. Un puntino verde che si ritraeva al centro dello schermo nero, buio. Respirare richiedeva impegno come mai prima d'ora aveva sentito di dover fare. Poi, nel cervello, presero a pulsare quelle onde. Su e giù, su e giù. La voce, la luce. La voce che parlava elettrica, metallica, crepitava attorno in uno strano eco, ma poteva venire da dentro. Risate, sorrisi, mille volti che si accavallavano. Il suono di un cigolio, aprendo gli occhi il mondo vortivaca, girava, crollava, eppure il corpo non si muoveva. Era come essere sprofondati dentro di sè, scollegata completamente da braccia e gambe, vincolata solo a quel pulsare che gonfiava le tempie. Vide visi sconosciuti, volti dietro mascherine imperturbabili, che non davano niente in più che semplici segnali, automatici. Non c'era il riflesso azzurro di quegli occhi spiritati, brucianti di onnipotenza e passione, non più il vorticare lussureggiante di rossi capelli attorno al suo viso, nemmeno l'odore. Era sparita, come un fantasma diafano, impalpabile. Eppure, lei, la macchia rossa dei suoi pensieri era presente ovunque, gli stemmi della Blue Sun continuavano a susseguirsi e apparire in ogni dove, suggerendole altri stimoli. Ogni cosa era un flash, anche solo una macchia di colore più acceso scatenava una risposta netta nel cervello, talmente sovraccarico da spegnersi sovente, senza poterne reggerne il peso. La trasportarono nella sua stanza, al terzo piano dell'Ospedale a CapCity, la culla di tutto quello che odiava.

Arenata, rimase immobile senza percepire nulla che non fosse l'ovattato annichilirsi delle pulsioni. Le medicine gocciolavano direttamente in vena, ogni suo battito, ogni suo respiro, sapientemente registrati, valutati e monitorati; tradotti in rumori che penetravano nel cervello, fino ad annullarsi a vicenda. Le voci dei medici facevano breccia nella nebbia, poche informazioni, nulla di realmente utile giacchè non riusciva a rievocare nulla di troppo recente. Solo Lei, il suo sorriso, il tatuaggio nero del Drago sulla guancia. Poi comparve ancora quella voce. La stessa voce che crepitava attorno, la notte in cui nacque di nuovo. Quinn era lì, come una strana apparizione. Biondissima, con un caleidoscopio di colori che le vorticava attorno, rendendola ancora più irreale, vestita da Corer. Però era lei. Lei era lì, e lo era anche Molly. Negli occhi azzurri dell'ingegnere vide riflesso qualcosa che non riuscì a capire, ma che ritrovò nello sguardo di tutti. Un misto, strano, qualcosa che alla fine si ritrovò a considerare semplicemente pietà, paura, repulsione e in parte confusione. C'erano sprazzi vivaci di un giallo felice, come il sole, ma il resto era cupo, qualcosa di lontano e viscerale. Nessuno aveva risposte per lei, e alla fine si abbandonò all'idea di smettere di chiedere. Non aveva niente. Le piastrine, il cappello, il c-pad: ma soprattutto non ricordava nulla della propria morte. Costrinse l'infermiera a dirle com'era morta, perchè chiaramente, per quanto ad occhi chiusi sognasse, non c'era nemmeno una traccia di concreto. Tutti i sogni si accavallavano con il reale, col passato, col vissuto. Era il suo modo di ritornare al passo e soprattutto, non sapeva nemmeno tenere il conto dei giorni.

Chiedere diventava impossibile: lottare con forza per riuscire a guadagnare fiato era l'unica cosa che le importava davvero. Riprendere possesso del proprio corpo, scacciare quel freddo che pungeva da dentro e che si faceva più denso, quando dalla porta entravano solo altri camici e nessuna faccia amica. Il tempo scorreva, impietoso, e lei non aveva la forza di allungare le dita e afferrarlo, perchè chiudere gli occhi poteva significare farlo per un respiro, un battito d'ali di una farfalla, o lasciarsi cadere in un vuoto privo di peso. La mente viaggiava a Zero-G e non poteva farci niente. A volte si svegliava di soprassalto, senza sapere se fosse notte o giorno, svegliata dal suo stesso cuore, dal *bip* irregolare e acuto che penetrava la fitta coltre di ricordi che si buttava addosso. Il freddo tocco di guanti, i controlli di routine. La vita che veniva scandita da una puntura, una dose, un esercizio. Niente più alba nè tramonto, niente più spazio e stelle. Il soffitto di una stanza bagnato dalle proiezioni del suo stesso io. La sua vita, disegnata da onde cerebrali e tracciati cardiaci. L'unica cosa che le rimaneva era pensare e anche quello, a volte, diventava troppo. La terra non era per lei, eppure non aveva ali se non nei sogni. Spezzata, frustrata e costretta, non faceva altro che suggere ogni singola goccia d'odio per chi l'aveva ridotta così, un'entità astratta senza viso, ma con una pistola lucida che le sparava ogni notte, due colpi: uno alla clavicola sinistra e l'altro al cuore. Non c'erano urla nel sonno, non c'era lotta. Le droghe la tenevano buona, ma in fondo, nel vero profondo, si alimentava di vendetta.

Un passo alla volta, con tutta la determinazione del mondo. Sapeva che doveva uscire, per quanto confortante fosse quel torpore, non sentire, non soffrire: la vita è molto di più. Doveva tornare a vivere davvero. Lo doveva a sè stessa, prima di tutto e poi a loro.

Ma nei sogni, non c'è nessuno?

Hello,
Is there anybody in there?
Just nod if you can hear me
Is there anyone home?

Come on
Now
I hear you're feeling down
I can ease your pain
Get you on your feet again

Relax
I'll need some information first
Just the basic facts
Can you show me where it hurts?

There is no pain you are receding
A distant ship's smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move
But I can't hear what you're saying

When I was a child I had a fever
My hands felt just like
Two balloons
Now I've got that feeling once again
I can't explain
You would not understand
This is not how I am

I... Have become comfortably numb

O.K.
Just a little pin prick
There'll be no more aaaaaaaah!
But you may feel a little sick

Can you stand up?
I do believe it's working
Good
That'll keep you going through the show
Come on
It's time to go

There is no pain you are receding
A distant ship's smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move
But I can't hear what you're saying

When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye

I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown
The dream is gone
I... Have become comfortably numb
(Comfortably Numb - Pink Floyd)