sabato 6 aprile 2013

Richleaf, January 2510

- Dio, è così... caotico.
- Non possiamo lamentarci, Winger, è una casa, è nostra, tanto basta.
- Noi abbiamo una casa, papà...
- ... No more, kid. No more.

Era l'amara verità. Non ce l'avevano più una casa. In realtà non avevano nemmeno più un pianeta. Berta si faceva strada tra la gente, guidando un vecchio cassone con loro caricati dietro e le loro poche cose raccolte in fretta e furia prima che il pianeta venisse raso al suolo dai bombardamenti alleati. Lei aveva un cugino che si era trasferito a vivere su Richleaf, manco a dirlo, era un meccanico. Aveva una piccola officina, roba davvero di poco conto, riparazioni express di ogni genere, in quel di Fidelidad, a Maracay. Lì riuscirono a trovare loro una piccola casa, o meglio, una baracca, proprio accanto un venditore di ferro vecchio. Gli ammortizzatori cigolavano, il moto era ondeggiante, pericolante. Sembrava che la strada stesse per cedere da un momento all'altro. Molly aveva visto Maracay altre volte, ma non si era mai addentrata nella trama fitta di quell'universo incredibilmente intricato che era la città cosmopolita di Richleaf. Da dove veniva lei c'erano miglia tra una casa e l'altra, e anche nel centro urbano più frequentato si respirava aria e non c'era questo costante ammassarsi di vita, nel tentativo di schiacciare quella degli altri. Non le piaceva. Lo aveva deciso dal momento in cui si erano messi in moto, con le loro cose, e si erano mossi di pochissimo in un tempo spropositato. 

- Ci vuole ancora molto, Berta?
- Ci vuole il tempo che ci vuole, Winger.
- Che risposta è?
- Non fare l'indisponente, Molly Cox. E' già un miracolo che Berta sia riuscita a trovarci un alloggio, da quando sei diventata così ingrata?
- ... Scusa.
- Fa nulla Wing, però non ci pensare, non dovremmo essere distanti, o almeno quella è l'insegna del posto di mio cugino.

Con l'indice, Berta puntò una viuzza, le finestre affacciate, i muri accalcati, colori, odori, rumori, tutti compressi in un insopportabile caos senza senso. Molly si sentì soffocare. Dove erano i campi sterminati? Montagne, fiumi. Dove il suo bel paesello, la sua regione, il suo cortile? Le si strinse un nodo in gola. Non riusciva nemmeno a capirli, quelli di lì. Parlavano con un accento strano, la 's' trascinata tra i denti, usavano termini che lei non aveva mai sentito prima. Si affossò nel sedile e calò il cappello sul viso. Sarà anche stato Rim, ma non era di certo Shijie.

- Must we stay here?

Era ormai una domanda frequente che rifilava a quella povera anima di suo padre. L'uomo era invecchiato di anni in pochi mesi. Si era ingrigito tantissimo, le rughe gli avevano scavato infiniti solchi attorno agli occhi, sulla fronte e sulle guance. Sembrava più piccolo e fragile, il fantasma dell'uomo di cui andava molto fiera. E, ancor peggio, si accompagnava perennemente ad una bottiglia di qualcosa. 

- We must. There's no where else we can go.
- But, what if they come home?
- Damn you! They are never commin' home, Molly!

Era la prima volta che Jacob Cox era stato così duro nel rispondere alla figlia. Era sempre stato fermo, determinato, ma mai brusco. L'insistenza con cui Molly continuava a chiedere di tornare a casa lo stava stancando. Il senso di colpa aveva sfilacciato la sua pazienza in maniera irrimediabile. Sbottò, in maniera così inaspettata che lei trasalì di colpo nel sedile, schiacciandosi contro la portiera della macchina nemmeno avesse visto un mostro. Berta stessa fu costretta a fermarsi, distrattasi dalla guida stava per mettere sotto un passante. Erano entrambe interdette, si guardarono. L'espressione della ragazza si indurì, mise la mano sulla maniglia e spalancò la portiera, approfittando dell'attimo in cui il mezzo era bloccato nella folla di passanti per tuffarsi giù al volo e sparire in fretta e furia.

- WINGER, torna qui!
- Lasciala Berta, si darà una calmata.
- Boss, sei stato un po' stronzo con lei.
- Non ti ci mettere anche tu, Berty, non farlo.
- Dahhh, come ti pare, ma vedi di darti una calmata e una ripulita che domani ti porto da uno che può darti un lavoro.

Quel posto non era casa sua. Appena scesa dalla macchina si sentì smarrita. Era tutto fuori fase, tutto sbagliato. I ritmi accelerati, la gente troppo veloce, come la loro parlata. Si infilò in un vicolo, camminò fino a che non trovò un muro a bloccarle la strada e fu costretta a tornare indietro, ancora e ancora, ritrovandosi presto persa in un dedalo dal quale non riusciva davvero a fuggire. Istintivamente si infilò nel posto più familiare che conosceva: un'officina meccanica. Lì vide una faccia che conosceva fin troppo bene: Clifford Djeval e suo padre. Non fu un incontro edificante, ma probabilmente il vecchio Djeval riuscì ad intuire quanto spaventata e sconvolta fosse, così da evitare che ci fossero delle prese in giro da parte di Cliff.

- Toh, Molly Cox.
- Ma... e voi?
- Noi? Tu piuttosto. Questa è la mia officina ragazza. Sicuro tuo padre te l'avrà detto.
- Bhè... no.
- Well... ora lo sai. 
- Ma...
- Cosa?
- Niente. Mi... mi fa piacere rivederla, Mr. Djeval. 
- Mister... ragazza, ti hanno educata davvero bene. So... che ci fai qui, tuo padre è in giro? A caccia di pezzi?
- Noi... ci siamo trasferiti, qui.
- Ah. 
- Già.
- Bhè. Benvenuti a Maracay allora.
- Grazie. Posso...
- Puoi, ma non toccare nulla. Noi torniamo a lavoro.

In fondo era un padre anche lui. Sapeva capire quando taluni richiedevano di stare soli. Ottenuto il permesso si rintanò in una vecchia carcassa di jeep da cui probabilmente avevano preso tutti i pezzi utili come ricambi, lasciando giusto il sedile passeggero e qualche altro elemento. Si chiude la portiera dietro, rannicchiò le ginocchia e se ne stette lì in silenzio fino a che non vibrò il pad al polso. La sorpresa e lo spavento le fecero sbattere la testa contro il tettuccio dell'auto, in un suono netto quanto lo era il dolore che le pulsava nel cranio. Il messaggio chiedeva solo di tornare, per pietà. Si fece spedire le coordinate da Berta e con l'aiuto delle indicazioni dei Djeval, tornò alla sua nuova casa, seppur non la considerò mai tale.
Casa. Se così la si poteva definire altro non era che due locali con un bagno, su due livelli. Sotto c'era una specie di magazzino, che però apparteneva all'officina accanto. Lei scelse di dormire sul divano, lasciando al padre la camera da letto. La cucina era in un angolo, avevano due finestre e una porta. Si sentiva soffocare: faceva caldo, ma almeno c'era tutto il necessario per tirare avanti.

- Sully terrà le vostre cose nel magazzino. Basta che lo avvisiate quando andate di sotto, perchè ci sono i cani.
- Cani?
- Yep, per quello ti dico. Qua la gente tende a sgraffignare, ma non vi preoccupate. Mio cugino ha un ottimo impianto di sicurezza, lo ha costruito con le sue mani.

La cosa non la rassicurava affatto. L'idea di avere cani sotto al culo l'inquietava come non mai, infatti non riuscì a dormire, le prime notti, tormentata dagli incubi e dal rumore che continuava a rimbombare ovunque. Quella metropoli non se ne stava zitta un attimo. L'unico sollievo che ebbe era sopra la casa. Sul tetto c'era uno spiazzetto su cui stendersi e osservare in alto. Non le stelle, perchè non c'erano, non si vedevano da lì giù, troppa illuminazione artificiale, ma almeno poteva mettere altri livelli tra sé ed i cani. L'unica consolazione era rifugiarsi lì sopra, oppure nell'officina, chiudendosi in qualche auto. Non era il suo mondo, lo sapeva. Stare lì non faceva per lei, per cui, mentre il padre prese a fare il trasportatore per una ditta locale, lei si mise a cercare un lavoro proprio, ormai abbastanza grande da badare a sé stessa. Doveva andare via da lì, portare via il padre, liberarlo dal senso di colpa che lo consumava. La prima notte, decise che era tempo di spiccare il volo. La prima notte a Richleaf, la prima di una nuova vita.